LE PINTURAS DE CASTAS

Le caste nelle colonie spagnole

di Davide Galluzzi

La scoperta del continente americano e le spedizioni dei Conquistadores portarono, come noto, alla nascita dell’Impero coloniale spagnolo e all’incontro-scontro con le popolazioni native da un lato e la manodopera schiavile di origine africana, ben presto importata nelle colonie, dall’altro.

Questi tre gruppi etnici, nonostante i vani tentativi della Corona, non vivevano separati tra di loro, ma sovente si univano dando così vita a una varietà biologica impensabile in Europa. 

Furono proprio le menzionate unioni e la società coloniale nel senso più ampio del termine a fornire il contesto in cui nacquero e si svilupparono le cosiddette pinturas de castas.

  1. La società coloniale spagnola
Pinturas de castas del XVIII secolo
Pinturas de castas. “De Espanol y India: Mestisa” (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Fin dal XVI secolo le già citate unioni etniche e la prole da esse generata iniziarono a definirsi, dividendosi inizialmente in tre gruppi, ossia i meticci (generati dall’unione tra spagnoli e Nativi), mulatti (dall’unione tra spagnoli e neri) e zambo (dall’unione tra Nativi e neri).

Ben presto le definizioni si moltiplicarono, includendo termini di origine animale. La stessa parola “mulatto”, infatti, veniva fatta derivare da “mulo”, assimilando quindi l’uomo a un animale servile e non in grado di riprodursi, trasferendo così su un essere umano i pregiudizi legati alla bestia con lo scopo, sotteso a ognuna delle definizioni dei vari gruppi etnici, di esaltare la superiorità degli spagnoli e ribadire le distinzioni sociali d’Antico Regime presenti anche nelle colonie (Leme Santelli, 2011 e Catelli, 2012).

Questa straordinaria varietà biologica, inimmaginabile, come già accennato, nell’Europa dell’epoca, causò ben presto la reazione della Corona, la quale cercò di limitare la situazione e classificare le varie etnie da essa generate. 

Nel 1533, per esempio, la monarchia spagnola ordinò che i figli degli spagnoli, insieme alle loro madri, fossero portati dai padri per ricevere un’educazione cristiana (e quindi europea) venendo così incontro alle richieste della Chiesa che temeva i potenziali effetti nefasti di queste unioni ritenute illegittime (Leme Santelli, 2011). Non solo: a partire dal 1570 la Corona diede inizio a una politica di restringimento dei diritti dei meticci, vietando loro di vivere con gli indios e di portare armi, consentendo però loro di rivestire cariche religiose. È interessante notare, al riguardo, che i meticci pativano le stesse restrizioni imposte ai mulatti e ai neri i quali, tuttavia, poterono, a poco a poco, ottenere il diritto di diventare soldati (Leme Santelli, 2011).

L’avanzata di quello che veniva definito “meticciato” era dovuta proprio anche alla posizione dominante degli spagnoli, posti al vertice della società. I Nativi o le altre etnie, quindi, cercavano di ottenere vantaggi dall’unione con gli spagnoli, generando così una varietà etnica difficile da catalogare e creando, attraverso la distruzione delle barriere artificiali che la monarchia cercava invano di imporre, una eterogeneità basata anche su reciproche acculturazioni (Jiménez Del Val, 2009).

Fu quindi in questo contesto che, nelle colonie americane, si ridefinì il concetto stesso di “casta”, passando da quello spagnolo che identificava il lignaggio, a quello coloniale che definiva a livello razziale i vari tipi di meticci e la loro posizione socio-economica in Nuova Spagna e nelle altre colonie. In base a questo fenomeno sembrerebbe lecito affermare come la stratificazione sociale si basasse, nell’America spagnola, essenzialmente su tre elementi, ossia quello razziale, quello economico e quello culturale (Leme Santelli, 2011).

