di Davide Galluzzi
Il 24 marzo 1796 iniziò quella che è passata alla Storia con il nome di Campagna d’Italia, durante la quale le truppe francesi guidate dal giovane generale Napoleone Bonaparte combatterono contro le forze austriache e dei vari Stati italiani, ottenendo, grazie alle vittorie sul campo, il controllo pressoché totale sulla Penisola.
Il comando dell’Armata d’Italia, come noto, rappresentò un vero e proprio punto di svolta nella carriera del futuro Imperatore dei Francesi e un ruolo altrettanto fondamentale ebbe, in tal senso, la Battaglia di Lodi, da subito utilizzata da Bonaparte come base per la creazione del proprio mito e della propria lotta politica contro il Direttorio. Lo scontro avvenuto nella città lombarda, come quello successivo avvenuto ad Arcole, può infatti venire visto come battaglia militare, ma anche come battaglia di propaganda e rappresentazione, obbligando lo storico e muoversi su entrambi i livelli nella sua analisi dell’avvenimento.
- La battaglia sul ponte di Lodi
Il 10 maggio le forze francesi entrarono in una Lodi semideserta e quasi completamente indifesa. La scelta austriaca di non difendere la città fu, probabilmente, tattica. Le mura laudensi erano malmesse ed inservibili, mentre i baluardi e le mezzelune che circondavano la città erano abbandonati da tempo e sopra di essi crescevano ortaggi e piante. L’obiettivo principale del generale austriaco Beaulieu, quindi, non era difendere Lodi, ma ritirarsi su Crema e, di lì, prepararsi alla difesa di Mantova. Dopo brevi schermaglie, quindi, i francesi furono padroni della città. Le poche migliaia di uomini comandati dal generale Sebottendorf si erano ritirate al di là dell’Adda, presso il Rivellino. Bonaparte attraversò rapidamente la città e si diresse verso la contrada del Lodino e la Porta d’Adda. Sarà utile qui spendere qualche parola riguardo il ponte e le costruzioni ad esso adiacenti. Prima di tutto va detto che esso non sorgeva sul luogo dell’attuale ponte, ma poco distante. Costruito in legno, “era lungo 200 metri con una larghezza sufficiente ad una colonna che marciasse con una fronte di otto uomini” (Cazzulani, 1996). Sulla riva destra sorgeva un piccolo castelletto, noto con il nome di “Rocchetta”, mentre sul lato sinistro (quello occupato da Sebottendorf) stavano le fortificazioni del Rivellino.

Ora, non tutte le forze francesi erano giunte in città e Napoleone, convinto di dover affrontare, al di là del fiume, l’intera armata di Beaulieu, iniziò a posizionare le proprie truppe in vista dell’attacco. Fece schierare l’artiglieria sulle mura e sui bastioni e, mano a mano che arrivavano nuove unità, anche presso l’accesso al ponte. Subito iniziò un feroce cannoneggiamento, definito da molti come il più potente di tutta la campagna (Rill, 1997).
Nel frattempo il generale corso aveva posto il proprio punto di osservazione nei pressi della statua di San Giovanni Nepomuceno, ma dopo che questa venne distrutta da una mitragliata austriaca fu costretto a spostarsi e a porre il proprio comando sul campanile di San Francesco, non troppo distante dal teatro delle operazioni. Qui, dall’alto, vide che sulla riva sinistra non era presente tutta l’armata austriaca. La decisione di varcare il fiume era un azzardo, ma ora l’operazione sembrava essere più fattibile. Bonaparte iniziò a muovere i propri uomini. Ordinò al generale Beaumont di risalire, assieme alla cavalleria, il corso dell’Adda e cercare un guado per piombare sul fianco di Sebottendorf, mentre Kilmaine avrebbe dovuto presidiare Montanaso, Paullo e Melzo. L’attacco principale, invece, sarebbe stato guidato da Massena, Berthier, Dallemagne, Dupas e Augereau (Delmas, 1997).
Alle sei del pomeriggio le forze francesi iniziarono l’attacco, il quale venne interrotto dal forte fuoco austriaco. La situazione non era favorevole all’armata rivoluzionaria. Con un impeto di eroismo i generali Berthier, Massena, Cervoni e Dallemagne decisero di porsi alla testa della carica. Questo, unito alla costante pressione fisica operata dai soldati in marcia, permise all’avanzata francese di continuare. Lentamente i soldati riuscirono ad attraversare il ponte e giunsero al Rivellino. Qui il combattimento continuò, ancora più feroce. L’incertezza della battaglia fu rotta dall’arrivo della cavalleria di Beaumont, che piombò sugli imperiali garantendo la vittoria alle armi francesi (Rill, 1997 e Agnelli, 1990).

