di Federico Sesia
- Un regime longevo
Non si è abituati a sentir parlare del Messico quando si discorre di regimi novecenteschi. Eppure si tratta del paese che ha vissuto in un governo monopartitico per più tempo, essendo stato governato ininterrottamente dal 1929 al 2000 dal Partido Revolucionario Institucional (PRI), il partito di provenienza obbligata per i presidenti e le élite di governo. Nel corso della seconda metà del Novecento, e in particolare dagli anni Sessanta in poi, il regime monopartitico si è gradualmente corroso garantendo progressivamente elezioni sempre più trasparenti, fino ad arrivare alla sua scomparsa nel 2000.

Le origini del monopartitismo affondano nella riorganizzazione dello Stato venuta dopo la Rivoluzione messicana (1910 – 1920), quando il gruppo di rivoluzionari sonorensi (provenienti dallo Stato di Sonora) che si è affermato sulle forze controrivoluzionarie di Victoriano Huerta e su quelle più radicali di Emiliano Zapata e Francisco “Pancho” Villa ha dato il monopolio del potere pubblico al partito da loro fondato, il Partido Nacional Revolucionario (PNR, rinominato PRI nel 1946). Il consolidamento del clan di Sonora è proseguito negli anni Venti e Trenta superando i contrasti interni (in particolare quello con la Chiesa che ha portato alla guerra dei cristeros tra il 1926 e il 1929, ultima sfida agli assetti post-rivoluzionari) e imponendosi nelle sue colonne portanti nella presidenza di Lázaro Cárdenas (1934 – 1940) come un regime monopartitico e corporativo che inquadrava nelle sue strutture ufficiali o semiufficiali i diversi attori della società messicana, dai sindacati all’esercito passando in parte anche per la Chiesa, con la quale si è raggiunto un modus vivendi sotto Cárdenas (De Giuseppe, 2007 e De Giuseppe, 2013 e Garrido, 2001 e Medina Peña, 1995 e Meyer, 1991). Un sistema di potere che, pur venendo in parte riformato in senso neoliberale negli anni di Carlos Salinas (presidente dal 1988 al 1994) e vivendo già in precedenza parziali aperture, è stato archiviato solo con le presidenziali del 2000 vinte da Vicente Fox, esponente di quel Partido Acción Nacional (PAN) che ha rappresentato una delle principali opposizioni al PRI.
- Una lenta erosione
Dopo l’apogeo degli anni Quaranta e Cinquanta, il PRI ha iniziato a mostrare i suoi primi cortocircuiti negli anni di Gustavo Díaz Ordaz (presidente dal 1964 al 1970). Infatti si registra il fallimento dei tentativi di riforma in senso democratico del partito messi in atto dal presidente del PRI Carlos Alberto Madrazo, che tentò di liberalizzare le nomine interne naufragando sulle secche della vecchia guardia, ostile ad ogni cambiamento. Con le sue dimissioni nel 1965, venute dopo il fallimento del progetto riformista, il PRI perse un’importante occasione di modernizzare le sue strutture e possibilmente di dare il via ad un processo analogo nella società e nella politica del Messico, iniziando a scollarsi dalla realtà del paese. Un primo campanello d’allarme suonò in due elezioni locali nello Yucatán (1967) e a Sonora (1968), dove in alcuni centri abitati si imposero per la prima volta dei candidati del PAN, partito di destra conservatrice fondato nel 1939 da Manuel Gómez Morin, fondatore della Banca centrale messicana. Nel corso degli anni avrebbe gradualmente eroso l’egemonia priísta fino a minarla definitivamente nel 2000. Tuttavia, il regime godeva ancora di buona salute: sempre nel 1968, quando le urne arrisero al PAN anche nell’importante città di Tijuana, le autorità non ratificarono il risultato.