Le castas, quindi, classificavano la diversità, cercando di ordinarla a livello visuale, ossia attraverso il colore della pelle, e sociale. La Corona, in pratica, classificava i sudditi per categorie fenotipiche e culturali dove lo spazio più alto era occupato dagli spagnoli e quello più basso dai neri, tanto liberi quanto schiavi, il cui sangue era considerato il più impuro di tutti (Arroyo Urióstegui, 2016 e Luján Sánchez, 2013).

Pinturas de castas del XVIII secolo
Pinturas de castas del XVIII secolo (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Da quest’ultimo aspetto emerge un fattore determinante per comprendere sia la società coloniale ispano-americana, sia le pinturas de castas, ossia l’importanza della purezza razziale tanto in Spagna quanto nelle colonie e la volontà della monarchia di imporre anche nei nuovi domini il principio della limpieza de sangre.

È importante notare fin da subito come tale principio non venisse assunto passivamente nelle colonie, ma si adattasse, modificandosi, alla nuova realtà. Se in Spagna, infatti, il sangue era considerato “impuro” se macchiato dalla presenza di un’ascendenza ebraica, nelle Americhe è il sangue nero a sostituirsi a quello ebraico (Campos Rivas, 2016). Il concetto stesso di “mala raza” si trasferì quindi ai neri e ai loro discendenti, mantenendo da un lato un carattere religioso (essi erano infatti considerati discendenti di Cam) e ottenendo dall’altro una nuova peculiarità: il sangue africano era considerato impuro perché associato alla schiavitù (Campos Rivas, 2016 e Luján Sánchez, 2013).

Gli africani e gli afrodiscendenti, di conseguenza, venivano considerati “infames por derecho” e veniva loro vietato di portare armi, ricoprire cariche o di sposare tanto gli spagnoli quanto i Nativi (Jiménez Del Val, 2009). La posizione di questi ultimi, d’altro canto, era leggermente migliore. I Nativi, infatti, venivano visti come “razza pura”, benché “sin razón” e quindi trattati come minori. L’unione con gli indios, quindi, diluiva il sangue spagnolo, ma non lo macchiava tanto quanto l’unione con i neri, senza contare che il matrimonio misto era consentito da una Cédula del 1514 (Jiménez Del Val, 2009 e Díaz Calcaño, s.d.).

Basandosi non solo sul colore della pelle, ma anche sulla fisionomia e sul lignaggio si cercava così di costruire una gerarchia razziale in uno spazio coloniale assai confuso, fluido, complesso e costituito da un vasto mosaico di popolazioni (Díaz Calcaño, s.d. e Luján Sánchez, 2013). L’aspetto fisico, quindi, era usato come strumento classificatore per rimarcare le differenze di classe, riflettendo questo aspetto fondamentale anche sull’abbigliamento, segno di distinzione sociale e di prestigio e, di conseguenza, uno degli elementi principali per dividere la popolazione. L’apparato legislativo coloniale, infatti, definiva l’identità visibile determinando il vestiario concesso a ogni casta, per esempio vietando a determinati individui di indossare capi distintivi delle classi più alte e rimarcando così un ordinamento sociale fortemente gerarchizzato e definendo visivamente lo spazio occupato da ogni casta (Luján Sánchez, 2013).

Il sistema delle caste, in definitiva, istituzionalizzava i diritti legati a determinate caratteristiche razziali, assegnando a ogni gruppo ben definiti ruoli politici, economici e sociali.

  1. Le pinturas de castas

Da quanto abbiamo detto sino a ora emerge quindi la costante necessità e volontà di riportare ordine in una società che non poteva non essere disordinata a causa delle unioni interrazziali. 

A metà del XVIII secolo, quindi, nacque in Nuova Spagna quel fenomeno assai complesso che furono le pinturas de castas. La loro struttura era in realtà assai semplice e seguiva un canovaccio ben definito: le pinturas, infatti, riproducevano scene di vita quotidiana ritraendo uomini e donne e la discendenza generata dalla loro unione (Leme Santelli, 2011). La riproduzione di un ambiente familiare non pare essere casuale: esso serviva infatti a disinnescare le tensioni sociali e a mostrare l’unità e il controllo in una gerarchia ben determinata, esorcizzando così il timore che l’élite creola associava alle caste, ossia la crisi del sistema imperiale (Leme Santelli, 2011 e Díaz Calcaño, s.d.).

