IL COSTITUZIONALISMO DI SÍMON BOLÍVAR

Simon Bolivar pronuncia un discorso al congresso

di Davide Galluzzi

Un sottotitolo che potremmo aggiungere a questo articolo, e che ne riassumerebbe in poche parole il contenuto, potrebbe essere “tra libertà e ricerca di equilibrio”. Il costituzionalismo del Libertador e, di conseguenza, il suo pensiero politico oscillavano tra questi due estremi bene esemplificati dalle sue analisi sul fallimento delle prime esperienze indipendentiste e dalle Carte costituzionali, progettate o adottare, per il Venezuela, la Grande Colombia e il Perù.

Come già accennato in un nostro precedente articolo, vista la centralità di Bolívar nella storiografia e nella politica latinoamericana in generale e venezuelana in particolare, a lungo ci si ò interrogati sulle fonti di ispirazione del Libertador e sulle origini del suo pensiero, vedendo in esso le radici di ogni sistema susseguitosi alla guida di quella parte del continente americano, rintracciandovi elementi reazionari e cesaristi o, al contrario, democratici e protosocialisti. Inizieremo dunque la nostra disamina proprio da questo aspetto, ossia dalle basi del costituzionalismo bolivariano.

  1. Il liberalismo di Bolívar, tra antichità e modernità

L’azione politica e il pensiero costituzionale del Libertador non possono essere pienamente capiti se non calati nel contesto dell’epoca. Bolívar, infatti, nato a Caracas nel 1783 si trovò a operare nella ben determinata situazione venezuelana e latinoamericana di fine Settecento e inizio Ottocento. Non a caso, come ci ricorda Antonio Scocozza, per comprendere l’azione del generale non possiamo usare categorie improprie per l’America Latina dell’epoca e dobbiamo tenere a mente che parte integrante della formazione dei latinoamericani era la coscienza di sé e di quanto li separava dai colonizzatori europei (Scocozza, 2003).

Ritratto di Simon Bolivar
El Libertador, P. Lovera, 1830. Collezione del Banco Central de Venezuela (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Il liberalismo bolivariano, per quanto influenzato dal pensiero europeo e dagli eventi dell’epoca, presenta quindi degli elementi di originalità causati proprio dall’esperienza vissuta dall’America Spagnola in questo cruciale fine secolo. Questo modello liberale e la conseguente visione della rivoluzione indipendentista venezuelana e, aggiungiamo, continentale, venne espressa nel famoso Discorso di Angostura del 1819. La cornice era tipica del pensiero di inizio XIX secolo e prevedeva la nascita di una Repubblica basata sulla sovranità popolare, la divisione dei poteri, la tutela delle libertà civili, l’abolizione della schiavitù, della monarchia e dei privilegi. Tutto questo rientrava nel modello rivoluzionario nato in Occidente nel corso del XVIII secolo, ma la rivoluzione sudamericana ebbe peculiarità proprie causate da un lato dalla polarizzazione tra due esempi fondamentali, ossia quello francese e quello statunitense, e dall’altro dalla situazione socio-politica delle terre sottoposte alla Corona spagnola.

La Rivoluzione francese, è bene ricordarlo, ebbe un certo fascino sull’élite creola, ma furono proprio i suoi eccessi ad allontanare tale classe dal modello europeo che, pure, ebbe una pesante ricaduta su questa parte del Nuovo Mondo a causa della crisi di legittimità scoppiata in Spagna nel 1808. D’altro lato, anche la Rivoluzione Americana ebbe una certa eco e influenzò parzialmente il repubblicanesimo di Bolívar, ma certo aspetti costituzionali di tale esperienza come, per esempio, il federalismo vennero rigettati con forza e stigmatizzati dal Libertador (Lynch, s.d.).

Come accennato, anche la situazione socio-politica dell’America Spagnola ebbe conseguenze importanti sul liberalismo e repubblicanesimo creolo in generale e bolivariano in particolare. Furono infatti determinati eventi come, per esempio, l’istituzione, in Venezuela, della Real Audiencia nel 1786 e del Real Consulado nel 1793 a far prendere coscienza alla popolazione dell’importanza assunta dalla colonia all’interno dell’Impero. Non dobbiamo tuttavia dimenticare come il potere politico fosse saldamente ed esclusivamente in mano spagnola, causando forti malesseri tra i mantuanos, ossia i latifondisti creoli esclusi dalla gestione politica del territorio. Non sorprenderà quindi che tale classe, al contrario degli omologhi messicani e peruviani di tendenza monarchica, vedesse nella repubblica un sistema in grado di garantire loro il controllo politico-amministrativo del nuovo Stato che andava formandosi (Scocozza, 2003).

