di Federico Sesia
- Il Montenegro durante l’occupazione italiana (1941 – 1943)
Nell’aprile del 1941, le forze dell’Asse invasero il Regno di Jugoslavia, reo di aver abbandonato il Patto Tripartito, avendo ragione in breve tempo del poco efficiente esercito jugoslavo. Nella spartizione del paese che seguì tra i territori assegnati all’Italia (Lubiana, parte della Dalmazia e il Kosovo) si trova anche il Montenegro, e la nazionalità montenegrina della regina Elena di Savoia ha fatto sì che venisse instaurato uno Stato cliente nelle vesti di un regno formalmente indipendente. Le autorità italiane si illusero di poter essere accolte da liberatrici, sottovalutando il lealismo filo-serbo di parte della popolazione e la tradizione guerrigliera propria del Montenegro. Non a caso, si è trattato fin da subito di un’occupazione più difficile del previsto: i sentimenti nazionali montenegrini, offesi dalle mutilazioni territoriali a vantaggio di Italia (le Bocche di Cattaro) e di Albania (l’area delle saline di Ulcinj, fondamentali per l’economia del paese), provocarono un’estesa insurrezione che portò Roma a inviare il generale Alessandro Pirzio Biroli, veterano della Guerra d’Etiopia, a mettervi mano. In quest’occasione, la rivolta è stata messa in atto dai partigiani comunisti di Josip Broz “Tito” insieme ai nazionalisti serbi del movimento dei cetnici. Ad ogni modo, la controffensiva italiana riportò il Montenegro sotto il controllo di Pirzio Biroli, che instaurò un governo militare diretto e riuscì ad ottenere un accordo coi cetnici, nel frattempo allontanatisi dai partigiani in nome di un anticomunismo che li porterà a collaborare con le forze dell’Asse. Ciò nonostante siamo ben lontani da una reale pacificazione, e i tre anni di occupazione italiana sono contrassegnati da continue e devastanti operazioni di controguerriglia (dall’alto costo umano e materiale) senza riuscire a stroncare definitivamente il fenomeno resistenziale, che ricompariva ciclicamente come una sorta di fiume carsico. A ridosso dell’armistizio del 1943, nel paese regnava una calma surreale, dettata dalla consapevolezza di una sconfitta sempre più prossima (Goddi, 2016).
Ci pensò l’8 settembre a scuotere l’apatia dei soldati di stanza in Montenegro (circa 60.000 uomini), che colti del tutto di sorpresa intrapresero strade diverse con l’arrivo delle forze germaniche: i più fortunati riuscirono a rientrare in Italia, altri vennero catturati dai tedeschi, e altri ancora decisero di imbracciare le armi contro i loro ormai ex alleati (Themelly, 2001).
2. La Divisione partigiana Garibaldi (1943 – 1945)

È quest’ultimo il caso di tre divisioni del XIV corpo d’armata (Emilia, Taurinense e Venezia), che decisero di resistere alla Wehrmacht. Tuttavia, la superiorità di uomini e mezzi delle forze del Reich (che ben presto ebbero ragione dell’Emilia nelle Bocche di Cattaro) spinse le rimanenti divisioni a cercare un alleato per far fronte al nemico comune. I più adatti a tal scopo sembravano inizialmente i cetnici, coi quali si era collaborato in passato e che erano ideologicamente più vicini rispetto ai partigiani. Ad ogni modo i nazionalisti serbi, pur offrendo formalmente un’alleanza al generale Giovanni Battista Oxilia (che era a capo della Venezia), nei fatti erano più interessati a sconfiggere le forze di Tito anche appoggiandosi ai tedeschi, facendo naufragare il progetto. Si imponeva quindi un accordo coi partigiani, come sostenuto anche dal generale Lorenzo Vivalda della Taurinense, reso però difficile dai tre anni di scontri appena trascorsi. Alla fine fu un evento casuale accaduto nella città di Kolašin a suggellare l’improbabile accordo: dopo uno scontro con il II korpus del comandante partigiano Petar “Peko” Dapčević questi offrì un’alleanza al capitano Mario Riva, a capo della guarnigione italiana, che accettò. Gli accordi Riva-Dapčević rappresentarono il preludio di altri più vasti portati avanti dal generale Oxilia di lì a poco, che condussero ufficialmente alla fondazione della Divisione italianapartigiana Garibaldi (Italjanska partizanska divisija Garibaldi), avvenuta a Pljevlja il 2 dicembre 1943 (Gobetti, 2018; Viazzi, Taddia, 1994).

