CARLO IV E LE CRISI REALI IN UNGHERIA

di Davide Galluzzi

La fine della Prima Guerra Mondiale portò grandi sconvolgimenti nell’Europa centro-orientale. Il crollo dei grandi Imperi che, da lungo tempo, dominavano la regione, condusse alla nascita di nuovi Stati che desideravano affermarsi e rafforzarsi e a una serie di sommovimenti politici come, per esempio, la nascita e il repentino collasso della Repubblica dei Consigli in Ungheria.

Il Paese danubiano, in particolare, vide il rapido avvicendarsi di diversi regimi politici, passando dalla storica monarchia alla repubblica democratica sfociata poi in quella socialista, per tornare, infine, a una monarchia restaurata, una “monarchia senza re” affidata al reggente Miklós Horthy. Questo riapriva il dibattito intorno alla figura del monarca, tanto più feroce in quanto un re incoronato, in linea teorica, esisteva già: Carlo IV d’Asburgo, la cui precedente rinuncia al trono era considerata da molti, egli in primis, come non valida.

Proprio dei due tentativi di Carlo IV, falliti a causa dell’opposizione dei cosiddetti Stati successori, delle Grandi Potenze e di parte della leadership ungherese, parleremo in questo articolo.

  1. La politica interna ungherese tra 1920 e 1921 e le due crisi reali

Il periodo immediatamente successivo alla Prima Guerra Mondiale fu uno dei più convulsi nella Storia d’Ungheria e rappresentò una vera e propria svolta per il Paese danubiano, le cui ricadute sono visibili ancora oggi. L’11 e il 13 novembre 1918, infatti, Carlo d’Asburgo, attraverso le due Dichiarazioni di Eckartsau, rinunziò all’esercizio delle proprie prerogative imperiali e regie in Austria e in Ungheria, allontanandosi dalla vita politica dell’Impero e rimettendo, di fatto, alla Nazione magiara il diritto di decidere la sorte del trono ungherese. Questa “abdicazione”, tuttavia, non aveva pienamente valore di legge in quanto la Dichiarazione non venne controfirmata dal Primo Ministro né, tantomeno, ratificata dai due rami del Parlamento magiaro. Furono quindi gli organismi legislativi a decretare la nascita della Repubblica borghese prima e socialista poi, lasciando così le porte aperte a una eventuale restaurazione della monarchia come effettivamente avvenne in seguito al collasso della Repubblica dei Consigli socialista(Zeidler, s.d., Magda, 1985 e Bondarenko, 2020).

Proclamazione della nascita della Repubblica Popolare d'Ungheria
Il Consiglio Nazionale Ungherese e il conte Mihály Károlyi proclamano la nascita della Repubblica Popolare d’Ungheria, 16 novembre 1918 (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Le elezioni del gennaio 1920, le prime dopo la breve parentesi socialista, videro entrare in Parlamento una schiacciante maggioranza monarchica che, dichiarando nulla la proclamazione della Repubblica avvenuta il 16 novembre 1918, riportò di fatto indietro le lancette della Storia, ricostituendo il Regno d’Ungheria e affidando la reggenza all’ammiraglio Miklós Horthy. Questa decisione, naturalmente, generò un accesodibattito su chi dovesse cingere la Corona di Santo Stefano, spaccando il fronte politico-monarchico in due campi ben distinti: da un lato si ponevano i legittimisti, ossia coloro i quali ritenevano nulla la Dichiarazione di Eckartsau e, di conseguenza, desideravano il ritorno di Carlo IV quale Re Apostolico; dall’altro si situavano i cosiddetti “liberi elettori”, ossia quei monarchici che ritenevano che il diritto di eleggere il sovrano fosse tornato alla Nazione (Hohwald, 2008 e Zeidler, s.d.).

Per un paradosso della Storia fu quindi in Ungheria, quel Paese che così a lungo, in passato, aveva lottato contro gli Asburgo, che Carlo IV trovò il maggior sostegno per un eventuale ritorno sul trono. Le Grandi Potenze uscite vittoriose dal primo conflitto mondiale erano ben consapevoli del pericolo concreto di restaurazione asburgica. Questa possibilità, come vedremo meglio in seguito, si scontrò da subito con l’opposizione delle Grandi Potenze e dei più piccoli Stati successori nati in seguito al crollo dell’Impero austro-ungarico, rischiando di far diventare la questione monarchica ungherese un problema per la pace nella regione. Basti pensare che si giunse presto a un primo intervento politico-diplomatico della Conferenza degli Ambasciatori di Gran Bretagna, Francia e Italia che si sostanziò nelle pressioni fatte sull’arciduca Giuseppe affinché rinunciasse, nel 1919, al titolo di reggente temporaneamente assunto e nella dichiarazione del 2 febbraio 1920 con la quale le Potenze esprimevano formalmente il proprio rifiuto a una restaurazione asburgica (Hohwald, 2008; Kerepeszki, 2022 e Bondarenko 2020).

