LA DIVISIONE ITALIA IN JUGOSLAVIA (1943-1945)

7ma brigata Vojvodina

di Federico Sesia

1. La dissoluzione della Divisione Bergamo

Tra le truppe italiane coinvolte nell’occupazione della Jugoslavia (1941–1943) in seguito all’armistizio circa 40.000 soldati decisero di unirsi alla resistenza. Caso noto è quello di alcune divisioni di stanza in Montenegro che formarono la Divisione italiana partigiana Garibaldi, scelta di campo attuata anche da alcune aliquote della Divisione Bergamo nello stesso periodo.

La Divisione di fanteria Bergamo faceva parte della II Armata e a ridosso dell’armistizio si trovava nell’area dalmata, a presidiare Spalato e i suoi dintorni. Comandata dal generale Emilio Becuzzi e forte di 20.000 uomini, avrebbe teoricamente potuto resistere all’avanzata tedesca laddove si fosse accordata con i partigiani di Tito, ma la condotta esitante e insipiente del suo generale impedì un simile scenario. Con l’avvicinarsi alla città della I divisione proletaria comandata dal generale Konstantin “Koča” Popović si palesarono le offerte jugoslave, che prevedevano la consegna delle armi italiane in cambio dell’aiuto per rientrare in patria. Becuzzi decise tardi di acconsentire alle richieste jugoslave, quando queste erano già entrate con la forza a Spalato, portando ad una resa formale della Divisione avvenuta a ridosso dell’arrivo dei tedeschi avvenuto senza che il grosso delle truppe venisse rimpatriato in Italia. L’arrivo dei soldati del Reich portò all’eccidio di quattro generali e 45 ufficiali che avevano acconsentito alla consegna delle armi ai partigiani, mentre il grosso dei reparti si arrendeva entrando a far parte degli Internati Militari Italiani (IMI). Come i loro omologhi in Italia o nelle zone di occupazione anche nel caso della Bergamo i soldati si trovarono di fronte a delle scelte difficili: o continuare la guerra con i tedeschi o subire l’internamento. Alcuni reparti ebbero però la possibilità di decidere di unirsi ai partigiani (Aga Rossi, Giusti, 2011; Torsiello, 2022).

2. I battaglioni Garibaldi e Matteotti

Le prime unità che inquadrate nell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPLJ) erano composte da dei carabinieri che rifiutarono la resa ai tedeschi. I colonnelli Attilio Venosta, Luigi Venerandi e il capitano Francesco Elia non consegnarono infatti le armi e si presentarono al comando partigiano, formando a metà settembre il Battaglione Garibaldi, con lo scopo di radunare quanti soldati italiani fossero intenzionati di resistere all’ex alleato. Inquadrato nel I Korpus dell’EPLJ, il mese successivo contava già 450 effettivi e venne coinvolto in diversi episodi bellici, prendendo anche parte alla liberazione di Belgrado nell’ottobre 1944.

Due tenenti della Divisione Bergamo, Aldo Parmeggiani e Adriano Host, sono all’origine dell’altra unità italiana che si unì alla resistenza. Dalla base di Signo in cui si trovavano rifiutarono la resa ai tedeschi unendosi invece all’VIII Korpus dell’esercito di Tito, ricevendo l’incarico di radunare quanti più italiani disposti a combattere fosse possibile. Fu così che a Livno (Bosnia) sorse il Battaglione Matteotti, comandato da Host e che nell’inverno 1943–1944 contò circa 400 effettivi. Il comandante della neonata formazione sulla carta aveva ottenuto diverse concessioni dai quadri partigiani, tra cui il non scontrarsi con altri italiani, un collegamento diretto con la madrepatria e adeguato sostegno materiale, che vennero però in larga misura disattese.

Bandiera partigiani jugoslavi
Bandiera dei partigiani jugoslavi (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

In generale non sempre la condotta partigiana verso i nuovi alleati fu irreprensibile. Complici i rancori accumulati nei precedenti due anni di occupazione e controguerriglia, diverse furono le vessazioni subire dalle truppe italiane che pur si schierarono con l’EPLJ, come le continue requisizioni di materiale bellico e personale e la mancata fornitura di equipaggiamento adeguato, che comportò la morte per assideramento di diversi militi del Matteotti, costretti ad affrontare il rigido clima bosniaco senza vestiario adeguato. Nella primavera del 1944 si verificarono inoltre casi di sparizione di alcuni ufficiali italiani mai chiarite del tutto, e a fronte delle proteste a riguardo di Venosta ed Elia i quadri partigiani decisero di rimpatriarli con motivazioni inconsistenti. Nonostante i rapporti difficili non mancarono però gli elogi dei comandi dell’EPLJ, che riconoscevano lo sforzo bellico degli italiani e la loro condotta nella guerra arrivando anche a decorare diversi di loro con onorificenze jugoslave.