Pinturas de castas del XVIII secolo
Pinturas de castas. “De Espanol y Mestisa: Castisa” (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Le pinturas servivano quindi a mettere ordine nell’eterogenea società coloniale riducendo ogni individuo nel ristretto spazio del suo ceto. Esse rappresentavano la diversità razziale della società ispano-americana ed erano parte di una strategia di controllo sociale, rendendo in forma visuale quel principio della limpieza de sangre riadattato allo spazio coloniale dove neri e indios si sostituivano agli ebrei e ai mori (Leme Santelli, 2011).

Il sopracitato canovaccio era riflesso di questo aspetto e prevedeva che la serie iniziasse con la rappresentazione delle coppie spagnole, ossia la razza pura, ritraendo poi le varie forme di unioni interrazziali. Più si proseguiva nella serie, più il sangue si allontanava dalla purezza spagnola e più diminuiva lo status sociale delle caste.

Nel corso del secolo si ebbe anche un’evoluzione delle rappresentazioni e le pinturas iniziarono a includere le occupazioni cui erano dedite le varie caste, seguendo lo stesso principio gerarchico: le occupazioni migliori erano appannaggio degli spagnoli, mentre la donna, pur lavoratrice nelle caste più basse, era sempre sottomessa all’uomo (Leme Santelli, 2011).

Emerge, attraverso questa ossessiva volontà di classificazione, il timore delle autorità di perdere il controllo della popolazione. Le pinturas, infatti, non implicavano una convivenza pacifica, ma ribadivano la struttura gerarchica d’Antico Regime (Leme Santelli, 2011). Attraverso la riproduzione di scene quotidiane, del lavoro, della natura, degli animali e del vestiario si rappresentava sì una realtà, ma idealizzata e costruita attraverso la visione degli spagnoli bianchi, sottolineando così le differenze nell’ordinamento sociale coloniale attraverso un discorso visuale-verbale razziale che rendeva visibile la gerarchia dei corpi nei diversi spazi sociali, economici e politici (Arroyo Urióstegui, 2016, Luján Sánchez, 2013 e Catelli, 2012).

Le pinturas, quindi, volevano rappresentare le caste in modo deterministico, presentandole come inevitabili in una società già di per sé gerarchica. Proprio in base a tali differenze razziali, la superiorità degli spagnoli sarebbe stata accettata da tutti (Arroyo Urióstegui, 2016). Si assisteva così, attraverso questa forma artistica, alla creazione di un discorso visuale in cui lo spagnolo era ricoperto di valori positivi, mentre le persone di origine africana (o i loro discendenti) erano ricoperti di valori negativi. Tale discorso legittimava di conseguenza la stratificazione sociale e le disuguaglianze: gli spagnoli erano sì disposti a convivere con le altre razze e a mischiarsi con esse, ma queste erano comunque subordinate al dominio coloniale della razza pura (Arroyo Urióstegui, 2016).

Emerge quindi l’intenzione di mostrare la società coloniale come divisa, ma ordinata e civilizzata secondo i canoni europei, necessità tanto più urgente quanto, è bene ricordarlo, nel corso del XVIII secolo la nuova dinastia regnante dei Borbone era impegnata in una serie di riforme volte a modificare le redini politico-economiche delle colonie, aspetti sui quali torneremo in seguito (Arroyo Urióstegui, 2016 e Álvarez de Araya Cid, 2019).

Questa volontà di rimarcare le differenze di ceto nella società coloniale d’Antico Regime, la classificazione razziale dei sudditi cui si collegava l’accesso o meno a determinate professioni e privilegi e il terrore della flessibilità della barriera razziale mostrato dalla classe dominante bianca suggeriscono di calare le pinturas in un contesto più ampio della sola tendenza classificatoria scientifica che, pure, è elemento da non trascurare (Proenço de Oliveira, 2018).