Oltre alla crescita panista, al momento non preoccupante per l’esecutivo, altra fonte di contestazione per Díaz Ordaz venne dalle manifestazioni di piazza svoltesi nel 1968 a Città del Messico, nel contesto del Sessantotto internazionale e in concomitanza con le olimpiadi che si sarebbero tenute di lì a poco nel paese. Le autorità risposero reprimendo duramente i dissidenti: l’esercito aprì il fuoco sui manifestanti riuniti nella plaza de las tres culturas lasciando sul terreno centinaia di morti. Si tratta del massacro di Tlatelolco, evento traumatico che ha segnato la memoria storica messicana. Per il governo si trattò tuttavia di una vittoria pirrica, data la crescita dell’opposizione avvenuta dopo il 1968 e rappresentata non solo dal PAN, ma anche da movimenti guerriglieri di sinistra come il Partido de los Pobres di Lucio Cabañas, attivo nello Stato di Guerrero come una sorta di anticipazione degli zapatisti degli anni Novanta. Pur non in grado di scalfire le istituzioni, episodi di questo tipo mostrano un clima di disaffezione impensabile anche solo dieci anni prima.
Negli anni Settanta venne parzialmente riformato il sistema politico aumentando la rappresentanza dei partiti d’opposizione. Durante il governo di José López Portillo (presidente dal 1976 al 1982), l’egemonia del PRI rimase intatta ma allo stesso tempo venne emanata la Ley Federal de Organizaciones Políticas y Procesos Electorales, che garantì almeno il 25% dei seggi ai candidati dell’opposizione. Una simile concessione era stata resa necessaria dall’aumento dei consensi del PAN e lo sviluppo delle guerriglie. La presidenza Portillo fu globalmente positiva per il Messico: ridimensionò il fenomeno guerrigliero grazie ad un’amnistia concessa nel 1978 a chi avesse deposto le armi, effettuò timide liberalizzazioni dell’arena politica e giovò del boom petrolifero (1977 – 1981). Il buon andamento dell’economia non proseguì negli anni di Miguel de la Madrid (presidente dal 1982 al 1988), costretto a confrontarsi con la crisi del debito latinoamericano e l’inflazione del peso: i tassi d’interesse dei prestiti concessi con disinvoltura nel decennio precedente stavano crescendo a dismisura. Convinto che riforme neoliberali si imponessero, De la Madrid fu il primo presidente a rompere con il tradizionale statalismo del PRI mettendo in atto riforme che aprissero al mercato. Un Plan global de desarrollo varato nel 1982 tagliò la spesa pubblica, privatizzò diverse imprese statali e deregolamentò i mercati, non riuscendo però ad invertire la congiuntura negativa e peggiorando i problemi sociali del paese. Inoltre si registrò una regressione nella liberalizzazione politica, dato che durante il suo mandato vennero emanate leggi che rafforzarono il partito di maggioranza e l’esecutivo (Alcántara Sáez, Freidenberg, 2001 e Aviña, 2014 e Poniatowska, 1998 e Bertaccini, 2012).
Nel 1988 la presidenza di De la Madrid giunse al termine e i messicani si recarono alle urne per scegliere tra il candidato del PRI Carlos Salinas, quello del PAN Manuel Clouthier e Cuauhtémoc Cárdenas, il figlio di Lázaro Cárdenas sostenuto dalla coalizione Frente Democratico Nacional composta da fuoriusciti dell’ala sinistra del PRI alleati con partiti comunisti e socialisti. Salinas vinse con il 50% (il risultato fino ad allora più basso di un candidato del partito di governo), seguito da Cárdenas con il 30% e Clouthier con il 17%. Diverse furono le accuse di frode e le relative proteste: durante il conteggio dei voti, quando il candidato di sinistra sembrava in leggero vantaggio, il sistema informatico si spense temporaneamente, e al suo riavvio Salinas risultava primo.

Il controverso inizio non fu l’unico evento di rilievo della sua presidenza, che coincise con l’approfondimento delle riforme neoliberali, la ratifica del NAFTA (North American Free Trade Agreement) con gli Stati Uniti e il Canada, la riforma degli articoli anticlericali della Costituzione del 1917 e l’insurrezione zapatista del Chiapas. Il fatto di maggior eco internazionale fu quest’ultimo, quando nello Stato più povero del Messico gruppi di indigeni inquadrati nell’EZLN (Ejercito Zapatista de Liberación Nacional) occuparono nel 1994 diversi centri abitati del Chiapas in nome della difesa dei diritti degli indios, delle terre comunitarie e della democracia pueblerina. La ribellione zapatista, del tutto inaspettata, accelerò il processo di democratizzazione: i timori che il Partido de la Revolución Democratica (PRD, fondato da Cárdenas nel 1989) appoggiasse l’EZLN portò l’esecutivo a riformare in senso parzialmente democratico l’IFE (Instituto Federal Electoral) sottraendolo dal controllo del PRI (Montemayor, 1998 e Ronchi, 2010 e Ronchi, 2015).

- La fine del monopartitismo
Allo scadere del suo mandato Salinas indicò come candidato per le imminenti elezioni Luis Donaldo Colosio, che venne però assassinato in circostanze controverse durante un comizio a Tijuana. Si arrivò così alla nomina di Ernesto Zedillo (presidente dal 1994 al 2000), che vinse alle presidenziali del 1994. Il suo mandato coincise con la grave crisi finanziaria del 1994, la quale portò il crollo del pil, la svalutazione del peso e la crescita della disoccupazione. Nel 1996, Zedillo democratizzò del tutto l’IFE, rendendo le future presidenziali del tutto trasparenti. Questo non bastò a frenare l’erosione dei consensi del PRI, resa eloquente dalle elezioni di medio termine del 1997 quando PAN e PRD, pur non in coalizione, ottennero 261 seggi contro i 239 del PRI. L’anno successivo i due partiti di opposizione si affermarono in diversi Stati, mentre Zedillo rinunciò alla pratica fino a quel momento in uso di nominare il candidato priísta che si sarebbe presentato alla successiva tornata elettorale. Inoltre, mise in atto la prima apertura istituzionale al PAN di un certo rilievo, offrendo ad un panista l’incarico di procuratore generale della repubblica.
Nonostante i rovesci, nel 1998 il PRI sembrò riguadagnare terreno in alcuni Stati, rendendo plausibile una sua vittoria alle elezioni di due anni dopo. In quell’occasione candidò il governatore di Sinaloa Francisco Labastida, sfidato dal panista Vicente Fox, allora governatore del Guanajuato, e da Cárdenas, sostenuto dalla coalizione di sinistra Alianza por México. Le presidenziali del 2000, inaspettatamente e per la prima volta nella storia del Messico, mandarono il PRI all’opposizione arridendo invece a Fox che vinse col 43%, seguito dal 36% di Labastida e dal 17% di Cárdenas. Era la fine del regime monopartitico, avvenuta dopo una lenta erosione propiziata dall’attivismo dal basso del PAN e di diverse formazioni di sinistra che gradualmente ottennero agibilità politica ed elezioni sempre più trasparenti. La presidenza Fox si concentrò in particolare sul miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti e nella pacificazione del Chiapas, ottenendo risultati parziali.

