LA FIGURA DI RICCARDO III, TRA USO PUBBLICO E STORIA

Riccardo III interpretato da David Garrick

di Davide Galluzzi

“Ora l’inverno della nostra amarezza s’è cambiato in gloriosa estate a questo sole di York” (Shakespeare, 1989), così si apre una delle opere più celebri di William Shakespeare, ossia “Riccardo III”, la tragedia che racconta l’ascesa al trono e la repentina caduta di Riccardo, duca di Gloucester e fratello di re Edoardo IV d’Inghilterra.

Come noto, Shakespeare compose un ritratto assai impietoso dell’ultimo monarca Plantageneto, un ritratto che, molto più delle opere scientifiche di diversi studiosi, avrebbe determinato il modo in cui Riccardo III sarebbe passato alla Storia, quanto meno nel “sentire comune”, in quella che potremmo, con qualche forzatura e con tutte le cautele necessarie, definire “memoria collettiva” non solo del Regno Unito, ma anche dell’Europa e dell’umanità in generale. 

Quanto vi è di vero nell’opera shakespeariana? Riccardo III è stato davvero un monarca tirannico, una figura quasi demoniaca come quella tratteggiata nell’omonima tragedia? Quali furono le fonti utilizzate dal Bardo e quanto sia esse, sia l’influenza di Shakespeare hanno determinato l’idea che ancora oggi abbiamo di questo monarca inglese? 

  1. Riccardo III tra finzione e realtà

Per provare a rispondere alle domande appena poste dobbiamo muoverci, almeno da principio, tra l’analisi dell’opera di Shakespeare e quella delle fonti che hanno influenzato il Bardo.

Riccardo III d'Inghilterra
Ritratto di re Riccardo III (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Iniziamo, quindi, citando alcuni passi del monologo con cui lo stesso Riccardo apre la tragedia:

«[…] Ma io, che non ho grazia fisica per simili giochi e neppure per corteggiare un amoroso specchio, io che sono di rozzo conio, manco della forza regale dell’amore per girare lento davanti a una molle, ancheggiante ninfa; io che sono privo di questa bella simmetria, frodato nel volto dalla natura simulatrice, deforme, imperfetto, spinto prima del tempo in questo mondo che respira, appena formato a metà e così storpio e fuori d’ogni sembianza comune che i cani mi abbaiano contro, quando passo zoppicando vicino a loro […]» (Shakespeare, 1989).

Così il duca di Gloucester descrive sé stesso. Un ritratto, in realtà, assai impietoso: Riccardo sarebbe quindi stato un uomo deforme, zoppo e gobbo, un vero e proprio mostro la cui sola presenza inorridiva uomini e animali.

William Shakespeare, come noto, non conobbe mai personalmente l’ultimo re Plantageneto, il quale, è bene ricordarlo, trovò la morte a Bosworth Field nel 1485. Inoltre, non sono giunti sino a noi ritratti di Riccardo III eseguiti mentre il monarca era in vita. La descrizione che il Bardo fa del duca di Gloucester venne quindi influenzata dalla fonte principale che utilizzò nella redazione della sua opera, ossia l’incompiuta “Storia di Riccardo Terzo” di Thomas More.

Il grande umanista inglese, infatti, descrive il monarca come «[…] little of stature, ill fetured of limmes, croke backed, his left shoulder much higher then his right, hard favoured of visage, and suche as is in states called warlye, in other menne otherwise, he was malicious, wrathfull, envious and, from afore his birth, ever frowarde […]» (More, 1883).

Addirittura, secondo alcuni autori come John Rous (il quale incontrò l’ultimo Plantageneto di persona), Riccardo sarebbe restato nel grembo materno per ben due anni, nascendo quindi già con i denti e i capelli (Walpole, 2015).