Quella che potremmo definire come “influenza europea” sul liberalismo e repubblicanesimo di Bolívar emerge anche nella sua critica dell’Antico Regime e dell’istituto monarchico, cui si oppose fieramente e la cui adozione in Sud America egli rifiutò senza appello. Secondo il futuro Presidente della Grande Colombia, infatti, il sistema repubblicano era da preferirsi a quello monarchico perché dirigeva le proprie energie verso la prosperità interna e non verso l’espansione territoriale necessaria al prestigio di una Casa regnante. Inoltre, solo la repubblica poteva garantire la sovranità popolare e il diritto alla libertà e all’uguaglianza. Certo, vi era l’opzione di una monarchia costituzionale su modello inglese, lungamente analizzata da Bolívar, ma il percorso di una sintesi tra aristocrazia e democrazia era, secondo il Libertador, impraticabile per l’America Spagnola (Lynch, s.d.).

L’azione bolivariana si basava, potremmo dire, su tre pilastri, ossia liberazione, indipendenza ed uguaglianza e proprio in questi tre punti emerge l’originalità del suo liberalismo e della sua critica dell’Antico Regime. La libertà era, per il generale, non solo il rifiuto dell’assolutismo monarchico, ma, con una dimensione sconosciuta in Europa, anche la liberazione dal dominio coloniale che avrebbe portato a una piena indipendenza sotto una costituzione liberale. Nella sua Carta di Giamaica del 1815 il futuro Libertador esponeva la propria teoria della liberazione che, unendo liberalismo e nascente sentimento nazionale, riconosceva la rottura dell’unione tra America e Spagna e l’oppressione da parte della Corona che, sostanziatasi nella menzionata esclusione dei creoli dal controllo politico, giustificava l’azione degli Americani in difesa dei propri diritti naturali garantiti da Dio. Proprio in nome di questa rottura e della particolarità dell’America Latina, Bolívar rigettava l’adozione passiva di modelli costituzionali europeo o nordamericani, affermando che la soluzione politica ai problemi dell’America Spagnola dovesse conformarsi alle condizioni e ai bisogni latinoamericani (Lynch, s.d.).

Ritratto di Simon Bolivar
El Libertador en traje de campaña, A. Michelena, 1895. Galeria de Arte Nacional, Caracas (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Quest’ultimo aspetto emerge anche nelle posizioni bolivariane sull’uguaglianza. Secondo il Libertador, essa si divideva in due aspetti: l’uguaglianza tra Americani e Spagnoli, base per l’indipendenza, e l’uguaglianza tra gli Americani. L’America, al contrario dell’Europa, era infatti calata in una situazione non solo di forte disparità sociale, ma anche in una assai più complicata situazione razziale. Per Bolívar, quindi, la disuguaglianza fisica, morale e intellettuale doveva essere controbilanciata dalla legge, in modo da garantire l’uguaglianza politica e sociale. Più grande era la disuguaglianza sociale e maggiore doveva essere l’uguaglianza legale, da qui la necessità di estendere l’istruzione pubblica e di attuare riforme a favore degli schiavi e dei contadini senza terra (Lynch, s.d.).

Quanto riportato finora si inserisce nel contesto del liberalismo classico dell’epoca ed effettivamente gli storici si sono a lungo impegnati nel ricercare le influenze liberali, giacobine e bonapartiste sul pensiero dei Libertador. Sebbene queste influenze vi furono ed ebbero un gran peso nella formazione del venezuelano, è indubbio che anche un richiamo all’Antichità classica esercitasse un gran fascino sul futuro Presidente. Fu lui stesso ad ammetterlo, seppur indirettamente, nel suo già nominato Discorso di Angostura quando, tessendo le lodi della forma repubblicana, ne tracciò le origini parlando diffusamente dell’Antichità greca e romana, giungendo a un parallelo tra la Repubblica romana, l’assai più recente Repubblica inglese e quegli elementi repubblicani, come la sovranità popolare e la divisione dei poteri, che ancora persistevano nella Costituzione britannica.

Un esempio eccellente di quanto sopra è rappresentato dalla teorizzazione di un quarto potere, ossia quello morale, rigettato ad Angostura, ma accettato in Perù, sulla quale, oltre a Rousseau, esercitò un gran fascino proprio il richiamo all’Antichità (Malagón Pinzón, 2007). 

