di Marco Giuseppe Longoni
A partire dalla sua istituzione nel 1300, il giubileo è uno degli eventi religiosi fondamentali nella tradizione e nella vita della Chiesa cristiana cattolica. Una prima definizione si può trovare al sito online Cathopedia, l’enciclopedia cattolica, in cui si legge che il giubileo «è un periodo di circa un anno nel quale la Chiesa concede particolari indulgenze che ottengono la remissione delle pene temporali grazie a opere di pietà, di penitenza e di carità» (https://it.cathopedia.org/wiki/Anno_Giubilare); così come dall’Enciclopedia Treccani: «indulgenza plenaria solenne elargita dal papa ai fedeli che si rechino a Roma e compiano particolari pratiche religiose» (https://www.treccani.it/enciclopedia/giubileo) ogni venticinque anni. Nonostante siano specificate di volta in volta nelle bolle di indizione, le opere necessarie per acquisire le grazie del giubileo sono di norma tre: la confessione, la comunione e la visita in pellegrinaggio delle quattro principali basiliche papali di Roma (San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura) (D’Avino, 1864). L’ultimo giubileo ordinario è stato celebrato nel 2000 da papa Giovanni Paolo II, mentre nel 2015-2016 ha avuto luogo un giubileo straordinario (“della Misericordia”) per i cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Lo scorso 9 maggio 2024, papa Francesco ha proclamato attraverso nella bolla Spes non confundit l’indizione dell’anno giubilare per l’anno 2025, dedicandolo alla «speranza che non tramonta, quella in Dio», con l’invito «a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato» (https://www.vatican.va/content/francesco/it/bulls/documents/20240509_spes-non-confundit_bolla-giubileo2025.html). Ai giorni nostri, la dimensione della spiritualità individuale e collettiva risulta centrale, tanto che dalla locandina del giubileo si possono ricavare ben trentaquattro “giubilei” dedicati alle diverse componenti del mondo ecclesiastico e civile (https://www.iubilaeum2025.va/it/pellegrinaggio/calendario-giubileo.html).
In questo contributo toccherò alcuni aspetti dei giubilei svoltisi nella prima Età Moderna. Con una constatazione: non è possibile limitare l’indagine all’analisi degli aspetti teologici ed escatologici sottesi al concetto di indulgenza. A partire dal XV secolo, infatti, le ricorrenze giubilari acquisirono una connotazione politica che si espresse attraverso interventi edilizi che trasformarono il volto di Roma, da città paleocristiana a rinascimentale, passando al trionfo del barocco, senza dimenticare le spettacolari manifestazioni organizzate dalla Curia papale e dalle confraternite in occasione delle solennità liturgiche.
1. Le origini: dall’antichità ebraica al giubileo del 1300
Le origini delle pratiche giubilari sono state rintracciate negli editti di remissione concessi nel II millennio a.C. dai re paleo-babilonesi e siriani – se non addirittura da sovrani sumeri del millennio precedente come Entemena di Lagash (2400 a.C. ca.) – allo scopo di alleviare le condizioni dei ceti meno abbienti mediante l’annullamento retroattivo dei debiti e la liberazione degli schiavi. Nella tradizione ebraica, le norme relative al giubileo sono state fissate nel capitolo 25 del Levitico come comandamento divino trasmesso sul monte Sinai a Mosè: allo scadere di un ciclo di quarantanove anni veniva annunciata l’indizione di un anno di remissione con la cancellazione dei debiti, la liberazione degli schiavi e la restituzione della terra ai legittimi proprietari sulla base delle assegnazioni presumibilmente attuate nelle fasi di insediamento nella terra di Canaan. Con questa pratica, necessaria a garantire la pace sociale, Israele tornava a essere, almeno a livello ideale, il popolo dell’Esodo appena uscito dall’Egitto faraonico. Il precetto divino imponeva, inoltre, il riposo della terra per tutto l’anno per ricordare che la terra appartiene a Dio e l’uomo è solo un usufruttuario (Kaplan, 2019; Ravasi, 2015; Simonetti, 2015).