Re Carlo IV d'Ungheria
Carlo IV, ultimo re ungherese ad essere stato incoronato con la Sacra Corona di re Stefano I (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Tuttavia, come accennato, gli ambienti filo-asburgici erano radicati in Ungheria e comprendevano settori dell’aristocrazia, esponenti del clero, del mondo politico e di quello militare i quali sostenevano che Carlo IV si fosse allontanato dal trono non volontariamente, ma costretto dalle circostanze. Non solo: anche i tre uomini più influenti del Regno, ossia il reggente Horthy, il Primo Ministro Pál Telei e il Ministro degli Esteri Gusztáv Gratz si espressero più volte a favore di una restaurazione del trono asburgico, pur sottoponendola alla rinuncia all’assunzione di altre corone e all’eliminazione degli obblighi della Prammatica Sanzione del 1723, in modo da rassicurare i vicini e, in particolare, l’Italia sull’impossibilità di un ritorno dell’Impero austro-ungarico (Magda, 1985). In realtà, la posizione di Horthy e di Teleki era alquanto ambigua. Il Primo Ministro, infatti, oscillava tra il sostegno a Carlo IV e il diritto della Nazione a eleggere il proprio sovrano, mentre il reggente, godendo dell’appoggio tanto dei “carlisti” quanto dei “liberi elettor”i, cercava di mantenere un equilibrio, tanto da sconsigliare al re di tornare in Ungheria nel 1919 per evitare conseguenze sulle trattative di pace e vanificare gli sforzi per far accettare agli Stati successori una Ungheria indipendente (Magda, 1985 e Zeidler, s.d.).

La situazione complessiva, quindi, non era pienamente favorevole a una restaurazione carlista, ma proprio per questo il monarca decise di giocare il tutto per tutto, probabilmente influenzato anche da una certa ambiguità di alcuni circoli politici francesi che ben vedevano un eventuale ritorno dell’Asburgo nel contesto della creazione di una Confederazione Danubiana per contenere la Germania, politica che si scontrava con la netta opposizione dell’Italia che cavalcava invece l’onda antiasburgica per rafforzare la propria influenza nell’Europa centro-meridionale. Il 4 giugno 1920, giorno in cui veniva firmato il Trattato del Trianon, Carlo IV inviò una lettera a Horthy, affermando di considerarsi re legittimo e aspettandosi quindi di tornare sul proprio trono entro l’anno. Fu in questo contesto che, nonostante i tentennamenti del reggente, nacque un’alleanza politica segreta per favorire il ritorno del re (Magda, 1985 e Zeidler, s.d.). A peggiorare la situazione pensarono i continui dibattiti in Parlamento circa il destino della Corona. Nonostante, per paradosso, i legittimisti, appoggiati da Horthy e da Teleki, cercassero di ritardare la discussione per timore che essa potesse concludersi a favore dei liberi elettori, erano proprio questi ultimi a portare continuamente la questione in Parlamento per decidere definitivamente la sorte del monarca (Zeidler, s.d.).

Pál Teleki
Il Primo Ministro ungherese Pál Teleki (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Carlo IV decise quindi di agire. Il 26 marzo 1921, abbandonata la Svizzera, il re giunse a Szombathely dove, ospite del vescovo János Mikes, ricevette il Ministro del Culto e dell’Istruzione József Vass e il Primo Ministro Pál Teleki che, “casualmente”, si trovavano nei pressi della città, concordando con entrambi la partenza per Budapest il giorno seguente. Il 27 marzo, quindi, il sovrano giunse a Budapest, dove incontrò un Horthy ignaro della situazione. Carlo IV provò a rassicurare il reggente circa l’appoggio del governo francese guidato da Briand, ma l’ammiraglio, dubbioso, consigliò al monarca di abbandonare il Paese in attesa di tempi migliori per evitare sommovimenti in politica interna ed estera, convincendo l’Asburgo a tornare momentaneamente a Szombathely (Magda, 1985 e Zeidler, s.d.).