Sebottendorf, sconfitto, iniziò la ritirata per ricongiungersi con le forze di Beaulieu. Bonaparte decise di non sfruttare il proprio vantaggio e non si lanciò all’inseguimento. Il suo interesse, ora, era verso Milano.
- La manovra di Lodi: risvolti politici e propaganda bonapartista
La battaglia di Lodi non ebbe solo conseguenze militari (che pure furono importantissime, visto che la vittoria francese consegnava a Napoleone e al Direttorio Milano e la Lombardia) o ripercussioni sull’ordinamento amministrativo della provincia lodigiana, ma anche risvolti politici importanti per la Francia. Principalmente essi furono il conflitto tra il Direttorio e Bonaparte e, dopo la vittoria di quest’ultimo, un forte cambiamento nella linea tenuta dal generale corso.
Il 14 maggio, quattro giorni dopo la battaglia, Napoleone ricevette una comunicazione da parte del Direttorio. Il governo francese, probabilmente intenzionato a ridimensionare Bonaparte dopo le vittorie ottenute, ordinava al comandante in capo dell’Armée d’Italie di dividere il proprio esercito in due parti. Una, sempre sotto la guida di Napoleone, avrebbe dovuto occupare Livorno e poi, di lì, partire verso Roma e detronizzare il papa. L’altra sarebbe stata comandata dal generale Kellermann. Contemporaneamente le forze francesi avrebbero dovuto prendere Milano. Questa forte intromissione direttoriale, ovviamente, contrariò Bonaparte, il quale rispose con due lettere: una indirizzata al Direttorio, l’altra a Carnot, con cui era in stretto contatto. Nella prima missiva il giovane generale utilizzò un tono duro, criticando apertamente la decisione del governo. Egli ricordò i grandi successi ottenuti, sottolineò come ritenesse giustificata una certa sua indipendenza nelle decisioni perché riteneva che questa si basasse sulla fiducia che il Direttorio aveva riposto in lui, sostenne che dividere l’armata in quel momento sarebbe stato “assai impolitico” e, infine, rigettò le intromissioni governative nel comando della sua armata e giunse a proporre, di fatto, le proprie dimissioni Con la seconda lettera, invece, Napoleone intendeva giustificare il tono usato nella comunicazione al Direttorio. Egli sapeva bene che il governo francese avrebbe potuto interpretare male le sue parole e per questo giurava a Carnot che nello scrivere quella risposta non aveva mire personali, ma il suo pensiero andava solo alla Patria. Nel corso della breve missiva affermò, inoltre, di avere fiducia nelle doti di Kellerman, ma riteneva disastroso un comando congiunto, ribadendo quindi la propria intenzione di dimettersi, espressa sempre tra le righe e mai direttamente (Agnelli, 1990).

Lo scontro fu vinto da Napoleone. Il Direttorio, ritornato sui propri passi, decise di lasciare al generale il comando unico dell’armata e gli inviò la divisione di Vaubois come rinforzo. La lotta tra il comandante ed il governo ebbe anche risvolti sulla linea tenuta dal primo. Da quel momento, infatti, Bonaparte avrebbe iniziato a muoversi in maniera ancora più indipendente e ad intromettersi negli affari politici. Se alcuni atti precedenti allo scambio epistolare (come ad esempio l’armistizio con il duca di Parma) e anche successivi (come le contribuzioni imposte a Milano) erano in linea con il Direttorio, da quel giorno in poi il generale iniziò a prendere decisioni in netto contrasto con il governo. Se ne hanno alcuni esempi nei giorni successivi all’ingresso di Napoleone a Milano, quando il generale corso «trasforma la milizia urbana in guardia nazionale; il 19 maggio emana un proclama sull’indipendenza e permette l’organizzazione delle nuove municipalità; arruola una legione lombarda» oppure quando, il 15 giugno, sottoscrive un armistizio con il Regno di Napoli, imponendo condizioni molto leggere in contrasto con la volontà del Direttorio che intendeva imporre condizioni più pesanti (Delmas, 1997).
La manovra di Lodi, così come tutta la campagna militare italiana, ebbero un’ulteriore, importantissima, conseguenza: la creazione di un forte legame tra Napoleone ed i suoi soldati, basata sull’affetto che questi avevano verso il primo e sull’ascendente che il generale esercitava sui suoi subalterni. Questo aspetto sarà fondamentale durante tutta la successiva epopea napoleonica.
