I ROMANI E IL COMMERCIO CON L’INDIA

di William Puppinato

1. I “confini” di Roma

Quando si pensa ai confini dell’Impero Romano, ci si immagina il limes, i grandi fiumi e i deserti che hanno per secoli preservato, in maniera più o meno efficace, i domini di Roma, e le legioni che fanno a pugni con i barbari, i Persiani e tutti i nemici alle frontiere. Questo è un ottimo modo di intendere il termine “confine”, ed è assolutamente corretto. Ma questa visione può certamente essere allargata. A quelle che sono le frontiere militari, raggiunte e difese dalle legioni, che mi piacerebbe definire “confini della spada”, credo si possano affiancare, infatti, almeno altri due tipi di confine. Il primo di questi è quello della diplomazia: la rete di stati clienti e alleati di Roma, che ha accompagnato l’Urbe per tutta la sua esistenza, si estendeva ben oltre il limes, e raggiungeva territori anche lontani dal baricentro romano. In questi territori Roma riusciva a mantenere una posizione privilegiata, esercitando la sua influenza e orientando di volta in volta la politica interna, estera ed economica dell’alleato. In cambio, offriva la propria protezione e si impegnava a difenderli dai nemici, arrivando in qualche caso a lunghi conflitti. Da questo tipo di strategia derivano quelli che definirei “confini dell’influenza”. Ma è con il terzo tipo di “confine”, quello commerciale, che i romani riuscirono ad andare più lontano, arrivando là dove non poterono né le armi né la politica. Grazie agli scambi commerciali, infatti, il nome di Roma raggiunse i luoghi più lontani del mondo conosciuto, e in qualche caso fu possibile stabilire delle relazioni diplomatiche altrimenti irrealizzabili, nonché avere a disposizione informazioni etnico – geografiche altrimenti irreperibili. I limiti raggiunti dai mercanti romani tramite i loro scambi rappresentano, dunque, quelli che definirei “confini della moneta”.

2.  Il ‘’Periplo del mar eritreo’’

Tra le diverse vie commerciali che potevano essere percorse all’interno di questi particolari “confini”, quelle che permettevano di procurarsi beni di lusso erano le più remunerative.  La via dell’ambra, che portava tale prodotto dalle regioni baltiche al mar Adriatico, e i diversi percorsi della via della seta, che mettevano in collegamento due dei grandi imperi dell’antichità, quello romano e quello cinese, sono forse i due casi più illustri (Todd, Eichel, 1976; Galli, 2017). Accanto ad essi, meritano particolare attenzione le rotte commerciali che attraversavano l’Oceano Indiano. Penisola arabica, Africa Orientale, India: queste regioni erano divenute accessibili in seguito alla conquista dell’Egitto targata Ottaviano, e dimostrarono ben presto di poter essere una fonte di guadagno molto interessante. Ma come erano strutturate queste rotte? Quali erano le tappe, e quali i prodotti scambiati?

Per poter rispondere a queste domande, possiamo avvalerci di diverse fonti, alcune letterarie (come le opere di Plinio il Vecchio e Strabone), altre documentarie (è il caso di diversi papiri) o ancora archeologiche. All’interno del primo gruppo rientra un’opera davvero sui generis, il Periplo del mare Eritreo (citato come PME). Si tratta di un testo che descrive i luoghi coinvolti negli scambi commerciali tra Arabia, Africa e India, aree bagnate da quello che, in antichità, era appunto detto mare Eritreo. Tuttavia, rispetto ad altri peripli si differenzia per alcune caratteristiche peculiari, la più importante delle quali è la presenza di una grande varietà di informazioni. L’autore non si limita ad una descrizione meramente geografica, ma aggiunge notizie di carattere politico, antropologico e, soprattutto, economico: per ogni porto incontrato vengono descritti i beni commerciabili in esso, sia importati che esportati, i momenti migliori per navigare lungo una data rotta e quelli adatti per salpare (Casson, 1989), e tutte quelle informazioni che possono rivelarsi utili in ambito commerciale. Quest’opera ha, dunque, le caratteristiche di una guida, scritta per coloro che avessero intenzione di avventurarsi nelle acque del mare Eritreo e affrontare i rischi della navigazione. In palio, d’altronde, c’era la possibilità di ottenere quei beni di lusso, come spezie, incensi, erbe mediche e avorio (Young, 2001) che erano in grado di fruttare molto a coloro che avessero osato, ripagando ampiamente tutti i rischi corsi.