Gli jugoslavi disposero la fusione della Venezia con la Taurinense dividendone gli effettivi in tre brigate da 1.300 uomini ciascuna, sequestrando l’artiglieria, gli automezzi e gli apparecchi radio al fine di impedire le comunicazioni con l’Italia. La Garibaldi era inquadrata nel II korpus sotto il comando di Oxilia, mantenendo relazioni altalenanti con i nuovi alleati: se da un lato i partigiani fecero delle concessioni (come l’astensione dal giuramento a Tito, dall’iscrizione al Partito comunista e dal portarne le insegne sulle uniformi), allo stesso tempo non mancarono le angherie, esemplificate dai processi che il II korpus istituì nel 1944 a danno di quei militi della Divisione ritenuti colpevoli di diversi reati, dai crimini di guerra durante l’occupazione alla personale adesione al fascismo. All’atto pratico si trattò di processi sommari, in cui gli imputati ebbero ben poche possibilità di difendersi e che risultarono nell’esecuzione di 11 militari. Nonostante gli alti e bassi, con i suoi effettivi di circa 5000 uomini la Garibaldi rappresentò il più importante contributo italiano alla resistenza al nazismo all’estero, anche se non l’unico: sempre in Jugoslavia ci furono altri casi di soldati del Regio che passarono con Tito (come i soldati della Divisione Bergamo che formarono la Brigata d’assalto Italia nell’esercito di Tito), ed episodi analoghi (seppur meno fortunati) si verificarono anche in Grecia e Albania. Nello scenario jugoslavo furono 40.000 gli italiani che aderirono alla resistenza, di cui solo la metà farà ritorno in patria (Scotti, 2009, Scotti, 1970, Bistarelli, 1996, Loi, 1985).
Poco dopo la sua formazione, la neonata Divisione subì un violento attacco tedesco su Pljevlja, che provocò ingenti perdite e numerosi prigionieri. A peggiorare la situazione ci pensarono un’epidemia di tifo scoppiata tra la truppa e la rigidità dell’inverno montenegrino, al punto che per una ripresa degli effettivi si dovette aspettare l’agosto 1944 quando, una volta trasferitasi a Berane, vennero integrati nei suoi ranghi quegli italiani assegnati ai battaglioni lavoratori. Nel frattempo, la Garibaldi venne riorganizzata e il comando venne assegnato al l capitano Carlo Ravnich (Oxilia e Vivalda erano da poco rientrati in Italia), alpino istriano scelto dagli jugoslavi per le sue origini slave e proletarie (proveniva da una famiglia di minatori), erroneamente ritenute garanzia di vicinanza ideologica. Si trattò tuttavia di un abbaglio: non fu infatti un caso che questi nel Dopoguerra lasciò l’Istria alla volta dell’Italia nonostante la sua partecipazione alla resistenza. Allo stesso modo naufragarono i tentativi di indottrinamento messi in atto dai commissari politici inviati ad hoc, data la refrattarietà dei soldati a quanto proposto. La nomina di Ravnich venne seguita da un’offensiva della Wehrmacht che portò all’accerchiamento sul monte Durmitor, rotto quando il Reich dovette spostare i suoi effettivi dal Montenegro alla Romania. Nel 1945, la Garibaldi venne trasferita in Bosnia per contenere il movimento di truppe tedesche in ritirata dalla Grecia attraverso la Jugoslavia, rimanendo coinvolta in diversi scontri con gli occupanti.

Le vicende della Divisione Garibaldi giunsero al termine nel marzo del 1945, quando venne rimpatriata in Italia, dove fu ricevuta a Brindisi da re Umberto II in persona. Al suo scioglimento, avvenuto ad aprile, contava 3000 caduti e 5000 dispersi, con numerosi militi insigniti di onorificenze jugoslave e altri che ottennero i gradi di ufficiale dell’esercito partigiano, nonostante i rapporti difficili e i soprusi talvolta subiti dai nuovi alleati (Aga Rossi, Giusti, 2017). La memoria della Garibaldi, purtroppo semi sconosciuta in Italia, è stata invece preservata in Montenegro: nel 1983, l’allora presidente jugoslavo Mika Špiljak ha inaugurato un monumento alla Divisione a Pljevlja alla presenza del suo omologo Sandro Pertini, mentre il film La battaglia della Neretva (1969) del regista montenegrino Veljko Bulajić fa un riferimento alla Garibaldi inserendo nella sceneggiatura la figura del soldato Marco Riva, che decise di sua sponte di unirsi ai partigiani. In Italia per un memoriale della Divisione si è dovuto attendere il 2015, quando ad Asti è stato aperto un museo a lei dedicato, per quanto siano presenti qua e là singoli monumenti ai caduti nei luoghi della loro provenienza.

Federico Sesia – Scacchiere Storico
Federico Sesia è laureato in Scienze Storiche con indirizzo contemporaneo. Si occupa soprattutto di storia della Spagna e dell’America Latina, oltre che della ex Jugoslavia e di storia militare. Collabora con riviste specialistiche e divulgative ed è membro della Società Italiana di Storia Militare (SISM).
Bibliografia
Aga Rossi E., Giusti M. T., Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani 1940 – 1945, Il Mulino, 2017; Bistarelli A., La resistenza dei militari italiani all’estero. Jugoslavia centro settentrionale, Rivista Militare, 1996; Filiali F., I ribelli della montagna jugoslava. Storia della divisione italiana partigiana “Garibaldi” 1943 – 1945, Argot, 2019; Gestro S., La Divisione partigiana “Garibaldi”. Montenegro 1943 – 1945, Mursia, 2007; Gobetti E., La Resistenza dimenticata. Partigiani italiani in Montenegro (1943 – 1945), Salerno, 2018; Goddi F., Fronte Montenegro. Occupazione italiana e giustizia militare 1941 – 1943, Leg, 2016; Loi S., La Brigata d’Assalto Italia 1943 – 1945, Stato Maggiore Esercito dell’Esercito. Ufficio Storico, 1985; Scotti G., Ventimila caduti. Gli Italiani in Jugoslavia dal 1943 al 1945, Mursia, 1970; Scotti G., Il bosco dopo il mare. Partigiani italiani in Jugoslavia 1943 – 1945, Infinito, 2009; Themelly M., Le scelte di allora. I militari italiani in Montenegro dopo l’8 settembre, FrancoAngeli, 2001; Tosi L. (a cura di), Caro nemico. Soldati pistoiesi e toscani nella Resistenza in Albania e Montenegro, ETS, 2018; Viazzi L., Taddia L., La Resistenza dei militari italiani all’estero. La Divisione “Garibaldi” in Montenegro-Sangiaccato-Bosnia-Erzegovina, Rivista Militare, 1994.
Immagine di copertina: la divisione partigiana italiana Garibaldi sfila a Pljevlja durante l’anniversario della rivoluzione d’ottobre, 1943 (fonte: Wikipedia, licenza CC0)
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