A tal riguardo, bisogna ricordare come le pinturas nacquero in un’epoca caratterizzata dalla curiosità scientifica e dallo sviluppo della tassonomia, entrambi aspetti che generarono curiosità per l’America (Campos Rivas, 2016). Un riflesso di questo fenomeno si ebbe anche sulla serie dipinta da José Joaquín Magón che, oltre a elencare i prodotti delle relazioni interrazziali, descriveva figure e costumi tipici di ogni casta, trasformando la sua opera in un catalogo tassonomico che trascendeva il piano rappresentativo per toccare quello interpretativo, unendo il discorso delle castas al nascente paradigma del razzismo scientifico (Campos Rivas, 2016).

Si mostravano così gli effetti benefici della “purificazione” del sangue indio attraverso l’unione con gli spagnoli e, viceversa, la degenerazione del sangue puro attraverso l’unione con i neri, da evitarsi a ogni costo anche per i Nativi: si abbinava quindi un costrutto sociale a un concetto “scientifico-biologico” (Campos Rivas, 2016). Quella che emergeva era, di conseguenza, una concezione eurocentrica-piramidale che poneva al vertice la “razza bianca” e chiamava le famiglie alla purificazione razziale, giustificando l’immobilità sociale (Campos Rivas, 2016).

Abbiamo più volte accennato, nel corso di questo articolo, al canovaccio seguito dalle pinturas e alla sua evoluzione. Vale la pena, quindi, spendere qualche parola al riguardo.

Le figure dipinte (sempre, è bene ricordarlo, uomini e donne con i loro figli) venivano ritratte in scene urbane o rurali che, nel corso del secolo, si arricchirono di dettagli, riproducendo quindi l’abbigliamento, i cibi consumati, le occupazioni. Si approfondiva, così, l’indagine sui vari gruppi sociali, distinguendo maggiormente gli spagnoli dalle altre caste (Díaz Calcaño, s.d.).

Pinturas de castas del XVIII secolo
Pinturas de castas. “De Indio y Barsina: Zambayga” (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Per i motivi già visti, inoltre, veniva dato risalto all’abbigliamento, segnalando il modo di vestire degli spagnoli e quello degli altri gruppi in cui era divisa la popolazione, dando vita a stereotipi che perdurano ancora oggi. Queste descrizioni stereotipate, quindi, non erano neutre ma ideologizzate e l’abbigliamento era un costrutto simbolico che rappresentava i corpi vestiti come simbolo del contesto da loro occupato, divenendo così fondamento dell’immaginario collettivo (Luján Sánchez, 2013).

Le scene, inoltre, indicavano le qualità e i caratteri di ogni razza. Per esempio, le pinturas di Andrés de las Islas, ritraevano le donne nere in atteggiamenti violenti, mostrando il loro presunto carattere rozzo e relegandole a lavori manuali, immagine che contrastava con il ritratto domestico e armonico delle coppie spagnole o con quello della donna mulatta, docile e mansueta per via dei benefici effetti del sangue spagnolo (Díaz Calcaño, s.d.).

Anche nella rappresentazione dello spazio pubblico e privato vi erano differenze: il secondo, legato all’ozio, era presente nei ritratti di coppie spagnole in quanto costituiva un privilegio; il secondo, legato al lavoro e alla povertà, veniva usato per caratterizzare meticci, mulatti e le altre castas. Analogamente, la donna spagnola veniva ritratta in un salotto buono, circondata dalla famiglia, mentre le altre donne lavoravano o andavano al mercato.

Come detto più volte, le pinturas non sono ritratti, ma figure idealizzate: le prime immagini sono sempre di uomini spagnoli con donne spagnole, native e via discorrendo. Si segnalava così la posizione dominante dell’uomo bianco-spagnolo: è lui a comandare e controllare, è lui ad avere la libertà di sfruttare e godere dei tesori delle colonie, tanto a livello economico quanto sessuale (Díaz Calcaño, s.d.).