Se da un lato si è cercato di individuare dei parallelismi con altre pratiche di remissione, come quelle che secondo la tradizione sarebbero state rilasciate dal faraone Bakenrenef/Bocchoris (720 a.C. ca.) o con la Seisachtheia di Solone (594 a.C.), dall’altro molti studiosi hanno sollevato perplessità sull’effettiva celebrazione del giubileo ebraico in età storica nelle forme e nei tempi prescritti dal Levitico. Ad ogni modo, «il significato del giubileo si è mantenuto dal punto di vista simbolico […] soprattutto perché la liberazione degli schiavi e il sollievo concesso ai debitori sono diventati nella Bibbia le immagini della salvezza che Dio promette al suo popolo». Il giubileo finì per essere concepito «come un rinnovamento dell’alleanza fra l’uomo e Dio» (Scaraffia, 1999) che sarebbe passato attraverso l’annuncio di liberazione e di speranza profetizzato da Isaia.

Con la predicazione di Cristo, il giubileo acquisì un significato squisitamente metaforico come simbolo della Salvezza. L’episodio centrale, narrato da Luca, avviene nella sinagoga di Nazareth, nella quale Gesù si presenta come il Messia, consacrato per portare «l’anno di grazia del Signore»:
Si recò a Nazaret, dove era stato allevato. Era sabato e, come al solito, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu presentato il libro del profeta Isaia ed egli, apertolo, s’imbatté nel passo in cui c’era scritto:
Lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio, ad annunziare ai prigionieri la liberazione e il dono della vista ai ciechi; per liberare coloro che sono oppressi, e inaugurare l’anno di grazia del Signore.
Poi, arrotolato il volume, lo restituì al servitore e si sedette. Tutti coloro che erano presenti nella sinagoga tenevano gli occhi fissi su di lui. Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa scrittura per voi che mi ascoltate» (Lc. 4, 16-21).
Con l’annuncio finale si adempie la profezia: è Cristo stesso il giubileo, mandato a portare la buona novella ai poveri, a liberare i prigionieri e gli oppressi, a restituire la vista ai ciechi (Ravasi, 2015). Come ha scritto Lucetta Scaraffia, «partendo da una esperienza legata ai rapporti economici, Gesù annuncia una realtà spirituale che si fonda sull’infinita misericordia di Dio verso gli uomini», sul perdono dei peccati (Scaraffia, 1999; Melloni, 2015).
Il discorso intorno al giubileo risulta perlopiù assente nella cultura cristiana delle origini e della Patristica, soprattutto per le tensioni escatologiche sottese a quello che era percepito come l’imminente ritorno di Cristo sulla terra. Durante i secoli medievali, tuttavia, con il progressivo rafforzamento della superiorità del vescovo di Roma sulla Cristianità occidentale, la Chiesa sviluppò un sistema di credenze che incentivavano i fedeli a cercare il perdono e la salvezza attraverso la confessione dei peccati (pubblica fino al VI-VII secolo) e le opere penitenziali imposte dal vescovo, quali digiuno, preghiera, elemosina, ascesi, pellegrinaggi verso i luoghi santi e le crociate. A partire dal XIII secolo si assiste alla definitiva formulazione e distinzione dei concetti di colpa, la responsabilità morale di avere violato le leggi divine con il peccato, e di pena, la conseguenza del peccato, che deve essere cancellata in vita attraverso la penitenza, espiata dopo la morte nel Purgatorio, la cui “nascita” è stata dettagliatamente analizzata da Jacques Le Goff.
Su questa base iniziò a diffondersi la pratica dell’indulgenza plenaria, la facoltà posseduta dalla Chiesa di attingere al proprio “tesoro” e di alleggerire o condonare la pena temporale sui peccati già rimessi quanto alla colpa: «il peccatore, nel suo porsi dinanzi a Dio per purificare se stesso con la penitenza, non ha tutta la forza per adempiere a questo compito. La Chiesa, […] Madre di misericordia, attinge dalla santità dei suoi santi la forza e i meriti necessari per supplire alla povertà del peccatore» (Fisichella, 1998). Le prime indulgenze plenarie furono concesse durante le crociate, ma dal XIII secolo furono rilasciate anche in occasione di particolari pellegrinaggi ai luoghi santi: nel 1208 a Roma per chi avesse assistito alla processione del velo della Veronica (custodito nella basilica di san Pietro); nel 1216 alla Porziuncola di Assisi (Perdono d’Assisi); nel 1220 a Canterbury per il cinquantesimo della morte di Thomas Becket e nel 1295 all’abbazia di Collemaggio dell’Aquila (Perdonanza Celestiniana).