Altro aspetto fondamentale della vicenda lodigiana è il valore propagandistico/iconografico che ad essa viene riservato. La battaglia al ponte di Lodi (così come la successiva battaglia di Arcole) è una delle basi del mito napoleonico. Non è inutile, quindi, analizzare brevemente anche questo aspetto. Oltre a quanto menzionato sino a ora, infatti, la Battaglia di Lodi subì, da parte del generale corso, anche un forte utilizzo propagandistico che molto si intreccia con lo scenario politico francese. Non dobbiamo dimenticare come, durante la Campagna d’Italia, Bonaparte stesse costruendo la propria immagine, consegnata poi al mito, di ufficiale dinamico e invincibile: con un occhio sempre rivolto alla situazione francese, il futuro Imperatore esaltava le proprie vittorie, inviando al Direttorio rapporti ritoccati ed escludendo eventuali ritirate e problemi militari, mostrandoci quindi come la Campagna d’Italia venisse combattuta non solo sul piano militare, ma anche politico e propagandistico (Dwyer, 2004).
La costruzione di questa immagine di eroe e salvatore non era quindi avulsa dalla società francese dell’epoca, ma era ben calata nel contesto rivoluzionario che, dopo la morte di Robespierre, vide il passaggio dalla eroicizzazione dei “martiri della libertà”, ossia il culto collettivo dei cittadini pronti a immolarsi per la Repubblica, al ritorno al culto dell’eroe militare. Tale culto, utilizzato anche dai rivoluzionari per mobilitare le masse, si incontrò da un lato con il dibattito intorno alle fazioni che lottavano politicamente in seno alla Repubblica e, dall’altro, con il desiderio del popolo di Francia, ricettivo conseguentemente nei confronti di un eroe guerriero e pacificatore, di giungere a una pace che mettesse fine al conflitto con la Prima Coalizione (Dwyer, 2004).
Bonaparte, naturalmente, seppe fare buon uso di questo contesto per favorire le proprie ambizioni e, ben presto, il suo nascente mito venne preso da una serie di artisti e giornalisti che, fattolo proprio, lo elaborarono nei più diversi modi, mantenendo tuttavia una matrice comune. Due furono in particolare gli eventi della Campagna d’Italia intorno ai quali, complice la forte eco che ebbero sull’opinione pubblica francese, si iniziò a costruire tale mito, ossia la Battaglia di Lodi e quella di Arcole, fatto tanto più curioso quanto, come abbiamo visto, Bonaparte si tenne a distanza dall’azione.
Il primo fatto che balza all’occhio, quindi, è uno scarto tra gli eventi reali e la loro rappresentazione, soprattutto a livello iconografico. È noto, per esempio, come l’avanzata francese sul ponte di Lodi si fosse fermata a seguito del fuoco austriaco. Fu in quel momento che, per spingere le truppe all’azione, i generali Berthier, Massena, Cervoni e Dallemagne decisero di porsi alla testa della carica, episodio confermato anche dal rapporto che il commissario Saliceti invio al Direttorio (nel quale veniva sottolineata l’importanza decisiva della presenza di Bonaparte e del modo in cui galvanizzò i soldati, ma veniva anche detto esplicitamente che furono gli altri generali a porsi alla testa delle truppe). Lo stesso Bonaparte, ospite del vescovo di Lodi, Gianantonio della Berretta, disse che la battaglia avvenuta il giorno precedente “non fu gran cosa” (Vovelle, 1997 e Agnelli, 1990).
Pochissimo tempo dopo, tuttavia, la situazione cambiò radicalmente. Le stampe dell’epoca, pur dando preponderanza agli elementi naturalistici e alle truppe, iniziarono a ritrarre Bonaparte alla testa dell’armata che, con impeto, trascinava dietro a sé soldati e generali verso l’attraversamento del ponte e la conquista del Rivellino. Dietro a questo importante cambiamento parrebbe esserci proprio la mano del giovane generale. Una sostituzione dei ruoli è presente anche nelle rappresentazioni della successiva battaglia di Arcole, nella quale Bonaparte si affianca ad Augereau (quando non addirittura lo sostituisce) alla testa delle truppe impegnate nell’attraversamento del ponte, mostrando così sia la fascinazione per l’eroe guerriero, sia lo spostamento della società verso forme più individualistiche di rappresentazione (Dwyer, 2004).