  1. Le pinturas de castas come espressione del criollismo e del colonialismo interno
Pinturas de castas di Luis de Mena
Pinturas de castas di Luis de Mena (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Le pinturas de castas possono essere fonte anche per la nascita e lo sviluppo del “criollismo” e della reazione creola alle già menzionate riforme borboniche. Alcuni storici, infatti, hanno notato una relazione tra le pinturas, il discorso razziale-razzista e la formazione di un immaginario culturale creolo. L’identità nazionale creola, quindi, sarebbe iniziata con la definizione e demarcazione dell’alterità etnica e razziale di indios, neri e meticci, facendo propria l’ossessione per la limpieza de sangre e la ben definita diversità di ogni casta (Catelli, 2012).

È interessante notare come tale processo di creazione di una coscienza razziale creola attraverso la differenza con altri gruppi subalterni si intensificasse durante gli anni delle riforme borboniche che, escludendo i nati nelle colonie dalle cariche ecclesiastiche e dall’amministrazione civile, limitavano l’accesso ai privilegi per i creoli. La distanza tra questi ultimi e la Madrepatria si approfondiva quindi a causa delle riforme che favorivano gli spagnoli peninsulari.

Tale distanza, è bene sottolinearlo, era già presente e ben evidenziata proprio dal termine stesso “creolo” che, nato come definizione per gli schiavi neri nati in America, passò poi a identificare i figli di spagnoli nati nelle colonie, unendo l’aspetto razziale determinista a una categoria sociale e legale (Catelli, 2012).

Questo processo portò le élite creole ad avviare una nuova strategia per accedere agli spazi perduti, articolando la propria azione intorno alla costruzione di reti familiari e rapporti con gli immigrati spagnoli e i funzionari inviati dalla Corona, sfociando poi, nel XIX secolo, in quel fenomeno definito come “colonialismo interno”, ossia la costruzione nazionale basata sulla limpieza de sangre (che legittimava l’accesso al potere) e sulla pretesa differenza con i Nativi e con i neri. L’immaginario creolo, quindi, si sarebbe costruito intorno a una comunità che si definisce a partire da ben determinate identificazioni e disidentificazioni, da inclusioni ed esclusioni (Catelli, 2012).

Fu anche in questo contesto che nacquero e si svilupparono le pinturas de castas e le accademie artistiche creole che riunivano autori dediti alla produzione di questa forma d’arte come, per esempio la Academia de Pintura fondata da José de Ibarra nel 1753, la quale porterà alle menzionate innovazioni nelle riproduzioni artistiche (Catelli, 2012).

Naturalmente una certa “coscienza di casta” dominava questa istituzione la quale, per statuto, era riservata ai creoli, escludendo espressamente gli africani e gli afrodiscendenti. Questo non deve stupirci: anche le accademie artistiche, infatti, erano espressione della lotta dei creoli per occupare nuovamente gli spazi loro preclusi dalle riforme borboniche, tanto da cercare, senza ottenerlo, il patrocinio reale (Catelli, 2012).

Il mancato riconoscimento della Corona frustrò ulteriormente le aspirazioni creole, relegando le pinturas al circuito commerciale. Queste ultime, tuttavia, iniziarono a diffondersi anche al di fuori della Nuova Spagna, ossia in Venezuela e in Perù, suggerendo così l’esistenza di uno spazio per la produzione artistica coloniale e per la diffusione del discorso creolo che sarà poi una delle basi dei movimenti indipendentisti (Arroyo Urióstegui, 2016).

Le pinturas, quindi, sottintendevano anche un discorso politico sull’unione di persone di distinte “qualità”, inventando una continuità con il passato indigeno per costruire una legittimità creola che mettesse in discussione l’egemonia spagnola (Catelli, 2012).