Il primo giubileo cristiano cattolico fu indetto da Bonifacio VIII il 22 febbraio 1300 con la bolla Antiquorum habet fida relatio: l’intervento del pontefice era stato sollecitato, come raccontato dal cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi, da un afflusso straordinario di pellegrini a Roma, carichi di aspettative escatologiche intorno alle grazie miracolose che, secondo la voce popolare, sarebbero state assicurate con il trapasso secolare. Il pontefice concesse l’indulgenza plenaria a tutti coloro che, dopo essersi confessati, avrebbero visitato quotidianamente le basiliche di san Pietro e di san Paolo fuori le mura per un periodo di trenta giorni (per i romani) o di quindici (per i forestieri). Si trattò di un evento eccezionale che richiamò in città un gran numero di fedeli e che rafforzò la centralità del pontefice quale unico dispensatore di grazie attinte dal “Tesoro della Chiesa”.
2. Il Giubileo agli albori dell’età moderna: tra sovrani pontefici e riformatori
La pratica giubilare sopravvisse allo scontro tra Bonifacio VIII e Filippo IV di Francia e al trasferimento della sede papale da Roma ad Avignone (1309-1378). Nel 1350 papa Clemente VI indisse un nuovo giubileo fissando la scadenza a cinquant’anni, nel 1389 Urbano VI abbassò ancora il termine a trentatré anni, simbolo della vita terrena di Gesù, con la proclamazione dell’anno santo per il 1390. A partire dal Trecento, furono concessi speciali privilegi a sovrani, comunità e individui impossibilitati a sottoporsi a lunghi pellegrinaggi: l’indulgenza plenaria iniziò a essere rilasciata anche dietro somme di denaro. Tale fenomeno non mancò di generare pratiche di corruzione e di mercanteggiamento che da un lato spinsero le autorità ecclesiastiche a istituire speciali magistrature delegate alla corretta riscossione e amministrazione del denaro, dall’altro suscitarono forti indignazioni soprattutto in Germania, dove il curiale Dietrich von Nieheim, ex vescovo principe di Verden, nel 1403 scrisse un trattato contro la vendita delle indulgenze (Melloni, 2015; Scaraffia, 1999; Brezzi, 1997).
A seguito dello Scisma d’Occidente (1378-1418) e dell’acceso conflitto tra le ideologie conciliariste e papaliste, i giubilei quattrocenteschi si configurarono come l’occasione per celebrare la restaurazione del primato petrino e della sovranità pontificia sulla Città Eterna e l’Italia centrale. La concessione indiscriminata di indulgenze dietro pagamento, a cui il Concilio di Costanza aveva cercato in qualche modo di porre un freno, fu sfruttata in modo sempre più intensivo dai pontefici, che la resero indipendente dalle scadenze straordinarie degli anni santi ed estesero i suoi effetti anche alle anime dei defunti nel Purgatorio (Pellegrini, 2023; Prodi, 2013). Per la celebrazione del giubileo del 1450 le somme di denaro ricavate dalla vendita delle indulgenze, la cui gestione era stata affidata a Cosimo de’ Medici, furono reinvestite da papa Niccolò V nella ristrutturazione urbanistica di Roma, una vera e propria rifondazione della capitale della cristianità, con la riedificazione delle chiese più antiche e del Palazzo Apostolico sul Vaticano (celebre è il caso della Cappella Niccolina, affrescata tra il 1447 e il 1448 dal Beato Angelico), il restauro delle fortificazioni cittadine e l’apertura dei lavori di ricostruzione della basilica costantiniana di san Pietro (Frommel, 1986).