Fin dai loro albori i battaglioni vissero una forte attività di proselitismo politico da parte delle autorità partigiane, che prevedeva corsi dottrinari e propagandistici da tenersi nei giorni di riposo. Il tentativo era quello di formare antifascisti e fedeli alleati della futura Jugoslavia socialista, che avrebbero migliorato i rapporti tra i due paesi e avuto un atteggiamento quantomeno benevolo verso le pretese territoriali di Belgrado. I risultati effettivi dell’attività di indottrinamento furono però al di sotto delle aspettative, dato che a guerra finita non più di duecento militi italiani risultarono connotati politicamente secondo i desiderata jugoslavi (Bistarelli, 1996; Loi, 1985; Scotti, 2009).

3. La trasformazione in divisione e il rimpatrio

In un primo momento i partigiani si opposero alle richieste italiane di fondere il Garibaldi e il Matteotti in un’unica unità. Le opposizioni vennero meno solo all’indomani della liberazione della Serbia, acconsentendo alla fusione dei due battaglioni nella Brigata d’assalto Italia, avvenuta a fine ottobre del 1944. Il comando della Brigata venne affidata al sottotenente dei bersaglieri Giuseppe Maras, con Parmeggiani come suo vice. Contando 3.000 effettivi organizzati in 4 battaglioni, i suoi uomini erano ben equipaggiati e presero presto parte alla lotta contro i tedeschi perdendo più di metà degli effettivi. A maggio la Brigata giunse a Zagabria, dove in seguito ad un accordo tra le autorità italiane e quelle jugoslave venne trasformata in Divisione, atto venuto poco prima il suo rimpatrio nel giugno del 1945. Una volta rientrata la Divisione Italia venne sciolta a Udine a luglio, alla presenza di rappresentanti delle forze armate italiane e jugoslave.

Federico Sesia – Scacchiere Storico

Federico Sesia è laureato in Scienze Storiche con indirizzo contemporaneo. Si occupa soprattutto di storia della Spagna e dell’America Latina, oltre che della ex Jugoslavia e di storia militare. Collabora con riviste specialistiche e divulgative ed è membro della Società Italiana di Storia Militare (SISM).

Bibliografia

Aga Rossi E., Giusti M. T., Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940 – 1945, Il Mulino, 2011; Aterrano M. M. (a cura di), La ricostruzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione 1943-1945, Rodorigo, 2018; Becherelli A., Formiconi P., La quinta sponda. Una storia dell’occupazione italiana della Croazia 1941 – 1943, Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico, 2015; Bistarelli A., La resistenza dei militari italiani all’estero. Jugoslavia centro settentrionale, Rivista Militare, 1996; Caccamo F., Monzali L. (a cura di), L’occupazione italiana della Jugoslavia (1941 – 1943), Le Lettere, 2008; Filiali F., I ribelli della montagna jugoslava. Storia della divisione italiana partigiana “Garibaldi” 1943 – 1945, Argot, 2019; Gobetti E., Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941 – 1943), Laterza, 2013; Gobetti E., La Resistenza dimenticata. Partigiani italiani in Montenegro (1943 – 1945), Salerno, 2018; Gestro S., La Divisione partigiana “Garibaldi”. Montenegro 1943-1945, Mursia, 2007; Loi S., La Brigata d’assalto Italia 1943 – 1945, Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico, 1985; Scotti G., Ventimila caduti. Gli Italiani in Jugoslavia dal 1943 al 1945, Mursia,1970; Scotti G., Il bosco dopo il mare. Partigiani italiani in Jugoslavia 1943-1945, Infinito, 2009; Talpo O., Dalmazia. Una cronaca per la storia (1943-1944 – Parte 3), Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico, 1995; Torsiello M., Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico, 2022; Tomasevich J., War and Revolution in Yugoslavia 1941 – 1945. Occupation and Collaboration, Stanford University Press, 2001; Viazzi L., Taddia L., La Resistenza dei militari italiani all’estero. La Divisione “Garibaldi” in Montenegro-Sangiaccato-Bosnia-Erzegovina, Rivista Militare, 1994.

Immagine di copertina: la 7ma Brigata Vojvodina dopo la liberazione di Novi Sad, nel 1944 (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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