Come purtroppo spesso accade per i documenti antichi, non sappiamo con certezza chi abbia scritto il Periplo e quando, dal momento che l’opera ci è stata tramandata anonima e non sono presenti riferimenti temporali precisi. Tuttavia, alcuni indizi disseminati nel testo ci permettono di sapere qualcosa di più sull’identità dell’autore. Il nostro uomo era, probabilmente (il condizionale resta d’obbligo) un esperto mercante di origine egiziana che, dopo aver navigato per molto tempo lungo quelle rotte, decise di mettere per iscritto le sue conoscenze (Casson, 1989). Visto il tipo e la precisione delle sue informazioni, possiamo ragionevolmente supporre che nelle sue intenzioni l’opera sarebbe stata destinata ad altri mercanti, che avrebbero così appreso le conoscenze che servivano loro per svolgere le attività commerciali al meglio, e non a marinai come accadeva per i peripli tradizionali. Sulla datazione, invece, le cose si fanno più complicate, dal momento che la critica è molto divisa a riguardo: di volta in volta, il periplo è stato collocato a cavallo tra il I secolo d.C. e la seconda metà del III d.C. (Casson, 1989). Basandoci sul contesto descritto dall’autore e sui sovrani da lui nominati (a titolo di esempio, viene citato un Malichus, re di Nabatea (PME 19:6:29), il cui nome compare nelle liste dei re nabatei in nostro possesso) (Bowersock, 1971) e confrontando con altre fonti a nostra disposizione, l’ipotesi che sembra più plausibile è quella che colloca l’opera tra il 40 d.C. e il 70 d.C.

Raffigurazione del Periplo del Mar Eritreo (fonte: Wikipedia)

3. Il mondo del Periplo

Due sono le rotte commerciali presenti nel periplo: la prima è diretta in Africa, e segue le coste del continente fino all’odierna Tanzania, mentre la seconda prosegue verso est, costeggia gli odierni Yemen e Oman in Arabia e, passando per le coste dell’Iran, arriva infine nell’India meridionale. I punti di partenza (e di arrivo, come i vedrà) di entrambe erano i porti egiziani che si affacciavano sul mar Rosso, Myos Hormos e Berenike (PME 1:1.1). Il primo, da identificare molto probabilmente con Quesir al-Qadim (Whitcomb, 1996; Peacock, 1993), era forse attivo ancora prima dei Tolomei (De Romanis, 1996) ed è l’unico nominato da Strabone (Geografia, XVII, 1, 45), il quale ci informa anche di come, al suo tempo, più di 120 navi salpassero da lì alla volta dell’Oriente, contro le 20 del passato (Geografia, II, 5, 12). In seguito, tuttavia, sembra che Berenike abbia strappato a Myos Hormos il ruolo di porto principale, considerato quello che dice Plinio circa mezzo secolo dopo (Naturalis Historia, VI, 26, 103); l’aumento di importanza della città è dimostrato anche dal fatto che le distanze date all’interno del periplo hanno come punto di riferimento in Egitto la stessa Berenike, e non Myos Hormos (PME 18:6.21-22; 19:6:26; 21:7-19-20). 

Delle due rotte del periplo, quella che costeggia l’Africa occupa lo spazio minore, e per questo potrebbe dar l’impressione di essere un percorso secondario. Tuttavia, non bisogna sottovalutare la sua importanza all’interno del mare Eritreo, poiché dai porti dell’Africa Orientale era possibile acquistare beni di lusso, pur di minore qualità, senza dover intraprendere viaggi oceanici verso l’India. Ciò favoriva chi aveva a disposizione solo imbarcazioni di piccole o medie dimensioni. La rotta prevedeva di costeggiare il continente dai porti egiziani sul mar Rosso fino al porto di Rhapta, nei pressi dell’odierna Dar es Salaam, in Tanzania e limite meridionale delle terre conosciute dal nostro autore (PME 16:6.4). Nel mezzo, i mercanti si trovavano davanti principalmente a piccoli centri guidati da capi locali, soprattutto lungo le coste della Somalia (tradizionalmente identificate come il leggendario paese di Punt) (Kitchen, 1971), e a popolazioni primitive, collocate nell’odierno Sudan e organizzate in tribù: gli Ittiofagi (“Mangiatori di pesci”), gli Agriofagi (“Mangiatori di animali selvatici”) e i Moschofagi (“Mangiatori di bovini”) (Shneider, 2004). L’unica eccezione è costituita dai domini di Zoskales, re avido e ambizioso ma esperto nella lettura e scrittura della lingua greca (PME 5:2.20), e dalla città di Axomites (nome del periplo per Axum) (PME 4:2.8) I prodotti ottenibili si dividevano in due categorie: quelli di origine animale, avorio e gusci di tartaruga in primis, e un buon numero di spezie e aromi, come cassia, incenso e mirra. In cambio, venivano scambiati (o, più raramente, acquistati) vestiti poco costosi, utensili, beni alimentari e, in generale, prodotti in grado di soddisfare perlopiù prodotti basilari dato che nella maggior parte degli scali commerciali i mercanti e i signori locali non potevano affrontare grosse spese (Casson, 1989). Può essere interessante notare che, in alcuni casi, le conoscenze del nostro autore sono diverse e migliori di quelle di geografi più illustri (Casson, 1989).