Questi, in linea generale, gli elementi che caratterizzavano il liberalismo bolivariano. È necessario, ora, scendere nel dettaglio e analizzare come tali principi agirono nel caso dei vari processi costituzionali nei quali il Libertador fu tra i principali protagonisti.

  1. Da Cartagena ad Angostura: il primo costituzionalismo bolivariano

Come noto, il processo di indipendenza del Venezuela e dell’America Latina fu tutt’altro che lineare e venne costellato di sconfitte, ognuna delle quali attentamente analizzata da Bolívar. Il fallimento della Prima Repubblica, nata nel 1810 e collassata sotto i colpi spagnoli nel 1812, venne analizzata nel famoso Manifiesto de Cartagena del 1812, dove il futuro Libertador espresse la sua visione sulle cause di tale sconfitta, ossia il federalismo e le elezioni. Nel corso di questo scritto, il generale riconobbe la superiorità democratica del sistema federale, ma lo sottomise alle esperienze storiche dei popoli che lo adottarono. Esso richiedeva, infatti, l’utilizzo di virtù repubblicane che erano, all’epoca, sconosciute nell’America Spagnola: qui il federalismo ebbe solo la conseguenza di indebolire e rompere il patto sociale, evidenziando le carenze politiche dei cittadini. Nelle colonie spagnole che si affacciavano all’indipendenza era necessario, secondo Bolívar, istituire governi fortemente centralizzati e lontani dalla democrazia plebiscitaria e dalle divisioni dello spirito di partito (Scocozza, 2003 e Bellido Nina, 2020).

Anche la forte estensione dei diritti elettorali determinò la sconfitta della Prima Repubblica, dando spazio agli ambiziosi e agli ignoranti, generando partiti che indebolivano l’unità della nazione, tanto necessaria in quel particolare momento storico. Il popolo, insomma, non era uso alla rappresentanza e non era pronto all’adozione della piena democrazia e di un sistema che andasse oltre la realtà sociale (Lynch, s.d.). Iniziava, quindi, a emergere un principio che guidò sempre Bolívar, ossia la necessità di elaborare sistemi costituzionali che si adattassero alla realtà sociale dei singoli Paesi, senza copiare passivamente quanto adottato da altre nazioni.

Ritratto di Simon Bolivar
Ritratto di Simon Bolivar di Ricardo Acevedo Bernal (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Siccome, per parafrasare Lenin, Bolívar era consapevole dell’importanza di partecipare all’opera della Rivoluzione, oltre che dell’elaborazione teorica, al rinfocolarsi del conflitto con la Spagna egli fu in prima linea in quella lotta che portò alla presa di Caracas. Qui, conscio delle divisioni interne e dell’assai probabile contrattacco spagnolo, Bolívar elaborò un Plan de Gobierno Provisorio para Venezuela, attraverso il quale, appunto, reggere il Paese in quella delicata fase. Tale Piano era un misto tra il liberalismo che abbiamo descritto poco fa e un autoritarismo generato dalla necessità contingente: la divisione dei poteri, infatti, prevedeva la sottomissione di Legislativo ed Esecutivo, oltre che dei governatori civili e militari, all’autorità del Comandante in Capo, ossia Bolívar stesso. È necessario ricordare, tuttavia, come tale autoritarismo servisse anche, nei disegni del Libertador, a frenare le pulsioni indipendentiste e favorire l’integrazione dei territori venezuelani liberati in una più vasta compagine territoriale, ossia la futura Grande Colombia (Scocozza, 2003).

Il fallimento di questa esperienza venne analizzato dal generale con un nuovo documento, ossia il Manifiesto de Carúpano del settembre 1814, nel corso del quale egli ribadì la superiorità del sistema repubblicano e della politica, attraverso la quale si doveva educare le persone a diventare cittadini e scegliere così la libertà, operazione impossibile da compiere attraverso la forza, extrema ratio necessaria, tuttavia, a ottenere la piena indipendenza (Scocozza, 2003).

Un ulteriore bilancio della situazione latinoamericana, nel corso del quale emerse ancora il repubblicanesimo bolivariano, fu la Carta di Giamaica del 6 settembre 1815, scritta per perorare la causa indipendentista, soprattutto in Inghilterra. Fu in questo documento che il futuro Presidente affermò l’incontrovertibile superiorità della Repubblica, unico sistema in grado di garantire la pace in quanto non interessata ad aggredire i vicini e a espandere i confini per dare lustro a una Casa regnante. Nuovamente il grande venezuelano mise in guardia dall’assunzione acritica e passiva delle teoria europee o nordamericane, ribadendo, una volta di più, l’impossibilità per l’America Spagnola di percorrere il percorso federale proprio per via del passato diverso del vicino settentrionale, precedentemente dominato dalla assai più liberale Inghilterra. 