Le rappresentazioni di Bonaparte non si limitarono ai ritratti, ma, come vedremo a breve, coinvolsero tutti i settori in grado di influenzare l’opinione pubblica compresi, in particolare, la carta stampata e il teatro. Basti pensare, per quanto riguarda il primo dei campi menzionati, che tra la primavera del 1796 e la fine del 1797 vennero scritti ben 72 pamphlet su Napoleone, presentando il giovane generale come ufficiale taciturno, solitario, chiamato fin dall’infanzia a comprese grandi cose e impregnato di virtù repubblicane. Un’immagine simile veniva alimentata anche dai giornali creati da Bonaparte i quali, tuttavia, si spingevano oltre giungendo, come per esempio il Courrier de l’Armée d’Italie, a presentare una Repubblica sofferente, divisa e preda di odi e fazioni. Questi giornali, descrivendosi come moderati, esprimevano la necessità di riunire la Francia intorno a un’unica bandiera, suggerendo che Bonaparte, ufficiale repubblicano per eccellenza, fosse l’unico in grado di raggiungere tale obiettivo (Dwyer, 2004).

Come accennato, dinamiche simili si ebbero anche nel mondo del teatro che, a partire dalla fine del XVIII secolo, vide una forte connessione con la scena politica: da un lato, infatti, la Rivoluzione portò alla teatralizzazione della politica, mentre dall’altro l’allentamento della censura condusse alla rappresentazione, sui palcoscenici, della politica francese e dei suoi principali esponenti, fosse essa attraverso omaggi ed esaltazioni della Rivoluzione o tramite satira e ridicolizzazione (Siviter, 2021).
L’inizio delle raffigurazioni di Bonaparte in opere teatrali avvenne in sordina, con spettacoli quali “La Battaille de Roverbella, ou Bonaparte en Italie”, stroncata dalla critica e mai pubblicata, o “La Reddition de Mantoue” e “La Prise de Mantoue, ou les Français en cantonnement” che mostravano come gli artisti non fossero ancora pienamente convinti della necessità di utilizzare la figura del generale nelle loro rappresentazioni. Un cambiamento fondamentale, in tal senso, si ebbe con l’armistizio di Leoben e il Trattato di Campoformio che, come facilmente ipotizzabile, portarono gli eventi italiani ancor più al centro del dibattito pubblico francese e causarono un salto di qualità nell’elaborazione del mito di Bonaparte quale guerriero e pacificatore, visto, complice la propaganda dei suoi stessi giornali, come unico generale in grado di fermare la guerra grazie alle sue vittorie riportate sul campo (Siviter, 2021 e Dwyer, 2004). Una ricaduta fondamentale si ebbe sulle rappresentazioni teatrali che, con opere come “La Descente en Angleterre” e “Le Pont de Lodi”, entrambe del dicembre 1797, sancirono la definitiva presenza mitizzata di Bonaparte sui palcoscenici di Francia.
Particolarmente interessante ai fini del nostro articolo è, naturalmente, la seconda opera menzionata che racconta la decisione di assaltare e conquistare il ponte lombardo. Avviene qui un cambiamento interessante nella narrazione: l’attacco non è più atto collettivo, il focus non è più sulle truppe, ma si sposta sull’azione personale dell’eroico comandante in capo che organizza e guida il combattimento, anche se, come già visto, Bonaparte si trovava sul campanile della chiesa di San Francesco, distante dal luogo della battaglia. Gli eventi, quindi, vengono sovrastati dal mito e subiscono una metamorfosi (Siviter, 2021).
Fu insomma durante la Campagna d’Italia che si gettarono le basi per la creazione dell’immagine di un Napoleone austero e salvatore, intensificatasi dopo il Brumaio, quando alcuni scrittori giunsero all’ardito parallelo tra l’ormai Primo Console e Cristo. Questa raffigurazione, mantenuta attivamente da Bonaparte durante i suoi soggiorni parigini, strideva con l’atteggiamento in realtà assunto in Italia, dove il futuro Imperatore aveva riunito una vera e propria corte presso la sua residenza di Mombello e aveva adottato un’etichetta che ricordava neanche troppo velatamente quella di Versailles (Dwyer, 2004).