La seconda rotta descritta dal periplo comprende le coste della penisola arabica, della Persia e, infine, dell’India. L’Arabia, tuttavia, ricopriva un ruolo molto importante e non semplicemente di stazione di passaggio tra Egitto e India (Fitzpatrick, 2011). Se si esclude la città di Leuke Kome, città dei Nabatei presso il golfo di Aqaba, i territori più importanti economicamente parlando si trovavano nella parte meridionale della penisola. Qui, due aree si spartivano l’influenza commerciale della regione. La prima di queste faceva capo a Muza (PME 21:7.18-24:8-12), il principale porto del regno di Omeriti e Sabei, e si estendeva soprattutto nell’area dello stretto di Bab el-Mandeb. Qui erano disponibili diverse merci provenienti dai porti africani (PME 24:8.11), ed era possibile ottenere la mirra: essa veniva coltivata localmente ed era, assieme ai suoi derivati, la principale esportazione. Assieme ad esso, marmo bianco e la mercanzia proveniente da Adulis, porto della costa africana (PME 24:8.9-11; Casson, 1989). La seconda area commerciale era guidata da Kanê, un porto nell’Arabia sudoccidentale facente parte del regno di Eleazos, nella cosiddetta “terra dove cresce l’incenso”. Esso doveva la sua fortuna a due fattori: una posizione centrale, che permetteva scambi tanto con l’Occidente quanto con l’Oriente (PME 27:9.11-12), e la produzione ed immagazzinamento dell’incenso, il principale bene qui commerciato, tanto coltivato localmente quanto importato dalla Somalia. Kanê esercitava una sorta di monopolio su questo bene: tutto l’incenso prodotto nella regione o ottenuto mediante il commercio veniva qui convogliato, e ciò lo rendeva una delle principali fonti del mondo antico (Sealamd, 2014). Un ulteriore rilevante centro commerciale era l’isola Dioscurides, l’odierna Socotra. Essa era parte del regno di Eleazos, ma la sua popolazione era composta da Arabi e Indiani, assieme ad un numero ridotto di Greci (PME 30:10.9). I rapporti commerciali con l’India erano frequenti, poiché qui veniva portato grano, riso e schiave in cambio di diversi tipi di gusci di tartaruga, la principale esportazione dell’isola (PME 31:10.21-25). 