Come si può ipotizzare, il rientro del sovrano in Ungheria ebbe pesanti ripercussioni in politica estera. Il tentato colpo di mano portò alla sospensione dei colloqui ungaro-cecoslovacchi di Bruck, vitali per la pace nella regione, e scatenò le ire tanto delle Grandi Potenze, pur con la solita ambiguità della Francia, quanto dei Paesi confinanti, Cecoslovacchia e Jugoslavia in particolare. Inoltre, vista la presenza di Teleki e Vass a Szombathely, il governo ungherese veniva visto come complice del re, nonostante tutti i tentativi di Horthy per spingere Carlo IV a tornare in Svizzera e l’opposizione di fatto esercitata dal governo contro la restaurazione carlista (Hohwald, 2008 e Magda, 1985). Di fronte all’opposizione tanto nazionale quanto internazionale, concretizzatasi in un ultimatum militare della Cecoslovacchia, Carlo IV decise di abbandonare il proprio progetto: approfittando di una nuova Dichiarazione antiasburgica della Conferenza degli Ambasciatori, provvidenziale per evitare al monarca di mostrare un “cedimento” all’ultimatum di Praga, l’Asburgo lasciò l’Ungheria il 5 aprile 1921 per fare ritorno in Svizzera (Zeidler, s.d.).

István Bethlen
Il Primo Ministro ungherese István Bethlen (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Con il fallimento del colpo, si consumò anche un dramma politico a Budapest. Il 6 aprile, infatti, Pál Teleki riferì in Parlamento, mentre il Ministro degli Esteri Gratz, ultra legittimista, attaccava Praga e Belgrado, accusate di aver fatto precipitare la crisi, e la Società delle Nazioni per non aver opposto resistenza alle manovre militari degli Stati successori. Il giorno seguente, il Primo Ministro rassegnò le proprie dimissioni, venendo sostituito da István Bethlen, mentre il Ministero degli Esteri venne affidato al conte Miklós Bánffy, portando così all’estromissione di Gratz (Zeidler, s.d.).

Carlo IV non si diede tuttavia per vinto e, dal suo esilio in Svizzera, continuò i preparativi per organizzare il proprio rientro a Budapest, mantenendo i contatti con i circoli legittimisti tanto in Ungheria quanto in Francia e negli altri Paesi dell’Europa centrale, avvalendosi della preziosa collaborazione di Gratz. Ai circoli carlisti appartenevano anche alti ufficiali dell’esercito ungherese come, per esempio, Balthazar Láng, Capo del Gabinetto Militare, che iniziò a fare pressioni sul reggente affinché facesse concessioni al sovrano. Fu in questo contesto che Carlo organizzò un nuovo colpo, inizialmente previsto per il 6 luglio, ma successivamente posticipato al 22 agosto su consiglio di Gratz. Fu nuovamente il reggente, pur ribadendo la sua fedeltà al sovrano, a far naufragare il progetto inviando una lettera con la quale ricordava al re il peggioramento delle relazioni estere ungheresi dopo il primo tentativo di restaurazione. Di fronte a un concreto pericolo di occupazione militare del Regno da parte della Piccola Intesa e di eventuale spartizione dell’Ungheria tra questa alleanza e la Polonia, Horthy suggeriva di evitare azioni avventate e di attendere con pazienza l’occasione propizia, approfittando del mutevole contesto centro-europeo (Magda, 1985 e Zeidler, s.d.).

Gyula Ostenburg
Sopron 1921: Gyula Ostenburg guida un distaccamento di gendarmi a cavallo in supporto degli ungheresi che manifestavano contro il Trattato del Trianon (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Contemporaneamente, tuttavia, il reggente iniziò una energica azione diplomatica presso le Grandi Potenze affinché fermassero Carlo IV e presso i Paesi confinanti per rassicurarli. Non solo: anche in politica interna il governo si mosse allontanando gli elementi più carlisti dalle Forze Armate e dall’amministrazione (Magda, 1985). Furono proprio gli elementi più radicali e militari legittimisti a non farsi frenare dalle posizioni attendiste del reggente: intenzionati a far leva sul battaglione guidato da Gyula Ostenburg, rimasto fedele al re, iniziarono a fare pressioni su quest’ultimo affinché prendesse una decisione prima che gli uomini di Ostenburg, di stanza nel Burgenland, venissero richiamati a Budapest in ottemperanza agli accordi inclusi nel Trattato del Trianon, che prevedeva la cessione della regione all’Austria. Il 15 ottobre, quindi, il barone Aladár Boroviczény acquistò un aeroplano a Zurigo per evitare eventuali controlli alla frontiera e, il 20 ottobre, Carlo IV e la moglie Zita lasciarono Hertenstein per dirigersi in Ungheria (Zeidler, s.d.).