La Carta di Giamaica, tuttavia, compì un passo avanti nell’elaborazione teorica di Bolívar, presentando per la prima volta il suo progetto, poi rivelatosi utopistico, di una grande unione di tutte le ex colonie spagnole una volta ottenuta l’indipendenza. Il Libertador, infatti, ricordava come, nell’America Spagnola, si scontrassero due tendenze: la prima vedeva nelle colonie un’unità indivisibile, destinata a formare un’unica nazione; la seconda poneva l’accento sulle sovranità locali che avrebbero generato una molteplicità di governi. La linea bolivariana univa aspetti di entrambe le posizioni. Pur rifiutando la dimensione universalista e monarchica, riconoscendo l’impossibilità di formare un unico governo a cause delle distanze e delle differenze economico-sociali tra le colonie, Bolívar giunse a elaborare un progetto confederale che riunisse tutti i territori precedentemente appartenuti alla Corona spagnola. Vicino alle posizioni di Rousseau, il generale riteneva che il governo dovesse essere unitario e generato, nell’unione della Nazione, dalla volontà sociale. Tale unione, per Bolívar, prendeva la forma dello Stato-nazione pronto, però, a collaborare con altri Stati per la più generale causa indipendentista (Scocozza, 2003 e Bellido Nina, 2020).

Carta de Jamaica
La Carta de Jamaica esposta nel Salón de Gabinete del Palacio Presidencial di Quito (fonte: Agencia de Noticias ANDES; licenza CC BY-SA 2.0)

Una nuova esplosione della lotta antispagnola e la presa, da parte degli insorti guidati da Bolívar, della strategicamente importante città di Angostura, spinsero il generale alla necessità di plasmare nuove istituzioni per trasformare i suoi uomini da ribelli a forza armata di uno Stato, postando così il conflitto con la Spagna su un nuovo livello. Subito il Libertador si mosse per concentrare tutto il potere nelle sue mani, assumendo il titolo di Jefe Supremo e il comando di tutte le sezioni nelle quali era composto il Consejo Provisional del Estado, sottolineando però come tale decisione fosse presa a causa della particolare situazione bellica e promettendo la nascita di un governo rappresentativo una volta vinta la guerra (Scocozza, 2003). 

Convocato, quindi, nel febbraio 1819, un Congresso presso la città di Angostura, Bolívar pronunciò un famoso discorso, noto per l’appunto con il nome di Discorso di Angostura, nel corso del quale espresse la propria ideologia e gettò le basi per la Costituzione venezuelana del 1819. Subito il generale annunciò la volontà di rinunziare alla carica dittatoriale, assunta, come accennato, proprio a causa della guerra con la Spagna. Successivamente, richiamandosi nuovamente alla Storia, Bolívar tracciò un parallelo con la Crisi del III secolo d.C., affermando che il divieto per i creoli di assumere cariche amministrative, imposto dalla Spagna, aveva generato un popolo perverso e intrigante. Era necessaria, quindi, una Carta che, senza copiare la Costituzione statunitense, garantisse la libertà e la felicità dei cittadini, adattandosi alla realtà venezuelana (Melleu Cione, 2020).

Questa nuova, Terza Repubblica si sarebbe quindi basata sulla divisione dei poteri e, naturalmente, sulla sovranità popolare. Tali principi, tuttavia, non venivano assolutizzati dal Libertador che, anzi, giunse a proporne una versione assai mitigata dalla preponderanza dell’Esecutivo, volta a limitare il Legislativo al fine di evitare quelle divisioni assembleari e di partito che, più volte, avevano portato al fallimento della lotta per l’indipendenza e che egli, come abbiamo visto, riteneva essere il male per uno Stato che, necessariamente, doveva essere centralizzato. Non solo, anche la sovranità popolare non si sarebbe incarnata in un suffragio universale e diretto. Gli aventi diritto, infatti, si sarebbero riuniti ogni quattro anni per eleggere le assemblee municipali, il prefetto comunale, il giudice di pace e quel corpo di elettori che avrebbero, a loro volta, nominato il Presidente e i membri della Camera che, unita al Senato, avrebbe composto il Congresso, incarnando così il Potere Legislativo (Scocozza, 2003).