Numerosi ritratti di poco successivi la morte di Riccardo III e diverse testimonianze coeve, tuttavia, ci descrivono il monarca sì di piccola statura e con una spalla leggermente superiore all’altra, ma non come mostro deforme e zoppo. L’immagine di More e Shakespeare, infatti, ben poco si adatterebbe al duca e poi re guerriero Riccardo, ultimo monarca inglese a trovare la morte sul campo di battaglia e tra i condottieri principali della Casa di York durante la Guerra delle Due Rose.

La figura storpia e gobba, quindi, sarebbe una finzione o, quanto meno, un’esagerazione dell’umanista inglese. Una deformità esteriore che, come ricorda Francis Bacon, denuncerebbe quella interiore, ossia la malvagità d’animo.

Sia il Bardo, sia Thomas More, infatti, accusano il duca di Gloucester di aver commesso numerosi crimini, tra i quali aver complottato per l’assassinio del fratello Clarence, aver usurpato il trono strappando la corona al giovane nipote Edoardo V, di averlo prima rinchiuso nella Torre di Londra e poi fatto assassinare quest’ultimo e il di lui fratello, Riccardo di Shrewsbury.

Edoardo V d'Inghilterra
Ritratto del giovane re Edoardo V (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

I crimini più atroci e gravi furono questi due e sono quelli che, proprio per la grandezza dell’opera di Shakespeare, sono restati più vivi nella memoria di tutti noi. Per secoli, infatti, l’accusa di aver usurpato il trono e aver fatto successivamente assassinare i giovani principi fu presa come verità assoluta. In realtà fin dal XVII secolo e dalla fine della monarchia Tudor, alcuni autori iniziarono a rivedere la figura di Riccardo III; tuttavia fu necessario attendere il XVIII secolo e la redazione dei Dubbi storici sulla vita e sul regno di Riccardo III da parte di Horace Walpole per iniziare a mettere  in discussione della versione dominante e per rivedere storicamente e accuratamente la figura dell’ultimo re della Casa di York.

Fu infatti Walpole a ricondurre la tragedia di Shakespeare alla dimensione di finzione letteraria e a mettere in dubbio la validità storica dell’opera di Thomas More. Il fondatore del genere gotico notò come More fosse autore assai vicino alla nuova dinastia regnante in Inghilterra. I Tudor presero la corona letteralmente dalla testa insanguinata di Riccardo ed Enrico VII, capostipite della dinastia, godeva di una legittimità assai debole e che proprio attraverso la demonizzazione del monarca precedente, Riccardo III, cercava di sostenere il proprio traballante trono (Walpole, 2015).

Le prove portate da Walpole a difesa di Riccardo sono numerose ed elencarle tutte andrebbe al di là dell’obiettivo assai più modesto che ci siamo prefissati con la redazione di questo articolo. Basti ricordare che l’asse principale attorno a cui ruota l’opera di questo grande autore è la mancanza di prove certe circa l’effettiva morte dei figli di Edoardo IV durante il regno di Riccardo III. Altro punto fondamentale è la messa in discussione della teoria secondo la quale il duca di Gloucester avrebbe ordito un complotto volto all’usurpazione del trono, il quale, anzi, gli assegnato da quello stesso Parlamento che determinò l’illegittimità degli eredi di Edoardo IV, reo di aver stipulato un pre-contratto matrimoniale anni prima di sposare Elisabetta Woodville (Walpole, 2015).

A partire dalla pubblicazione dei Dubbi di Walpole sempre più storici hanno iniziato a studiare la figura dell’ultimo Plantageneto sotto una nuova luce, contribuendo così a sfumare il giudizio sulla sua figura determinato dalle opere di precedenti autori del calibro di More e Bacon.

Lentamente è emerso un ritratto di Riccardo III assai diverso da quello di un uomo deforme, malvagio e tirannico. Si è infatti notato come, durante il suo regno, egli si rese protagonista di numerose riforme positive e illuminate quali, per esempio, la nascita della Court of Request, l’instaurazione del principio della blind justice e dell’innocenza fino a prova contraria, l’abolizione della censura e la traduzione delle leggi dal francese all’inglese, in modo da renderle accessibili a strati più ampi della popolazione (Buka, 2014).