L’opera di modernizzazione fu portata avanti da Sisto IV nel corso del giubileo del 1475, dopo che il predecessore Paolo II aveva fissato definitivamente l’indizione dell’anno santo ogni venticinque anni. Il pontefice, salutato con il titolo di Urbis renovator, «riuscì a cambiare il volto della città, allora ancora paleocristiano e medievale, costruendo una grande quantità di edifici monumentali che le diedero una spiccata fisionomia rinascimentale». Gli interventi si concretizzarono soprattutto nella realizzazione di nuove strade pavimentate, ponti, ospedali, palazzi e chiese, nella costruzione della Cappella Sistina e nell’inaugurazione della Biblioteca Vaticana (Scaraffia, 1999). Gli investimenti in campo edilizio, gli indirizzi nepotistici sovente intrecciati al mecenatismo e la proiezione internazionale della politica papale resero Roma una delle grandi capitali del Rinascimento italiano, crocevia non solo di afflati religiosi, ma anche di trattative diplomatiche. Durante il giubileo del 1475, ad esempio, i cronisti registrarono l’arrivo di Ferdinando di Napoli, Cristiano di Danimarca e della regina Caterina di Bosnia, giunti con grande seguito in città anche e soprattutto per esortare il pontefice e la Lega Italica a porre un freno all’espansionismo turco (Vittorelli, 1625).
Con il giubileo del 1500 indetto da papa Alessandro VI, come ha scritto Alberto Melloni, «il giubileo ottiene la sua forma giuridica, il suo ritmo ordinario, il suo impianto dottrinale, nonché il suo business plan e una struttura economica fondata sulle entrate connesse alla celebrazione e alle indulgenze» (Melloni, 2015). La grande novità fu segnata dalla realizzazione della Porta santa nella basilica di san Pietro e, successivamente, nelle altre basiliche romane, un atto che traeva origine dalle parole di Cristo: «Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo» (Gv. 10, 9). Nella notte di Natale del 1499, seguendo la narrazione di Johannes Burckardt, maestro delle cerimonie pontificie, Alessandro VI, rivestito delle insegne del potere pontificio e con grande seguito di ecclesiastici, compì solennemente il rito di apertura nella basilica di san Pietro, simbolo delle porte del Paradiso aperte a tutti gli uomini, redenti attraverso Cristo.
Se da un lato, sullo sfondo di una Roma in continua evoluzione e dal volto sempre più rinascimentale, si assiste al consolidamento della superiorità politica e spirituale del pontefice anche mediante le pratiche giubilari, dall’altro le modalità con le quali era gestita la concessione delle indulgenze non cessavano di sollevare perplessità e polemiche, soprattutto se si considera che la stampa a caratteri mobili aveva contribuito a rendere sempre più capillare la vendita delle lettere di indulgenza (lo stesso inventore Johannes Gutenberg aveva ricavato ricchi proventi stampandole per conto del cardinale Nicola Cusano) (Prosperi, 2017). Con l’apertura dei lavori di ricostruzione della basilica di san Pietro e con la posa della prima pietra nel 1506, papa Giulio II lanciò speciali campagne di vendita delle indulgenze per reperire i mezzi necessari a portare a termine l’opera.
Come è noto, nel 1514 il margravio Alberto di Brandeburgo fu nominato arcivescovo elettore di Magonza dopo avere finanziato la propria elezione con un prestito di 24.000 fiorini da Jakob Fugger. Il 31 marzo 1515 Leone X gli concesse il privilegio di dispensare le indulgenze per otto anni: i proventi sarebbero andati a risarcire il potente banchiere di Augusta e a coprire i costi dei lavori alla basilica di san Pietro. Nel 1517 l’arcivescovo avviò la vendita delle indulgenze in Germania centrale e nell’elettorato di Brandeburgo, avvalendosi della collaborazione del domenicano Johannes Tetzel.