Come conseguenza di questa assolutizzazione delle differenze socio-culturali e delle relazioni di dominazione, i creoli iniziarono a considerarsi sempre più come “puri”, limitando il discorso relativo alla “mezcla” alle altre caste. In alcuni casi, quindi, le pinturas cessarono di ritrarre le unioni tra creoli e spagnoli, mentre in altre si usava il termine “spagnolo” per indicare indistintamente anche i creoli nel tentativo di eliminare una barriera vista come deleteria (Catelli, 2012 e Proenço de Oliveira, 2018).

Pinturas de castas del XVIII secolo
Pinturas de castas (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Attraverso le pinturas de castas i creoli costruirono un discorso colonialista interno che inculcava timore, servilismo e complesso di inferiorità negli altri gruppi in cui era divisa la popolazione. Questi meccanismi di inferiorizzazione avvenivano attraverso la creazione e la ripetizione di stereotipi negativi che proiettavano le ben determinate caratteristiche, viste nei paragrafi precedenti, nell’immaginario socio-culturale coloniale (Catelli, 2012).

Le pinturas, quindi, furono anche elemento di costruzione visiva di questi stereotipi sottesi al discorso colonialista spagnolo prima e al colonialismo interno creolo poi.

  1. Conclusioni

Le pinturas de castas furono un’espressione artistica nata in Nuova Spagna nel XVIII secolo, ma, come abbiamo visto, rappresentarono un fenomeno che andava ben al di là della mera natura artistica.

Esse sono, infatti, fonte assai importante per meglio comprendere la realtà coloniale spagnola e la nascita e lo sviluppo del movimento indipendentista creolo.

Non solo: attraverso l’analisi degli aspetti legati alla limpieza de sangre, al razzismo e alla costruzione di stereotipi, esse ci permettono di tracciare un ponte con il presente e mettere in luce, contribuendo alla loro comprensione, fenomeni purtroppo ancora esistenti nelle società latinoamericane e non solo.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

Álvarez de Araya Cid G., Géneros de la pintura, pintura de géneros: hacia una nueva lectura de la pintura de castas., Revista 180, N.44, 2019; Arroyo Urióstegui A.J., Pintura de castas, una interpretación, Diseño y Sociedad N. 40, 2016; Campos Rivas C.F., El diálogo taxonómico entre la pintura de castas y el cientificismo racial: el caso de José Joaquín Magón, Revista Kaypunku, Volumen 3, Número 2, 2016; Catelli L., Pintores criollos, pintura de castas y colonialismo interno: los discursos raciales de las agencias criollas en la Nueva España del periodo virreinal tardío, CILHA – a.13 n.17, 2012; Díaz Calcaño T., Los frutos de la conquista: la representación de la comida y la figura femenina en las pinturas de castas, Colleccionismo, Mecenazgo y Mercado artístico en España y Iberoamérica, I Congreso Internacional de Jóvenes Investigadores; Jimenez del Val N., Pinturas de Casta: Mexican Caste Paintings, a Foucauldian Reading, New Readings 10, Cardiff University Press, 2009; Luján Sánchez V., Representaciones del vestir en la pintura de castas: el indumento como indicador en el marco de un modelo social estamentario, https://www.researchgate.net/publication/303786006_Representaciones_del_vestir_en_la_pintura_de_castas_el_indumento_como_indicador_en_el_marco_de_un_modelo_social_estamentario; Leme Santelli R., Castas Ilustradas: Representação de Mestiços no México do Século XVIII, Anais do XXVI Simpósio Nacional de História – ANPUH, São Paulo, 2011; Proenço de Oliveira J., Colonialismos e discursos raciais: as castas de Luis de Mena e o Criollismo no México do Século XVIII, ÍCONE – Revista brasileira de História da Arte, 2018.

Immagine di copertina: dettaglio di un dipinto raffigurante il sistema delle caste adottato nelle colonie spagnole in America, con le loro 16 combinazioni. Autore anonimo, XVIII secolo. Museo Nacional del Virreinato, Tepotzotlán, Mexico (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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