Proprio il Senato fu un’altra istituzione pensata da Bolívar per mitigare la sovranità popolare e la democrazia repubblicana. Con l’ennesimo richiamo al passato romano, da cui questo ramo del Congresso prese il nome, e tracciando un ponte con il suo presente attraverso l’analisi della Camera dei Lord britannica, Bolívar propose un Senato ereditario, non elettivo, alleato del Governo e, contemporaneamente, difensore e tutore del Popolo. Proprio come il Senato romano e la Camera dei Lord furono colonna portante dei rispettivi Stati, così il Senato di Angostura avrebbe giocato un ruolo fondamentale nei destini della Terza Repubblica godendo, non a caso, di particolari prerogative quali, per esempio, il diritto di giudicare i funzionari, i deputati, i ministri e anche il Presidente qualora si fossero comportati in modo contrario alla Legge (Malagón Pinzón, 2007).

Come accennato, il Senato non sarebbe stato elettivo e la carica senatoriale sarebbe stata non solo vitalizia, ma anche ereditaria. I primi senatori, infatti, sarebbero stati gli eroi della Guerra d’Indipendenza, mentre i loro eredi, appositamente educati da speciali istituzioni, avrebbero integrato le fila senatoriali. Se da un lato, quindi, Bolívar guardava al sistema costituzionale britannico riadattato alla realtà venezuelana, ossia evitando l’opzione monarchica e proponendo un Esecutivo forte, ma responsabile di fronte al Congresso, dall’altro i senatori non venivano visti come corpo aristocratico e privilegiato. Al contrario, essendo essi un gruppo di cittadini virtuosi e saggi, esclusi dalle divisioni elettorali, avrebbero garantito la democrazia e difeso il popolo da sé stesso, limitandone gli eccessi e le frantumazioni in seno alla Nazione che avrebbero potuto portare alle cospirazioni e al crollo dello Stato, autentico e primo timore del Libertador (Malagón Pinzón, 2007 e Lynch, s.d.). 

Ritratto equestre di Bolivar
Ritratto equestre di Simon Bolivar, José Hilariòn Ibarra, 1826 (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Ad Angostura, come abbiamo visto, venne teorizzato anche un Quarto Potere, ossia quello morale, che si sarebbe dovuto suddividere in due Camere e avrebbe dovuto guidare l’opinione pubblica e stimolare l’esercizio delle virtù pubbliche e del patriottismo, oltre a supervisionare e organizzare l’istruzione. I congressisti, tuttavia, contrari al Senato ereditario e timorosi che il potere morale potesse portare a un ulteriore accentramento del potere nelle mani di Bolívar, rigettarono l’istituzione di una Camera Alta vitalizia e relegarono il potere morale in una appendice da sottoporre poi all’attento esame di una commissione, escludendolo di fatto dalla Carta costituzionale (Scocozza, 2003 e Lynch, s.d.).

  1. Perù e Bolivia: l’autoritarismo bolivariano

L’ultima tappa dell’impresa bolivariana di liberazione di vasta parte dell’America Latina dalla dominazione spagnola fu l’indipendenza del Perù che, all’epoca, copriva un territorio assai più vasto di quello sul quale ora il Paese estende la propria sovranità. Terminata la guerra con la Spagna, Bolívar si dedicò subito all’assetto politico-costituzionale dei territori liberati, rispolverando il progetto unitario cui abbiamo fatto cenno. Il 12 maggio 1826, infatti, il Libertador inviò una lettera a Sucre e a Gutiérrez de la Fuente nella quale esponeva il proprio disegno di grande federazione tra Bolivia, Perù e Grande Colombia, fulcro della quale avrebbe dovuto essere proprio la Costituzione boliviana che si andava elaborando che, riadattata in base alle specificità di ogni Paese, si sarebbe dovuta estendere agli altri territori. Gli Stati particolari, secondo Bolívar, sarebbero stati governati da un Presidente, coadiuvato da un Vice-Presidente, e avrebbero avuto Camere nazionali che si sarebbero occupate della gestione della religione, della giustizia e di tutto ciò che non fosse di competenza del governo federale. L’unione sovranazionale, vero e proprio Stato federale dotato di bandiera ed esercito, sarebbe stato retto da un Presidente, anche in questo caso affiancato da un Vice, e avrebbe avuto tre Camere composte da deputati inviati da ogni nazione facente parte della Federazione (Paniagua Corazao, 2008). 