Le intenzioni del sovrano erano ora diverse rispetto al primo tentativo di restaurazione e assai più radicali: l’Asburgo intendeva infatti marciare su Budapest e riprendere manu militari quanto riteneva spettargli di diritto. I monarchi giunsero a Dénesfa nel pomeriggio del 21 ottobre e, di lì, si diressero a Sopron dove ottennero il giuramento di fedeltà delle truppe guidate da Ostenburg, nominando in seguito un nuovo governo provvisorio composto di elementi carlisti e organizzando la marcia su Budapest. Mentre il treno reale si avvicinava sempre più alla capitale, ottenendo consensi tra le truppe, il governo ungherese, messo a conoscenza dei fatti all’alba del 22 ottobre, si riunì urgentemente insieme ai comandanti militari rimasti fedeli ed elaborò un comunicato da inviare alle Grandi Potenze e da diffondere tra i soldati. Il contenuto del documento, riaffermando i contenuti dell’Atto I 1920, ricordava come il monarca non potesse esercitare i propri diritti di sovrano e dovesse quindi lasciare il Paese: in base a questo veniva fatto assoluto divieto ai soldati di prestare giuramento a Carlo IV, ricordando loro di non ubbidire agli ordini del sovrano. Allo stesso tempo, il Ministro degli Esteri Bánffy chiese alle Grandi Potenze di inviare delegati a Győr per raggiungere Carlo IV e dissuaderlo, attraverso una serie di trattative, dal continuare la marcia, ma le Potenze rifiutarono, affermando che talecompito spettasse solo al governo magiaro, trattandosi, questa, di una questione interna al Regno (Zeidler, s.d.; Magda, 1985 e Hohwald, 2008).

Miklós Horthy
Il reggente ungherese, ammiraglio Miklós Horthy (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Ad aggravare la situazione giunse, come vedremo a breve, un nuovo e più radicale ultimatum da parte della Cecoslovacchia. Il governo ungherese, quindi, si preparò a ogni evenienza, radunando le truppe fedeli per fronteggiare il re. Quest’ultimo venne infine fermato a Budaörs, a pochi chilometri da Budapest, dove si tennero trattative per un “armistizio” tra le parti. Fu Horthy a infrangere l’accordo e, il 24 ottobre, a far circondare gli uomini di Ostenburg, imponendo condizioni di resa molto dure che includevano, tra l’altro, l’immediata abdicazione di Carlo IV. Il re non rispose all’offerta, ma ordinò ai suoi uomini di ritirarsi, dopodiché il treno reale partì per Tata, dove venne nuovamente fermato: Carlo IV venne condotto presso l’abbazia benedettina di Tihany, sul lago Balaton, ufficialmente per garantirne la sicurezza (Zeidler, s.d.).

La crisi sembrava quindi conclusa, ma il Presidente cecoslovacco Edvard Beneš gettò benzina sul fuoco reiterando i termini dell’ultimatum in un tentativo estremo di rafforzare le posizioni della Piccola Intesa nella regione, ma le Grandi Potenze riportarono Praga all’ordine rifiutando le imposizioni della capitale cecoslovacca tranne quella che prevedeva la totale abdicazione di Casa d’Asburgo, inserita in un memorandum inviato a Budapest il 30 ottobre. Questo documento andava a rovinare i piani di Horthy, il quale era nel frattempo giunto a un accordo segreto con Carlo IV che prevedeva la sola abdicazione di quest’ultimo, salvaguardando in teoria i diritti del figlio Otto. Il 6 novembre 1921, in ottemperanza al memorandum delle Grandi Potenze, il Parlamento magiaro votò l’Atto di Detronizzazione. L’ultimo tentativo di restaurazione operato da Carlo IV si risolse così con la totale abdicazione forzata della dinastia regnante, l’esilio dell’ex sovrano a Madeira e la morte in esilio dell’Asburgo il 1° aprile 1922, cinque mesi dopo il fallito colpo di mano (Zeidler, s.d. e Hohwald, 2008).