Le prediche di quest’ultimo, che promettevano la liberazione delle anime dal Purgatorio a prezzo di denaro, spinsero Martin Lutero (1483-1546), docente di teologia all’Università di Wittenberg, a sottolineare che la giustificazione, l’intervento divino necessario a redimere l’uomo dal peccato, avviene esclusivamente mediante la fede (sola fide), ovvero mediante la fiducia nella grazia salvifica di Dio (sola gratia) e attraverso il sacrificio di Cristo (solus Christus), negando la validità delle opere meritorie. Con le 95 Tesi Lutero si oppose alla vendita delle indulgenze, considerata una mercificazione dei meriti, e denunciò il rischio che questa prassi potesse diffondere tra i fedeli una falsa sicurezza spirituale fondata sulla promessa che la Salvezza potesse essere semplicemente comprata. La scomunica di Lutero e la dieta di Worms nel 1521, durante la quale il monaco riformatore si rifiutò di ritrattare, segnarono il punto di rottura (Dall’Olio, 2017; Prosperi, 2017; Schilling, 2016). Il giubileo del 1525 si svolse dunque sotto l’ombra di Lutero, come si legge dall’opuscolo Vorrede an den christlichen Leser, auf des Jubeljahrs Bullen composto in opposizione alla bolla di indizione di Clemente VII:
Il papa dice qui nella bolla che vuole aprire la Porta dorata. Anche noi in Germania abbiamo aperto tutte le porte da tempo, ma i furfanti non restituiscono nemmeno un centesimo del loro denaro, perciò ci hanno ingannato con palliis, indulgentiis, dispensationibus (mille nocendi artibus), rubando da noi con le loro diaboliche bolle più di quanto abbiano mai rubato e sottratto. […] Sappiamo (Lode a Dio) che ogni ora coloro che ascoltano e credono al santo Vangelo vivono un anno giubilare, come dice Lc. 4, 19, che il tempo in cui il Vangelo si diffonde puramente sia il vero, ricco e piacevole anno giubilare (Luther, 1889).
L’attacco frontale dal punto di vista dottrinale alla pratica del giubileo venne, tuttavia, da Pietro Paolo Vergerio (1498-1565), vescovo cattolico di Capodistria deposto nel 1549 dopo la sua adesione al luteranesimo. Poche settimane prima del giubileo del 1550 si scagliò con un tempestivo trattatello pubblicato a Basilea contro l’antichità e la legittimità dei giubilei, contestando la distinzione tra colpa e pena e, dunque, la pretesa dei pontefici di elargire la salvezza attingendo al “Tesoro della Chiesa”. Al contrario, l’autore rilanciava la giustificazione per sola fide, argomentando in toni polemici:
[…] rimanetevi a casa, lasciate di andar a quella Babilonia per truovarvi la remißione de peccati, […] non negate il Signore che vi ha comprato, non li fate questa gravißima iniuria, & vergogna di andare a cercare per le sinagoghe de farisei, & dalle mani, et dalle bulle de peccatori, che per avaritia con tante buggie vogliono far marcantia di Christo quel dono divino che havete in casa, anzi dentro di voi stesso, quel dono che il padre celeste per sua misericordia vi ha fatto di longo via nella obedientia, nel sangue, nella morte del figliuolo diletto (Vergerio, 1549).
La risposta alla polemica luterana sarebbe arrivata, in particolare, con i decreti De iustificatione (1547) e De indulgentiis (1563), che confermarono la validità delle buone opere nel raggiungere la Salvezza e, quindi, delle indulgenze, prescrivendo l’abolizione di qualsiasi indegno abuso.
3. I giubilei nell’età della Controriforma tra moralizzazione e mondanità
Con la conclusione del Concilio di Trento (1545-1563) si aprì per la Chiesa cattolica un’epoca di rinnovamento che si concretizzò nella repressione dell’eterodossia, nella crescita dei nuovi ordini religiosi (teatini, cappuccini e gesuiti), nel disciplinamento del clero e nella moralizzazione del popolo, soprattutto attraverso la riorganizzazione delle parrocchie e dell’assistenza ai poveri.
La nuova sensibilità controriformistica emerge con chiarezza nel corso del giubileo indetto da Gregorio XIII nel 1575, il primo dell’età della Controriforma. Centrale si rivelò il ruolo delle confraternite, associazioni di laici e/o religiosi che si riunivano per condurre in comune la propria vita spirituale sotto precise regole. Fatte bersaglio della polemica luterana, furono poste sotto il controllo ecclesiastico dalle riforme tridentine e vennero coinvolte in occasione del giubileo nell’organizzazione dei pellegrinaggi e nell’accoglienza di circa 400.000 stranieri in città (Po-Chia Hsia, 2021; Black, 1992). Uno dei principali protagonisti fu l’arcivescovo di Milano san Carlo Borromeo, che con le sue lettere pastorali esortava i fedeli a praticare la confessione e a vivere nella purezza l’esperienza del giubileo. Così si rivolgeva il 10 settembre 1574 al «suo Popolo»:

Ne vi dovete solamente contentare di andare a Roma, a visita quelle chiese, & reliquie de i Santi, ma a questo dovete coniungere vera e perfetta penitenza, di modo che facciate questo viaggio in gratia di Dio, & con tal mortificatione della carne & sensi vostri, che serva anco per la satisfattione delli nostri peccati. […] & con ogni altra diligenza vi armarete spiritualmente contra tutte le insidie, & tentationi, che vi apparechiarà il demonio per la strada, & specialmente nel principio & progresso tutto di questo viaggio, guardatevi dalle male compagnie […] date bando alle crapule, ebrietà, lascivie, & altre dissolutioni, alle mormorationi, detrattioni, & risse: & con santa sobrietà, & astinenza, & modestia Christiana in ogni vostra conversatione, fate che il viaggio sia accompagnato da mortificatione, & castigo di ogni vostra sensualità. Vi gioverà parimente in questa peregrinatione dire ogni giorno li sette Salmi penitentiali, con le letanie, la Corona, o Rosario della beata Vergine Maria, & altre spirituali divotioni […] Arrivati poi in Roma […] attenderete a conseguire il sacro Giubileo, lasciando ogni curiosità & vanità (Le cose meravigliose dell’alma città di Roma, 1575).