Nel 2006 i messicani si recarono di nuovo alle urne in un testa a testa tra il candidato del PAN Felipe Calderón e quello del PRD Andrés Manuel López Obrador. Vinse Calderón superando lo sfidante di meno dell’1%, non mancando di suscitare forti polemiche e intense proteste per presunte frodi che avrebbero sottratto la vittoria al candidato della sinistra. La presidenza di Calderón è stata caratterizzata da risultati economici ambivalenti e soprattutto dalla recrudescenza della violenza legata al narcotraffico, dovuta anche alla decisione di combattere il fenomeno manu militari senza però ottenere quanto sperato (Dawson, 2008 e Ronchi, 2010).
Dopo dodici anni di governo, il PAN è tornato all’opposizione in occasione delle presidenziali del 2012, vinte dal priísta Enrique Peña Nieto, mentre nel 2018 si è affermata per la prima volta la sinistra con la vittoria di López Obrador, attuale presidente del Messico. Questi deve affrontare diversi dossier legati alla pandemia di covid-19, alla crisi migratoria e, immancabilmente, al problema del narcotraffico.

Federico Sesia – Scacchiere Storico
Federico Sesia è laureato in Scienze Storiche con indirizzo contemporaneo. Si occupa soprattutto di storia della Spagna e dell’America Latina, oltre che della ex Jugoslavia e di storia militare. Collabora con riviste specialistiche e divulgative ed è membro della Società Italiana di Storia Militare (SISM).
Bibliografia
Aguayo Quezada S., La transición en México. Historia documental, 1910 – 2010, Fondo de Cultura Económica, 2010; Ai Camp R., La política en México, Siglo XXI Editores, 1995; Alcántara Sáez M., Freidenberg S. (eds.), Partidos políticos de América Latina. Centroamérica, México y República Dominicana, Ediciones Universidad de Salamanca, 2001; Aviña A., Specters of Revolution. Peasant guerrillas in the Cold War Mexican countryside, Oxford University Press, 2014; Bertaccini T. (a cura di), Il tramonto del regime rivoluzionario. Messico 1970 – 2010, Otto editore, 2012; Dawson A. S., Il sogno del primo mondo. Il Messico dal 1989, EDT, 2008; Garrido L. J., El partido de la revolución institucionalizada. La formación del nuevo estado en México (1928 – 1945), Siglo XXI Editores, 2001; De Giuseppe M., Messico 1900 – 1930. Stato, Chiesa e popoli indigeni, Morcelliana, 2007; De Giuseppe M., La rivoluzione messicana, Il Mulino, 2013; Gillingham P., Smith B. T. (eds,), Dictablanda. Politics, Work, and Culture in Mexico, 1938–1968, Duke University Press, 2014; Hernández Rodríguez R., Historia minima del PRI, El Colegio de México, 2016; Loaeza S., El Partido Acción Nacional: la larga marcha, 1939 – 1994. Oposición leal y partido de protesta, Fondo de Cultura Económica, 1999; Martínez González V. H., Fisiones y fusiones, divorcios y reconciliaciones. La dirigencia del Partido de la Revolución Democrática (PRD), 1989 – 2004, Centro de Estudios Politicos y Sociales de Monterrey, 2005; Medina Peña L., Hacia el nuevo Estado. México 1920 – 1994, Fondo de Cultura Económica, 1995; Meyer J., La Cristiada, III vol., Siglo XXI Editores, 1991; Montemayor C., Chiapas, la rebelión indigena de México, Espasa, 1998; Poniatowska E., La noche de Tlatelolco. Testimonios de historia oral, Biblioteca Era, 1998; Ronchi V., Neoliberalismo e neopopulismo in America Latina. I casi di Messico e Argentina negli anni Novanta, Il Mulino, 2010; Ronchi V., La metamorfosi della Rivoluzione. Il liberalismo sociale nel Messico di Salinas (1988-1994), Mimesis Edizioni, 2015; Servin E. (eds.), Del nacionalismo al neoliberalismo, 1940 – 1994, Fondo de Cultura Económica, 2010.
Immagine di copertina: pennone con bandiera messicana (fonte: autore, Jorge Mendoza; licenza CC0)
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