Proclamazione dell'indipendenza del Perù
Proclamaciòn de la Independencia del Perù, J. Lepiani, 1904. National Museum of Archaeology, Anthropology and History of Perù, Lima (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Subito, tuttavia, iniziarono le divisioni e aumentò il rischio di una guerra civile che avrebbe portato alla fine traumatica del sogno bolivariano. L’idea federativa, come facilmente immaginabile, non era accettata da tutti i generali vicini al Libertador. Tomás de Heres, per esempio, espresse una visione assai pessimista sui destini di un’eventuale Federazione, affermando che essa, a causa delle grandi distanze territoriali, delle divisioni nazionali e dipartimentali, sarebbe durata al massimo un anno. Heres proponeva, invece, il riconoscimento di una Bolivia indipendente, dotata di una propria Costituzione da estendersi alla Grande Colombia, una federazione tra Bolivia e Perù, l’assunzione del titolo di Protettore di questi Stati da parte di Bolívar e, infine, un accordo con l’Inghilterra per contenere l’Impero brasiliano e le pretese argentine (Scocozza, 2003 e Paniagua Corazao, 2008).

Heres non fu l’unico a opporsi al progetto unitario di Bolívar. Anche diversi ufficiali colombiani, timorosi di perdere le proprie prerogative, non vedevano di buon occhio la nascita di uno Stato più vasto che potesse fare da contraltare alla Grande Colombia, mentre Cile, Buenos Aires e Brasile temevano l’estensione dell’influenza di Bolívar e la costituzione di una vasta Federazione che avrebbe rafforzato il potere del Libertador. Furono proprio queste divisioni a far prendere coscienza a Bolívar della necessità di giungere a un nuovo assetto istituzionale, tanto in Perù quanto in quell’Alto Perù che, nel frattempo, aveva dato vita alla Bolivia. Entrambe queste nazioni, quindi, vennero dotate di due Costituzioni, a tratti simili, che portarono grandi novità nel costituzionalismo bolivariano e che, per questo, meritano di essere analizzate separatamente.

Anzitutto, è bene sottolineare che entrambe le Costituzioni erano assai più autoritarie e conservatrici di quelle che abbiamo analizzato sino a ora. Non dobbiamo infatti dimenticare come i territori che costituivano il Vicereame del Perù avessero attraversato un percorso assai lungo e tortuoso per giungere all’indipendenza e vedessero la presenza di un’oligarchia estremamente forte e assai conservatrice che basava la propria fortuna economica su un’economia esportatrice, sul latifondo, sull’estrazione mineraria e sullo sfruttamento della manodopera schiavile. Bolívar ben conosceva questa situazione e, fin dalla Carta di Giamaica, aveva mostrato forte scetticismo sulla possibilità che tale oligarchia, tendenzialmente monarchica, accettasse un sistema pienamente democratico (Melleu Cione, 2020).

Per quanto riguarda il Perù, sul quale concentreremo la nostra analisi, la nuova Carta venne emanata il 30 novembre 1826 e fu, come possibile immaginare, un’unione di tendenze ed elementi diversi, quasi un punto d’incontro tra un sistema monarchico-bonapartista e uno democratico-repubblicano, sempre difeso da Bolívar nonostante la situazione descritta poco sopra. Il documento, inoltre, sembra essere il punto di approdo di quella svolta iniziata ad Angostura, ossia quella mitigazione della sovranità popolare, nella quale il Libertador continuava a credere fortemente, e la nascita di un Esecutivo forte che accentrasse il potere in forma unitaria e paternalista, entrambi aspetti necessari nei territori di recente indipendenza, ancora più immaturi degli altri per ricevere un sistema pienamente democratico (Paniagua Corazao, 2008).

La Costituzione del Perù si apriva in modo classico, definendo la Nazione come l’unione di tutti i peruviani dalla quale emanava la sovranità popolare. Vi era poi una divisione quadripartita del Potere in Elettorale, Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. Accanto a misure liberali quali una dichiarazione dei diritti, il riconoscimento delle libertà civili, l’uguaglianza di fronte alla legge e l’estensione dei diritti elettorali agli uomini sopra i 25 anni o sposati che esercitassero una professione o scienza, coesistevano misure reazionarie come la reintroduzione della schiavitù e il riconoscimento del cattolicesimo come religione nazionale (Bellido Nina, 2020).