  1. Le reazioni internazionali alle crisi reali ungheresi

Come emerso più volte nel corso di questo articolo, i principali attori internazionali che interagirono, scontrandosi, con l’Ungheria durante le due crisi reali furono le Grandi Potenze, ossia Gran Bretagna, Francia e Italia e la Piccola Intesa, ossia Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania. In realtà le azioni di tutti questi Paesi furono influenzate dai rapporti che essi mantenevano con Budapest da prima dei due tentativi di Carlo IV, ossia dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Fu infatti alla fine del primo conflitto mondiale che le Potenze vincitrici si mossero per colmare il vuoto causato dal crollo dell’Impero tedesco e di quello austro-ungarico, intenzionate a rafforzare i nuovi Stati nati nell’Europa centro-meridionale e a creare una sorta di cordone sanitario che andasse a contenere una eventuale rinascita dell’influenza tedesca nella regione, oltra alla possibile avanzata del bolscevismo russo (Bondarenko, 2020).

Piccola Intesa
La Piccola Intesa (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Quella di frenare una futura rinascita della Germania era vista come una necessità impellente, soprattutto considerando il fatto che l’Austria-Ungheria occupò sempre un ruolo primario nella politica estera mitteleuropea del defunto Impero tedesco. Con la frantumazione dei domini asburgici iniziò a farsi strada, in diversi circoli tedeschi, l’idea che l’indipendenza dell’Austria fosse temporanea e che questo Paese si sarebbe riunito, in futuro, alla Nazione tedesca. Anche l’interesse per l’Ungheria, nonostante il Regno fosse stato menomato della stragrande maggioranza dei propri territori in seguito al Trattato del Trianon, non venne meno. Ben presto iniziò anzi  a farsi strada l’idea, in diversi esponenti della Repubblica di Weimar, di sostituire la propria influenza nella regione a quella francese, approfittando anche dell’indebolimento della Russia: l’Ungheria rivestiva un ruolo di primo piano in questo progetto in quanto vista come naturale sbocco per le merci tedesche (Romsics, 2019).

Nonostante tutti i timori delle Grandi Potenze, tuttavia, la Germania non intervenne durante le crisi reali del 1921, timorosa di scatenare un’eventuale reazione delle Potenze vincitrici. Ognuna di esse, infatti, aveva interessi nella regione che riteneva essere fondamentali. Prendiamo, a titolo di esempio, la Gran Bretagna. Dopo il crollo della Repubblica dei Consigli, Londra fu tra le capitali più favorevoli alla stabilizzazione dell’Ungheria attraverso un governo forte incentrato sulla figura dell’ammiraglio Horthy, facendo forti pressioni affinché l’arciduca Giuseppe rinunciasse al titolo di reggente e opponendosi fermamente a ogni tentativo di restaurazione di Carlo IV. La stabilità del Paese era infatti fondamentale per il Regno , aveva necessità di controllare il Danubio per garantire il flusso di petrolio proveniente dalla Romania. Proprio per questo, il Governo di Sua Maestà vedeva di cattivo occhio ogni estensione dell’influenza francese, o italiana, nella regione (Magyarics, 2019).

Alexandre Millerand
Il Presidente della Repubblica francese, Alexandre Millerand (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

La Francia, d’altro canto, aveva una posizione estremamente ambigua nei confronti del destino del trono ungherese. Gli ambienti politici francesi erano infatti divisi a metà tra chi, come Maurice Paléologue e Alexandre Millerand, riteneva auspicabile un ritorno degli Asburgo al trono per stabilizzare la regione e creare un’unione in grado di contenere la Germania e chi, come Marcellin Berthelot, preferiva limitare questa alleanza danubiana ai soli Stati successori, ponendo Praga al centro di questo sistema destinato a limitare tanto le ambizioni tedesche quanto il revanscismo magiaro. Fu, come sappiamo, quest’ultima linea a vincere e la Piccola Intesa si limitò a Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania. Vista l’ambiguità di Parigi, tuttavia, è comprensibile la costante preoccupazione dei tre Paesi di fronte alla possibilità di restaurazione asburgica, soprattutto perché Carlo IV non aveva formalmente abdicato né sottoscritto il Trattato del Trianon, per cui le sue pretese sugli Stati successori erano, teoricamente, intatte (Magda, 1985 e Hohwald, 2008).