Emerge quindi la consapevolezza di Napoleone dell’importanza della propria rappresentazione, sfruttata non solo come immagine politica, ma anche come leggenda e mito. Non dobbiamo dimenticare che, durante la Campagna d’Italia, tale processo era funzionale anche allo scontro politico con il Direttorio, volto, come abbiamo visto, a sottrarsi alla tutela di tale istituzione e mantenere una propria indipendenza. Non dobbiamo tuttavia commettere l’errore di pensare che l’opinione pubblica francese fosse monolitica e accettasse passivamente il processo appena descritto. Al contrario, vi era chi, specie tra la stampa realista, dipingeva il generale Buonaparte (ed è indicativo, in questo caso, l’utilizzo della forma italianizzata del cognome) come un Cesare che aveva ormai passato il Rubicone e tendeva a sminuire e smontare i suoi successi in Italia (Dwyer, 2004).
- Conclusioni
La rappresentazione, lo abbiamo visto bene, non serve solo a riproporre un evento, ma diviene essa stessa motore di fatti storici, correggendo, ingigantendo o inventando gli episodi ritratti. Essa, quindi, interagisce con la Storia ed entrambe si contaminano a vicenda. In questo senso la Campagna d’Italia, anche grazie alla sua costruzione dell’immagine-Lodi e dell’immagine-Arcole, può venire vista come “guerra di rappresentazione” (Bosséno, 1998).

La Battaglia di Lodi venne da subito abbondantemente rappresentata e fu determinante per lo sviluppo dell’iconografia e del mito napoleonico: con un chiaro effetto propagandistico in Francia, queste immagini uniscono lo spirito repubblicano delle truppe alla rappresentazione del carisma del loro comandante. L’iconografia ufficiale mostra i granatieri francesi, Tricolore alla mano, assaltare il ponte, incuranti del fuoco nemico: naturalmente l’impulso decisivo a questo intrepido atto di coraggio arrivò dal generale Bonaparte. Lodi rappresenta quindi l’Anno Zero, il momento iniziale della leggenda napoleonica e del mito del giovane generale destinato dal Fato a guidare la Francia. Si assiste, di conseguenza, a una “cristallizzazione” di un avvenimento, destinato a trasformare quest’ultimo in icona: la realtà dell’avvenimento poco importa rispetto alla sua rappresentazione che, per esempio, semplifica l’evento riducendo la vittoria al solo passaggio del ponte, eliminando i combattimenti precedenti e successivi (Bosséno, 1998).
Queste ricostruzioni propagandistiche a posteriori sembrano avvallate dall’affermazione di Bonaparte, riportata nel Manoscritto venuto in modo incognito da Sant’Elena, secondo la quale fu proprio dopo la battaglia di Lodi che il futuro imperatore si considerò per la prima volta “non più un semplice generale, ma un uomo chiamato a determinare la sorte di un popolo. Mi vidi nella Storia”. Proprio questo punto sta alla base della propaganda napoleonica e dell’utilizzo che essa fece della battaglia di Lodi (e di altri avvenimenti): il futuro imperatore non subiva la Storia, egli la faceva (Agnelli, 1990).

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico
Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.
Bibliografia
Agnelli G., La battaglia al ponte di Lodi e la settimana lodigiana di Napoleone Bonaparte, Lodi, Lodigraf, 1990; Bosséno C-M., « Je me vis dans l’histoire »: Bonaparte de Lodi à Arcole, généalogie d’une image de légende, Annales historiques de la Révolution française, N.313, 1998; Cazzulani E., 1796: Napoleone al ponte di Lodi: Fatti, curiosità ed immagini nell’anno della battaglia, Orio Litta, L’Immagine, 1996; Delmas J., La manovra di Lodi e le sue conseguenze militari e politiche, in Napoleone e la Lombardia nel triennio giacobino, 1796-1799 : atti del convegno storico internazionale nel secondo centenario della battaglia al Ponte di Lodi, 10 maggio 1796, Lodi, Archivio storico lodigiano, 1997; Dwyer P.G., Napoleon Bonaparte as Hero and Saviour: Image, Rhetoric and Behaviour in the Construction of a Legend, French History, Volume 18, Issue 4, December 2004; Rill R., Lo scontro di Lodi secondo le fonti dell’Archivio di guerra viennese, in Napoleone e la Lombardia nel triennio giacobino, 1796-1799 : atti del convegno storico internazionale nel secondo centenario della battaglia al Ponte di Lodi, 10 maggio 1796, Lodi, Archivio storico lodigiano, 1997; Siviter C., Héros, sauveur, homme du peuple ? La création et contestation des premiers masques théâtraux de Bonaparte sous le Directoire, Revue italienne d’études françaises, 11, 2021.
Immagine di copertina: Il Generale Bonaparte da gli ordini alla Battaglia di Lodi, di Louis-François, Baron Lejeune, 1804. Palazzo di Versailles (fonte: Wikimedia, licenza CC0)
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