L’attenzione agli aspetti più propriamente spirituali emerge anche dalle cerimonie pubbliche, durante le quali non era raro assistere a pratiche che prevedevano punizioni corporali. Ad esempio, il 31 marzo 1575, Giovedì Santo, si tenne la tradizionale processione dell’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso della chiesa di san Marcello al Corso, alla quale presero parte molti esponenti della nobiltà romana, anche personalità illustri come l’ambasciatore spagnolo a Roma e il principe Alessandro Farnese, ma che vide coinvolti soprattutto veri e propri flagellanti.
In antitesi all’austera sobrietà di cui san Carlo si era fatto apostolo si collocano le grandi manifestazioni mondane che ebbero luogo a partire dal XVII secolo. La capitale del Cattolicesimo, raggiunto l’apice della grandiosità e della magnificenza con il completamento di San Pietro (1626, sotto papa Paolo V Borghese) e con le opere, tra i tanti, di Pietro da Cortona, Bernini e Borromini, finì per assumere infatti la funzione di un palcoscenico urbano nel quale colonnati, chiese, palazzi, obelischi e fontane costituivano l’apparato scenografico. In tale contesto avevano luogo cortei papali e nobiliari, matrimoni e celebrazioni solenni, ingressi ufficiali di sovrani, ambasciatori e tornei, eventi che si caratterizzavano per la capacità di impressionare e sedurre attraverso la spettacolarità degli elementi visivi, tipici del gusto barocco, e in cui l’afflato religioso si fondeva alla più mondana ostentazione politica. Era la consacrazione della diplomazia papale (in particolare sotto Urbano VIII) e della Chiesa trionfante, come dimostra la grande attenzione dedicata alle conversioni pubbliche di riformati e musulmani (Ago, 2023; Melloni, 2015; Scaraffia, 1999; Brezzi, 1997; Battistini, 2012).

Dominque Barrière, 1650 circa. Metropolitan Museum of Art, New York (fonte: Wikipedia, licenza CC0)
Gli aspetti mondani furono resi evidenti nel corso del giubileo del 1650, svoltosi sotto il pontificato di Innocenzo X a due anni dalla stipula della pace di Vestfalia. In quell’occasione i sovrani di Spagna e di Francia, ancora in guerra tra loro, profusero ingenti ricchezze per ostentare la propria superiorità in un momento storico in cui la Spagna andava progressivamente perdendo il ruolo egemonico che aveva esercitato sull’Europa dal XVI secolo. Come ha scritto Stefano Andretta, «Gli Spagnoli […] si fecero più invadenti e tutto l’anno santo fu contrassegnato da questa massiccia presenza fatta di ambasciatori dai cortei sfarzosissimi, di carrozze, cavalli bardati, parate, ricevimenti e manifestazioni» (Andretta, 1999). Immortalata da un’incisione di Dominique Barrière fu la spettacolare festa del 17 aprile, domenica di Pasqua, organizzata dalla Confraternita della Santissima Resurrezione della Nazione spagnola, «che fu una delle più belle, e più magnifiche, che ella facesse in alcun tempo» (Ruggieri, 1651). Sul palcoscenico di piazza Navona furono alzati ben centosedici archi, ognuno con il proprio peculiare frontespizio, in cui gli elementi naturali e religiosi si intrecciavano ai simboli della monarchia spagnola e della famiglia Pamphilj. Particolarmente ricercati furono gli archi realizzati sopra la Fontana del Moro, con i segni della Passione di Cristo, e la Fontana del Nettuno, dedicata alle virtù teologali e alla Resurrezione. Anche i palazzi e le chiese che si affacciavano sulla piazza furono