Dopo Africa e Arabia, il periplo descrive la rotta per l’India, che prosegue dai porti della penisola arabica. Sembrerebbe essere proprio quella il vero obiettivo dei mercanti a cui è indirizzata l’opera, vista l’ampiezza che le viene riservata nel testo (ben 25 paragrafi, contro i 17 dell’Africa e i 18 dell’Arabia 18) e considerato il valore delle merci che potevano essere acquistate. Grazie a Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, VI, 16, 101), infatti, sappiamo che, tramite navi di grande tonnellaggio (le me<gi>sta ploia citate nel periplo) (PME 56:18.16, De Romanis, 1996) i commercianti acquistavano una grande quantità di prodotti a basso prezzo (le navi che salpavano da lì viaggiavano con le stive completamente cariche di mercanzia) (PME 56:18.16-17) per poi rivenderli ad un costo maggiorato, realizzando così guadagni considerevoli (De Romanis, 1997). Gli scambi commerciali erano sviluppati al punto che nella città di Muziris, situata nella parte sudoccidentale della penisola, molto probabilmente risiedeva una colonia di mercanti occidentali (Casson, 1989), conosciuti come Yavanar in lingua Tamil (De Romanis, 1997). L’importanza della città era, d’altronde, ben nota alle fonti, al punto che viene nominata anche nella Tabula Peutingeriana, copia medievale di una mappa di epoca romana raffigurante l’intero ecumene, al di sotto di un templ(um) Augusti (Sidebotham, 2011). Il nostro autore ci fornisce, poi, nomi di regni e popoli per tutta la parte occidentale della penisola indiana. Alcuni sono identificabili (Torri, 2007), e per altri sappiamo che avevano inviato delle ambascerie a Roma (è il caso, ad esempio, del regno di Pandya (PME 54:18.5-6), sulla punta meridionale della penisola, che ne aveva diretta una all’imperatore Augusto) (Strabone, Geografia, XV, 1, 4; Res Gestae, XXXI, 50-51). L’area nordoccidentale, nella zona del fiume Indo, ospitava il regno Indo-Parto, sulle cui coste si trovava l’importante porto di Barbarikon (PME 38:13.2-3). A sud del regno Indo-Parto si trovava, invece, il regno dei Saka, e sulle sue coste Barygaza (odierna Broach) (Casson, 1989), uno dei più importanti porti dell’India. Le due aree si differenziavano per importazioni ed esportazioni, ma un elemento comune era costituito dal pepe, il principale prodotto importato dall’India. Accanto ad esso, perle, pietre preziose come i diamanti, corallo, avorio, essenze, altre spezie come la cassia, tutti prodotti in grado di soddisfare le necessità di luxus delle élites della società romana (Young, 2001). Oltre ad essi si aggiungeva la seta, che lì giungeva direttamente dalla Cina (PME 56:18.24). Le spedizioni dei mercanti proseguivano, infine, in Egitto, nei porti da cui essi erano partiti. Ma non era sulle coste del Mar Rosso che il loro viaggio terminava: dopo aver pagato una prima serie di imposte (una appena attraccati calcolata sul valore delle merci, un’altra necessaria per poter transitare lungo le piste carovaniere) (De Romanis, 1998; Young, 2001; Sidebotham, 1986; Nappo, 2016), essi intraprendevano un nuovo viaggio, via terra, verso il Nilo, sfruttando piste carovaniere. La meta era Coptos, centro in cui confluivano le merci, in cui venivano conservate e tassate (Casson, 1990). Da qui, mediante barche, risalivano il Nilo ed arrivavano ad Alessandria, dove si pagava la tetarte, una tassa del 25% su tutte le importazioni (Young, 2001; Foraboschi, Gara, 1989). Il commercio era estremamente redditizio per lo stato romano, in quanto poteva guadagnare molto dai dazi doganali e dalle tasse sulle merci) (Sidebotham, 1986; Sidebotham, 2011). Infine, le merci potevano finalmente essere imbarcate per Roma e le grandi città del Mediterraneo, pronte a soddisfare le richieste di luxus dell’alta società.

La città di Muziris, particolare della Tabula Peutingeriana (fonte: Wikipedia)

4. I limiti del mondo

Il fatto che perfino la Cina venga nominata nel periplo non deve stupire. I Romani non conoscevano con precisione la regione: il nome che davano ai Cinesi, Seres, derivava direttamente dal nome comune sericum, che indicava la seta, e l’aggettivo serica indicava tanto gli ornamenti di seta quanto qualcosa che provenisse dalla terra dei Seres (Galli, 2017). Eppure, erano ben consci della sua esistenza e del ruolo che ricopriva. Anche gli storici cinesi, d’altra parte, erano pienamente consapevoli dellesistenza di rotte commerciali che li collegavano a Ta-Ch’in (l’Impero Romano), Anhsi (il regno di Partia) e T’ien-chu (India) (Galli, 2017). Ed è stato proprio grazie al commercio che questi due mondi così distanti hanno avuto modo di incontrarsi, laddove né le armi, né la diplomazia avevano avuto grandi possibilità, estendendo a tutto il mondo allora conosciuto i ‘’confini della moneta’’ di Roma, lambiti dai mari della Cina, dell’India e dell’Africa Orientale. Insomma, i Romani andarono davvero molto più lontano delle loro legioni.

William Puppinato

William Puppinato è uno studioso di storia antica. I suoi interessi si concentrano principalmente sul tardo antico romano, periodo in cui si sta specializzando, e sulla tarda repubblica romana, ma non mancano fugaci immersioni nella storia greca e preromana, oltre che nella storia medioevale. 

Bibliografia

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Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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