Quando l’ex imperatore attuò il primo tentativo di restaurazione, la reazione più violenta venne proprio da parte della Cecoslovacchia e della Jugoslavia, i quali si accordarono per un’azione militare congiunta che, in caso di trionfo di Carlo IV, avrebbe portato all’occupazione dell’Ungheria alla quale, secondo il Primo Ministro Edvard Beneš, avrebbe partecipato anche l’Italia. Budapest reagì alle pressioni cecoslovacche ricordando da un lato come il destino del trono magiaro fosse questione di politica interna, mentre, dall’altro, cercava di inviare segnali rassicuranti circa l’improbabilità di una restaurazione carlista. Nonostante queste rassicurazioni e, come abbiamo visto, l’azione diretta del governo ungherese, Beneš, intenzionato a rafforzare lo Stato cecoslovacco ed il suo ruolo nella regione, elaborò un ultimatum attraverso il quale imporre la soluzione definitiva della questione asburgica e la cessione immediata dell’Ungheria occidentale all’Austria, scontrandosi però con l’opposizione unanime delle Grandi Potenze e dei Paesi alleati (Magda, 1985).

Edvard Beneš
Il Primo Ministro cecoslovacco Edvard Beneš (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Praga, a ogni buon conto, non si arrese e, il 3 aprile, elaborò un nuovo ultimatum, sottoscritto anche dalla Jugoslavia, secondo il quale i due Paesi si impegnavano a intervenire militarmente qualora Carlo IV si fosse trovato ancora in Ungheria dopo le ore 18:00 del 6 aprile. Su pressione di Belgrado, la data limite venne spostata al 10 aprile, ma, come sappiamo, il sovrano asburgico abbandonò il Regno il 5 aprile, ben prima della data limite imposta dai due Paesi. Queste continue trattative tra i due alleati, così come la mancata partecipazione della Romania a un’eventuale azione militare, erano dovute ai costanti contatti che Belgrado e Bucarest intrattenevano con Roma e all’ambigua posizione italiana rispetto alla questione asburgica: da un lato, infatti, il governo italiano cavalcava l’onda antiasburgica e, pur senza voler entrare direttamente in un eventuale conflitto, spingeva gli altri Paesi danubiani a prendere l’iniziativa, temendo che un eventuale ritorno di Carlo IV, soprattutto se patrocinato dalla Francia, potesse mettere a rischio le pretese imperialiste nella regione; dall’altro, invece, sosteneva segretamente le ambizioni dell’arciduca Alberto, al quale si pensava di dare in moglie la figlia di Vittorio Emanuele III (Magda, 1985). 

L’Italia, in realtà, non era l’unica delle Grandi Potenze ad avere una posizione ambigua durante le giornate di marzo-aprile 1921. Nel Regno Unito, per esempio, nonostante la forte opposizione del Governo di Sua Maestà, timoroso che tanto il ritorno di Carlo IV quanto l’ultimatum jugoslavo-cecoslovacco potessero mettere a repentaglio la pace in Europa centrale, era la Camera dei Lord a esprimere sentimenti filo-asburgici. In Francia, invece, oltre alle pressioni degli ambienti legittimisti cui abbiamo accennato precedentemente, era lo stesso Governo Briand ad avere una posizione poco chiara. Diversi settori politici francesi vedevano positivamente il ritorno degli Asburgo nel contesto della creazione di una Confederazione Danubiana che estendesse l’influenza dell’alleata Parigi nella regione e contenesse tanto la Germania quanto la Russia bolscevica. Non a caso, durante il suo colloquio con Horthy, Carlo IV affermò di godere dell’appoggio di Briand e, forse sempre non a caso, il Primo Ministro francese negò l’affermazione del sovrano solo il 30 marzo, probabilmente in seguito all’intervento del Presidente Poincaré e degli Alleati, nonostante l’ambasciatore a Budapest avesse chiesto indicazioni urgenti il 27 marzo, in seguito al proprio incontro con il reggente (Magda, 1985 e Hohwald, 2008).

Vittorio Emanuele III
Vittorio Emanuele III, re d’Italia (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Nonostante la posizione ufficiale delle Grandi Potenze fosse, come abbiamo visto, di totale opposizione alla restaurazione asburgica, ogni Paese aveva al suo interno forti componenti legittimiste che avrebbero potuto portare a un cambio di rotta. Questa costante ambiguità, inoltre, rischiava di mettere a repentaglio la collaborazione con i tre Paesi che stavano dando vita alla Piccola Intesa.