coinvolti nei festeggiamenti: «Nella facciata di San Giacomo nella punta del frontespicio era un Sole di lumini, e sotto un San Giacomo a cavallo, che combatte in aiuto di Spagna per la Fede in mezzo à doi arme, una di Sua Santità, e l’altra di Sua Maestà Cattolica, e sotto al ritratto del sudetto Santo quella dell’Ambasciatore» (Ruggieri, 1651). In questo suggestivo rincorrersi di simboli sacri e profani, con la quale la Spagna ostentava la propria missione a difesa della fede cattolica, ebbe luogo la grande processione dalla chiesa di san Giacomo (oggi di Nostra Signora del Sacro Cuore):
[…] accompagnata da molta Nobiltà con le torcie in molto bella ordinanza, con una bellissima Imagine di Maria Vergine vestita tutta di bianco all’uso di Spagna adornata di gioie, doppo la quale seguì il Santissimo Sacramento portato da Monsignor Colonna Arcivescovo d’Amasia sotto à un superbo, e ricco Baldacchino di broccato d’argento, portato da diversi Cavalieri Spagnoli, appresso il quale seguitò l’Eccellentissimo Signor Ambasciatore Cattolico [il duca dell’Infantado], con gran numero di Signori, & affettionati à detta Natione, e giunto all’altare sudetto di Sant’Antonio da Padova fù ivi posato il Santissimo per poco spatio di tempo, di poi aviandosi di novo la Processione, si diede fuoco all’Aguglia da capo, entrata poi in Chiesa, e datosi fine ad essa si diede parimente fuoco all’altra Aguglia, che tutte doi fecero una vaghissima salva di tiri, & un’effetto molto ingegnoso, e l’Oratione delle 40 hore stettero in detta Chiesa tutte tre queste feste di Resurrettione (Ruggieri, 1651).
Non sarà sfuggita l’insistenza nella descrizione dei dettagli, tipica della cultura barocca. Del resto, come ha rilevato Andrea Battistini: «Lungi dall’essere banale frivolezza, la cura della spettacolarità è un mezzo di integrazione sociale, arma di carattere politico volta a neutralizzare le fonti d’inquietudine convogliandole nella sfera del ludico e nella gioia dei sensi». Anzi, a livello simbolico e al di là di qualsiasi pretesa di controllo sociale: «La letizia nel Seicento è trattenuta dalla fugacità del suo stesso apparire, dalla fragilità effimera di brevi istanti di sorpresa e di piacere che, preceduti da lunghi e macchinosi apparati, lasciano nel loro rapido esaurirsi la sensazione di una morte incombente» (Battistini, 2012).
Il giubileo indetto da papa Clemente X nel 1675 si svolse in una Roma rinnovata dai monumentali interventi di Gian Lorenzo Bernini, sebbene con una pallida riproposizione delle consuete cerimonie. Protagonista assoluta fu Cristina di Svezia (1626-1689), la regina che aveva abbracciato la fede cattolica e che aveva rinunciato al trono svedese nel 1654. Come ha sottolineato Stefano Andretta «il suo attivismo, le sue apparizioni pubbliche, […] l’esibizione di umiliazioni e penitenze singolari per una testa coronata, costituirono fra le poche note che rianimarono le sfibrate cronache contemporanee: narrazioni, a dire il vero, di un giubileo problematico da raccontare e da magnificare» (Andretta, 1999). In gran parte degli ambienti ecclesiastici e laici era infatti avvertita «una diffusa sensazione di stanchezza e di ripetitività che in qualche maniera anticipava l’aspra discussione sul nepotismo, il fastidio verso gli aspetti più formalistici e sfarzosi del rituale romano, l’attenzione verso le attività assistenziali imposta dal rigore di Innocenzo XII» (Andretta, 1999).