Re Riccardo III e la regina Anna d'Inghilterra
Re Riccardo III e la regina Anna (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Accanto a questa revisione positiva del regno di Riccardo III, il cui culmine si è toccato con la fondazione dell’Associazione Riccardo III da decenni impegnata in un lavoro di ricerca e memoria, è però continuata la redazione di opere che mettevano in discussione tali revisioni e che, proponendo allo stesso modo diversi dubbi circa le nuove visioni lentamente emerse, mettevano in guardia dai pericoli di una sorta di agiografia nata intorno alla figura del monarca caduto a Bosworth Field, proprio a partire dalla (nuovamente) messa in discussione dell’estraneità di Riccardo agli eventi che portarono all’invalidazione degli eredi del fratello Edoardo IV (Levine, 1959). 

Proprio il chiaroscuro in cui si mosse Riccardo e proprio la mancanza di fonti certe sulla sua ascesa al trono e sulla sorte dei due principini rinchiusi nella Torre di Londra (sorte sulla quale si potrebbe gettare una parziale luce con un nuovo esame forense delle ossa dei presunti figli di Edoardo IV sepolti a Westminster, la cui analisi del DNA potrebbe venire facilitata dal ritrovamento dei resti mortali di Riccardo III, ma che incontra l’opposizione sia della Chiesa, sia della Corona d’Inghilterra) (The Guardian, 2013) favorisce una continua rivisitazione, in positivo e in negativo, della vita e del regno dell’ultimo Plantageneto. Rivisitazione che, anche in ambito accademico, infiamma gli animi di numerosi studiosi.

  1. L’uso pubblico della figura di Riccardo III

In base a quanto abbiamo riportato nel paragrafo precedente non sarà difficile immaginare come la figura dell’ultimo Plantageneto sia stata, da sempre, al centro di un massiccio uso pubblico e propagandistico. Raramente, tuttavia, questo processo si è basato sulla verità storica, venendo quindi influenzato dalla finzione shakespeariana o dall’opera di Thomas More.

In realtà, una ridefinizione dell’immagine del duca di Gloucester si ebbe già mentre egli era in vita e proprio su suo preciso disegno. All’indomani dell’ascesa al trono, infatti, Riccardo dedicò molta cura a presentarsi da un lato come fedele e leale fratello del precedente monarca Edoardo IV (decisione, aggiungiamo noi, che potrebbe tradire una sorta di incertezza del duca circa l’accettazione della sua nomina a re da parte di settori della società inglese), mentre, dall’altro, iniziò a presentarsi come persona diametralmente opposta al defunto fratello. Quest’ultimo, infatti, fu uomo vizioso che visse nella sensualità e si circondò di cattivi consiglieri, mentre Riccardo, dal canto suo, era virtuoso e ricercava i consigli di uomini dabbene e timorati di Dio (Michalove, n.d.). 

Enrico VII Tudor
Ritratto del re Enrico VII Tudor (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Successivamente alla battaglia di Bosworth Field e alla nascita della monarchia Tudor iniziò, come abbiamo visto, una vera e propria demonizzazione di Riccardo volta, tramite la distruzione della sua figura, alla legittimazione di Enrico VII.

Fu però proprio grazie all’opera di Shakespeare e alla sua finzione letteraria che l’ultimo Plantageneto, divenuto simbolo stesso del male e della tirannia, si trovò al centro di un massiccio uso propagandistico della sua figura.

La messa in scena della tragedia del Bardo, come nota M.G. Aune, diede nuova spinta alla rivisitazione dell’immagine di Riccardo proprio perché, grazie agli attori che lo impersonarono, egli abbandonò la dimensione storica e letteraria, divenendo costruzione non solo verbale, ma anche visiva e accessibile a tutti (Aune, 2006).