La situazione sarebbe tornata tesa durante la seconda crisi reale ungherese. Appresa la notizia del nuovo rientro di Carlo IV in Ungheria, gli ambasciatori di Regno Unito, Francia e Italia fecero visita all’ammiraglio Horthy, il quale provò a rassicurarli ricordando loro come la posizione del governo magiaro non fosse cambiata e affermando che Budapest avrebbe inviato truppe a fronteggiare il re per fermarne la marcia verso la capitale. Contemporaneamente, i rappresentanti della Piccola Intesa si presentarono a colloquio con il Primo Ministro Bethlen, affermando che la presenza del sovrano in territorio ungherese rappresentava, a loro avviso, un casus belli. Fu nuovamente la Cecoslovacchia a esprimere le posizioni più radicali attraverso le istruzioni inviate da Beneš al proprio rappresentante a Budapest. Questi si sarebbe dovuto coordinare con i colleghi jugoslavi e rumeni, tenendo bene a mente che Praga sarebbe stata disponibile, anche in assenza di un intervento diretto delle Grandi Potenze, a utilizzare mezzi estremi per risolvere definitivamente il “problema Asburgo” (Magda, 1985).

Il 23 ottobre, quindi, la Cecoslovacchia avvisò gli alleati della Piccola Intesa che il colpo di Carlo IV rappresentava un casus foederis e annunciò la mobilitazione iniziale di quattro divisioni, affermando inoltre che una risoluzione della crisi a favore del sovrano asburgico avrebbe portato a un intervento militare diretto, mentre una eventuale resistenza del governo ungherese avrebbe comportato un ultimatum di 24/48 ore secondo i seguenti termini: privazione di tutti gli Asburgo dei loro diritti al trono, disarmo del Regno d’Ungheria, applicazione totale e immediata del Trattato del Trianon e indennizzo delle spese sostenute dalla Piccola Intesa per la mobilitazione. Le posizioni di Praga incontrarono l’appoggio parziale di Belgrado e una resistenza più attiva da parte di Bucarest, il cui monarca, come sappiamo, era personalmente obbligato verso Carlo IV. Entrambi i Paesi, in particolare, non vedevano di buon occhio la totale applicazione dei termini del Trattato del Trianon e l’eventuale azione militare non appoggiata dalle Grandi Potenze (Magda, 1985).

Con una situazione che si aggravava sempre più e rischiava di riportare la guerra nel cuore dell’Europa, la Conferenza degli Ambasciatori, come precedentemente riportato, elaborò un memorandum da inviare al governo ungherese, chiedendo la completa detronizzazione della Casa d’Asburgo, approvata dal Parlamento magiaro il 6 novembre 1921. Con questo atto amministrativo terminava per sempre il regno degli Asburgo e si apriva quel lungo periodo, nella Storia ungherese, noto come “Regno senza re”.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

Bondarenko D., The Downfall of the Russian and Austro-Hungarian Empires and the Monarchist Counter-Revolution, Quaestio Rossica, Vol. 8, N. 3, 2020; Hohwald C., La diplomatie française face à la crise royale en Hongrie (1921), Revue historique des armées, N.251, 2008; Kerepeszki R., Some Candidates for the Vacant Throne of Interwar Hungary: International Approaches to Finding a Resolution, Royal Studies Journal (RSJ), 9, no. 2, 2022; Magda Á, Les deux coups d’Etat de l’ex-roi Charles et la Petite Entente, Acta Historica. Revue de l’Académie des Scienses de Hongrie, Tome 31, N. 1-2, Akadémiai Kiadó, Budapest, 1985; Magyarics T., Balancing in Central Europe: Great Britain and Hungary in the 1920s, in Great Power Policies Towards Central Europe 1914–1945, E-International Relations Publishing, 2019; Romsics I., Hungary’s Place in German South-East European Policy, 1919-1944, in Great Power Policies Towards Central Europe 1914–1945, E-International Relations Publishing, 2019; Zeidler M., Charles IV’s attempted returns to the Hungarian throne, https://www.austriaca.at/0xc1aa5576%200x00178c1f.pdf.

Immagine di copertina: Carlo I d’Austria al suo arrivo in Ungheria con la moglie Zita (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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