Il Potere Esecutivo era, potremmo dire, l’asse portante di questa Costituzione che, non a caso, venne definita come “vitalizia”. Per quanto il regime fosse, teoricamente, rappresentativo, la carica presidenziale veniva eletta a vita e deteneva il diritto di nominare il Vicepresidente, il quale veniva poi approvato dal Legislativo, e controllava i Segretari di Stato. Non solo: siccome i Prefetti, Sottoprefetti e Governatori erano nominati dal Senato sulla base di liste presentate dall’Esecutivo e i membri del Tribunale Supremo venivano eletti dai Censori in base alla stessa procedura, il Presidente controllava di fatto anche queste istituzioni e l’amministrazione interna della Repubblica (Paniagua Corazao, 2008). Nasceva così uno Stato autoritario e centralizzato in cui il Presidente, che controllava anche l’esercito, deteneva competenze in tutte le sfere sociali e la cui autorità era limitata solo dal rispetto delle libertà individuali, della proprietà privata, delle elezioni e dal divieto di abbandonare il Paese senza il previo assenso del Legislativo, generando quindi una sorta di “assolutismo presidenziale”.

Simon Bolivar
Ritratto di Simon Bolivar come primo presidente boliviano, L.E. Toro Moreno, 1922. Palacio Legislativo, La Paz
(fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Per il Potere Legislativo il Libertador si ispirò nuovamente al sistema inglese, modificandolo però con l’introduzione di una terza Camera. Accanto al Senato e alla Camera dei Tribuni, infatti, era stata posta la Camera dei Censori, pensata come arbitro per ovviare ai mali del bicameralismo. Tutti i rami dei Legislativo erano composti di ventiquattro membri, ma la durata del mandato era variabile. Mentre i Tribuni e i Senatori restavano in carica per quattro e otto anni rispettivamente, i Censori detenevano una carica vitalizia. Come accennato, la Costituzione del Perù era pensata per mitigare la sovranità popolare, cercando di adattare tale principio alla realtà sociale della nazione e alle tendenze autoritarie dell’oligarchia. Non sorprenderà, quindi, che i membri delle Camere venissero, in base a quanto deciso nel 1826, eletti direttamente solo una volta, dopodiché il rinnovamento sarebbe avvenuto per cooptazione sulla base di liste proposte dagli elettori cui faremo cenno a breve (Paniagua Corazao, 2008 e Bellido Nina, 2020). 

I poteri di cui i legislatori godevano erano assai limitati. I Tribuni detenevano l’esclusività in materie territoriali, tributarie, finanziarie, commerciali, monetarie e in diversi aspetti di politica nazionale e internazionale, mentre i Senatori redigevano codici e regolamenti in materia ecclesiastica, eleggevano diverse autorità politiche e avevano l’iniziativa legislativa in materie generali. Le figure più interessanti introdotte dalla Carta del 1826 furono i Censori che, finalmente, incarnarono quella sorta di “potere morale” teorizzata da Bolívar ad Angostura. Questi particolari legislatori, infatti, vigilavano sul rispetto della Costituzione e dei trattati, accusavano, di fronte al Senato, il Vicepresidente e i Segretari di Stato in caso di violazione della Costituzione, delle leggi e dei trattati, sospendendoli in caso di tradimento, concussione o palese violazione delle leggi. Inoltre, nominavano i membri del Supremo Tribunale di Giustizia, detenevano l’iniziativa in materia educativa e culturale, proteggevano la libertà di stampa e insegnamento e lodavano o denigravano i cittadini distintisi per condotta morale ineccepibile o deplorevole (Paniagua Corazao, 2008).

Vi era poi un quarto Potere, ossia quello Elettorale, che incarnava il principio della sovranità popolare e che, secondo la Costituzione, risiedeva in ogni cittadino che, però, lo esercitava in modo indiretto. La Carta del 1826, infatti, prevedeva la costituzione di collegi elettorali composti da un membro ogni cento cittadini, i quali elaboravano le liste di candidate dalle quali le Camere, come visto, si rinnovavano per cooptazione. Tra gli altri diritti dei collegi elettorali vi erano quelli di formulare rimostranza contro i funzionari, proporre all’Esecutivo e al Senato liste per i candidati a cariche politiche e giudiziarie e, infine, quello di conferire alla Camera poteri straordinari per modificare la Costituzione. Anche in questo caso, quindi, il sistema democratico veniva decisamente annacquato, contribuendo così a un’ulteriore centralizzazione di uno Stato già fortemente autoritario (Paniagua Corazao, 2008 e Bellido Nina, 2020).