Non erano venute meno, insomma, quelle sensibilità moralizzatrici emerse all’indomani del Concilio di Trento e di cui san Carlo si era fatto paladino, come appare, ad esempio, dai sermoni del gesuita francese Louis Bourdaloue (1632-1704), predicatore alla corte di Luigi XIV nei tempi di Avvento e di Quaresima. In occasione dell’anno santo del 1700 tenne un importante sermone nel quale, dopo essersi soffermato sulle caratteristiche delle pratiche giubilari anche e soprattutto in opposizione alle critiche mosse da Lutero, richiamava a un sincero e concreto rinnovamento interiore:
Rinnovazione, che non dee consistere in vani progetti, né in idee indeterminate, ed universali, ma che dee apparire dalla riforma delle nostre azioni, delle nostre conversazioni, delle nostre occupazioni, delle nostre divozioni; dal maggior impegno nelle nostre obbligazioni, dall’applicazion più fervente a tutto ciò, che s’aspetta al servizio, e al culto di Dio, dalla preparazion più esatta a i Sacramenti, da una più viva, e più rispettos’attenzione alla preghiera, da una condotta più caritatevole verso il prossimo, da una vigilanza più esatta sopra noi stessi: talmente che veggasi in tutto ciò il cambiamento esemplare, e sensibile, che in noi si è fatto (Bourdaloue, 1739).
4. Conclusione: verso una spiritualità più rigorosa e autentica
Se, come abbiamo visto, la peculiarità dei giubilei cinque-seicenteschi consiste nell’impossibilità di distinguere gli afflati devozionali dalle più concrete manifestazioni esteriori, dall’inizio del XVIII secolo si assiste all’abbandono dei grandi festeggiamenti e alla maggiore valorizzazione della spiritualità e delle buone opere. Ciò fu dovuto alla progressiva secolarizzazione delle élites europee, all’influenza del giansenismo (movimento filosofico-religioso nato in Francia nella seconda metà del Seicento che proponeva il ritorno a una religiosità più rigorosa, autentica e contraria a ogni forma di ostentazione) e del misticismo quietista, oltre che alle accuse di lassismo morale indirizzate da più parti alla Curia papale. Nonostante le critiche, i giubilei della prima metà del secolo mantennero «quasi inalterate le vecchie abitudini di spettacolarità e teatralità, sia nelle cerimonie sia nelle nuove opere pubbliche» (Scaraffia, 1999; Brezzi, 1997), quali la monumentale scalinata di Trinità dei Monti (inaugurata nel giubileo del 1725) e il rifacimento della Fontana di Trevi (1732-1762). Nel 1747 prese la parola anche Ludovico Antonio Muratori con Della regolata devotion de’ cristiani, proponendo una stringente regolamentazione delle feste religiose per evitare eccessi emotivi o superstiziosi, in nome di una devozione cristiana più equilibrata, sobria e ragionevole. Suggerimenti accolti da papa Benedetto XIV Lambertini il quale, pur difendendo la validità delle feste tradizionali, impresse una forte caratterizzazione pastorale al giubileo del 1750. In ciò si avvalse soprattutto del fervore missionario del francescano san Leonardo da Porto Maurizio, che per quindici giorni tenne una serie di prediche sulla penitenza a Piazza Navona, cento anni prima teatro delle grandiose macchine di Pasqua. Il giubileo si chiuse il 27 dicembre con una solenne Via Crucis nel Colosseo. Due momenti cruciali che segnano il definitivo distacco dall’esasperata esteriorità delle pratiche religiose, ponendo nuovamente al centro l’esperienza spirituale del perdono e dell’umiliazione volontaria attraverso le buone opere. Un messaggio ancora attuale che traspare dalle parole pronunciate da papa Francesco il 24 dicembre 2024, alla solenne apertura della Porta santa:
Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare […]. A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. (https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2024/documents/20241224-omelia-natale.html).

Marco Giuseppe Longoni
Marco Giuseppe Longoni è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono l’età della Riforma e della Controriforma, il Ducato di Milano spagnolo, la nobiltà italiana, la storia militare e la cultura barocca.
Bibliografia
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Immagine di copertina: Giostra dei Caroselli o Carosello nel cortile di Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia il 28 febbraio 1656, Filippo Gagliardi e Filippo Lauri, 1656. Palazzo Braschi, Museo di Roma (fonte: Wikipedia, licenza CC0)
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