Proprio grazie a questo processo e alla caratterizzazione del Plantageneto come mostro deforme il cui aspetto esteriore esprimeva la malvagità interiore, l’ultimo re York iniziò a venire usato per attaccare politicamente figure chiave della storia inglese. Fin dal XVI secolo, infatti, gli oppositori di Robert Cecil accostarono il potente ministro di Elisabetta I e Giacomo I a Riccardo III, con il palese intento di segnalarne la natura perversa e fisicamente deforme, nonché il carattere doppiogiochista e manipolatore di entrambi, quasi a tracciare un voluto parallelo tra le due figure storiche (Aune, 2006). 

Riccardo III a Bosworth Fields
Riccardo III durante la Battaglia di Bosworth Fields (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Da quel momento il carattere politico della tragedia shakespeariana e dell’immagine del Plantageneto divenne predominante e numerose figure subirono la sorte di Cecil, basti pensare a Carlo I e a Oliver Cromwell. Un punto di svolta fondamentale, tuttavia, si ebbe nel corso del XX secolo quando le rappresentazioni sceniche dell’opera vennero influenzate dall’ascesa del fascismo a livello europeo. Riccardo III e la sua natura tirannica e machiavellica, quindi, si vennero sempre più a identificare con il regime totalitario nazista, subendo una vera e propria rivisitazione visiva culminata, a livello cinematografico, con la trasposizione interpretata da Ian McKellen che vedeva, come già avvenuto anche negli Anni 20, un Riccardo in camicia nera giungendo quindi a un’identificazione tra regno riccardiano e Terzo Reich, tra Riccardo III e Adolf Hitler (Aune, 2006).

  1. Conclusioni

Fin dall’indomani della sua morte, avvenuta a Bosworth nel 1485, Riccardo III, ultimo re della dinastia Plantageneta, si trovò al centro di una massiccia campagna di demonizzazione cui fece seguito l’utilizzo della sua immagine come pietra di paragone della malvagità, della tirannia e della perversione umana.

Come abbiamo visto, gli autori di epoca Tudor distrussero Riccardo per legittimare l’ascesa di Enrico VII, dando vita, però, al paradosso per il quale, ancora oggi, l’ultimo Plantageneto è al centro del dibattito e della rappresentazione culturale, raggiungendo una sorta di immortalità garantitagli da Shakespeare e dalla grandezza della sua opera.

Un’immortalità, tuttavia, che condanna Riccardo III a essere per sempre immagine della tirannia e del male, offuscando la verità lentamente emersa con il lavoro degli storici. Lavoro che dobbiamo continuare a portare avanti ma che, siamo onesti, non potrà mai competere con l’efficacia e l’immensità dell’opera del Bardo.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

Aune M.G., The Uses of Richard III: From Robert Cecile to Richard Nixon, Shakespeare Bulletin,Vol.24, No 03, 2006, The John Hopkins University Press;  Buka P., Richard III: A Villain or a Victim?, Academic Journal of Interdisciplinary Studies, Vol.3, No 6, 2014, MCSER Publishing, Roma; Levine M., Richard III – usurper or lawful king?, Speculum, Vol.34, No 3, 1959, The University of Chicago Press; Michalove S.D., The Reinvention of Richard III, Richard III Society, American Branch (https://r3.org/document/michalove-reinvention-of-richard-iii/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=michalove-reinvention-of-richard-iii); More T., The History of King Richard III, Cambridge University Press, 1883, London; The Guardian, Why the princes in the tower are staying six feet under, 2013 (https://www.theguardian.com/science/2013/feb/05/princes-in-tower-staying-under); Walpole H., Dubbi storici sulla vita e sul regno di Riccardo III, Euno edizioni, 2015, Palermo.

Immagine di copertina: dipinto di William Hogarth che riproduce l’attore David Garrick nei panni di Riccardo III, 1745 circa. Walker Art Gallery, Liverpool (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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