La Carta peruviana portò infine a una svolta anche nelle posizioni bolivariane nei confronti della religione cattolica. Conscio dell’intreccio tra problema politico e questione morale, Bolívar, pur rifiutando la visione regalista dello Stato e ritenendo necessaria la divisione tra Stato e Chiesa, iniziò a intrecciare rapporti utilitaristici con quest’ultima, giungendo diverse volte a tentare un riavvicinamento con Roma. Il Libertador sapeva che instaurare un sistema liberale in una società cattolica avrebbe causato una serie di problemi che sarebbero potuti sfociare anche in un conflitto aperto tra conservatori e riformatori. Pur ritenendo la religione una questione privata, Bolívar decise quindi di inserire il culto cattolico in Costituzione, ottenendo il riconoscimento ecclesiastico della nuova Repubblica (Bellido Nina, 2020).

Furono in ogni caso le continue cospirazioni e, infine, l’insurrezione delle truppe colombiane di stanza a Lima il 26 gennaio 1827, con le sue ricadute politiche tanto nella Grande Colombia quanto in Perù, a porre fine alla Costituzione peruviana che, nei fatti, non venne mai applicata. Terminava, inoltre, in modo traumatico il sogno bolivariano, sostanziatosi in Perù in un sistema autoritario-cesarista volto da un lato a incontrare il supporto dell’oligarchia e, dall’altro, a evitare l’anarchia e la dissoluzione dello Stato (Paniagua Corazao, 2008 e Melleu Cione, 2020).

  1. Conclusioni

Il liberalismo bolivariano e il pensiero costituzionale del Libertador erano, come speriamo sia emerso nel corso di questo articolo, tutt’altro che lineari e banali, avendo anzi caratteristiche diverse rispetto agli omologhi europei ed elementi che non possono essere compresi se non calati nella realtà latinoamericana dell’epoca.

Dai primi bilanci di Bolívar sulle ragioni delle varie sconfitte nel corso della lotta antispagnola fino alle Costituzioni di Perù e Bolivia, emerge una costante ricerca della libertà e di odio del dispotismo che, tuttavia, non giunse mai alla glorificazione della libertà fine a sé stessa o dell’anarchia. L’intento di Bolívar, tuttavia, non fu mai, come spesso ipotizzato, monarchico: il generale restò sempre un fervente repubblicano che cercava di condensare elementi diversi per porre le basi per il grande progetto, rivelatosi utopistico, di unità latinoamericana. Le Carte peruviana e boliviana, nate con lo scopo di fungere da base per l’uniformità costituzionale degli altri Stati, fallirono nel tentativo di dare stabilità a queste nazioni e vennero accantonate da quelle oligarchie che stavano ormai pensando di liberarsi dell’ingombrante presenza del Libertador (Scocozza, 2003).

Un altro aspetto fondamentale del pensiero bolivariano fu sempre, infatti, la ricerca dell’equilibrio tra tirannia e anarchia e, di conseguenza, la conservazione della Repubblica nel segno di una futura unità latinoamericana che, come emerso più volte nel corso di questo articolo, si rivelò utopia, ma che lasciò un segno tanto profondo nel Continente da essere presente ancora oggi.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

Bellido Nina J.L., La República católica y la República constitucional: apuntes sobre la relación Iglesia-Estado en José Sebastián de Goyeneche y Simón Bolívar (1812-1826), Allpanchis, año XLVII, num. 85, 2020; Lynch J., Simon Bolivar and the Age of Revolution, University of London, Institute of Latin American Studies, s.d.; Malagón Pinzón M., El pensamiento republicano de Bolívar en el proyecto constitucional de Angostura de 1819 y en la Constitución boliviana de 1826, Revista de Derecho, 27, 2007; Melleu Cione V., Bolívar y la constitución peruana de 1826. El intento de estructurar la estabilidad por medios legales en un contexto atrasado, UNAM, Instituto de Investigaciones Jurídicas, Revista Mexicana de Historia del Derecho, XLII, 2020; Paniagua Corazao V., El proceso constituyente y la constitución vitalicia (bolivariana) de 1826, Historia Constitucional (revista electrónica), n. 9, 2008; Scocozza A., Estado y Constitución en Simón Bolívar, Telos Vol. 5 (3), 2003. 

Immagine di copertina: Simon bolivar al congresso di Angostura, T. Salas, 1941 (fonte: autore, HctrJJJ1; licenza, CC BY-SA 4.0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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