L’OCCUPAZIONE ITALIANA DI LUBIANA (1941 – 1943)

di Federico Sesia

  1. Introduzione: le prime fasi dell’occupazione

La Jugoslavia venne travolta dalla Seconda guerra mondiale nella primavera del 1941. L’abbandono del Patto tripartito, deciso da un giovane re Pietro II Karađorđević, provocò l’attacco tedesco, italiano, ungherese e bulgaro che in poche settimane condusse all’occupazione del paese da parte dell’Asse. Nella spartizione che seguì l’Italia si vide assegnata una striscia di terra che va da Lubiana al Kosovo, amministrata con modalità diverse a seconda del contesto: in alcuni casi vi fu un’occupazione militare (l’entroterra dalmata), in altri l’instaurazione di Stati clienti (il Montenegro), e in altri ancora l’annessione al Regno. È questo il caso dell’area circostante alla capitale slovena, il cui inglobamento venne deciso da apposito Regio decreto (Caccamo Monzali, 2008 e Gobetti, 2013 e Tomasevich, 2001).

L’annessione di Lubiana era dettata da ragioni puramente geopolitiche, essendo nata per porre un argine all’ingombrante presenza tedesca in territori ex asburgici, ritenuta potenzialmente pericolosa in futuro. L’assenza di rivendicazioni inerenti al territorio e di una comunità italiana residente portò alla concessione di una relativa autonomia, che però rimase in massima parte solo sulla carta. A guidare la Provincia venne incaricato Emilio Grazioli, esponente del fascismo triestino nominato alto commissario a Lubiana, che riconfermò gran parte degli impiegati pubblici jugoslavi nei loro incarichi, mantenne il bilinguismo amministrativo e non varò le politiche di italianizzazione che avevano afflitto gli sloveni della Venezia Giulia. Venne creata una Consulta provinciale composta da 14 membri provenienti dalle fila del notabilato locale, che pur avendo teoricamente funzioni di governo di fatto svolse un incarico puramente simbolico (Cuzzi, 1998 e Ferenc, 1994).

L’Alto Commissario Emilio Grazioli (fonte: Wikipedia)

In questa prima fase l’occupazione italiana è stata meno gravosa rispetto a quella tedesca, come dimostra l’indesiderato e problematico afflusso di circa 20.000 sloveni dall’area gestita dal Terzo Reich, numero che andava ben oltre le capacità gestionali della Provincia. Altro aspetto importante è stato il sorgere del collaborazionismo, dettato dall’opinione che Roma fosse un male minore rispetto a Berlino e dal condiviso anticomunismo. Particolarmente attivi nella cooperazione furono alcuni settori del mondo cattolico e di quello liberale, pur mantenendo spesso ampi margini di ambiguità e doppiogiochismo: la speranza di molti era una liberazione guidata dagli Alleati occidentali, e la collaborazione con gli italiani era solo un espediente temporaneo volto a limitare le azioni dei comunisti. Importante fu il sostegno offerto al nuovo corso da parte del vescovo di Lubiana Gregorij Rožman nonché dell’ex bano (governatore) Marko Natlačen, il quale però avrebbe abbandonato la Consulta poco dopo per dei contrasti con gli italiani. Ad ogni modo, gli occupanti inquadrarono gli sloveni disposti a collaborare nella Milizia Volontaria Anti Comunista (MVAC), guidata dal generale Leon Rupnik. Il collaborazionismo sloveno, pur con tutte le sue sfaccettature, è classificabile sotto l’etichetta di belogardismo (guardia bianca), fenomeno che indica genericamente un conservatorismo clericale piuttosto sentito nel mondo rurale sloveno (Cuzzi, 1998 e Čepič Guštin Troha, 2012 e Kranjc, 2013).

La provincia di Lubiana durante l’occupazione italiana tra il 1941 e il 1943 (fonte: Wikimedia)
  1. Resistenza e repressione

La relativa mitezza delle prime fasi di occupazione non deve però far dimenticare come lo scopo delle nuove autorità fosse quello di inglobare e italianizzare nel lungo periodo la neonata Provincia, pur preferendo la tattica della carota rispetto al bastone impiegato nella Slovenia occupata dai tedeschi. E, soprattutto, che non appena crebbe la disaffezione e si verificarono i primi episodi resistenziali il sangue iniziò a scorrere a Lubiana.

Dopo una primavera tranquilla, nell’estate del 1941 iniziarono le prime attività della resistenza con la ribalta dell’Osvobodilna Fronta slovenskega naroda (Fronte di liberazione del popolo sloveno, OF), inizialmente rappresentativo di tutte le anime dell’antifascismo sloveno (comunisti, liberali e cristiano-sociali) ma in seguito egemonizzato dai comunisti di Jozip Broz “Tito”. Fondato proprio a Lubiana nell’aprile del 1941, l’OF prevedeva nel suo programma iniziale la liberazione delle terre slovene dall’occupante (includendo anche quelle sotto controllo italiano e tedesco da prima del 1941), il mantenimento dell’unità jugoslava e l’adesione alla democrazia. Nel 1943 il teorico pluralismo politico delle origini divenne solo un ricordo, dato che con la Dichiarazione delle Dolomiti il Partito comunista sloveno assunse di fatto il ruolo di partito unico nell’organizzazione. Tra gli esponenti più emblematici dell’OF si distinsero il comunista Edvard Kardelj e il poeta cristiano-sociale Edvard Kocbek. Le sue prime azioni riguardarono attacchi contro le forze di occupazione e omicidi mirati di esponenti di spicco del collaborazionismo, come quello di Marko Natlačen nel 1942.

Proclama di Grazioli che vieta l’uscita da Lubiana (fonte: Wikipedia)

L’intensificarsi della guerriglia e l’incapacità delle autorità civili di farvi fronte provocò anche a Lubiana il contrasto tra civili e militari conclusosi in favore di quest’ultimi. Nell’ottobre del 1941 venne esteso lo stato di guerra a tutta la Provincia e le facoltà di Grazioli limitate al solo capoluogo. A gestire la situazione fu il comandante dell’XI corpo d’armata, il generale Mario Robotti, che nell’estate del 1942 mise in atto il “Ciclo operativo primavera”, una massiccia offensiva volta a epurare la Provincia dai partigiani entro il mese di settembre. Nel corso delle operazioni le truppe italiane attuarono una dura repressione a danno dei civili laddove ritenuti conniventi coi partigiani, che includeva fucilazioni, distruzioni di centri abitati e deportazione. Tra il febbraio e il dicembre del 1942 Lubiana venne circondata da una recinzione di filo spinato al fine di isolare i vertici dell’OF dai militanti che operavano nelle campagne. Terminato a novembre, il Ciclo operativo primavera ebbe risultati ambivalenti, dato che se da un lato inflisse severe perdite all’OF rendendolo incapace per qualche tempo di riprendere la guerriglia dall’altro non riuscì a disarticolarlo definitivamente. Gravi furono i danni subiti dalla Provincia nel corso delle operazioni, al punto di non riuscire a risollevarsi fino al termine del conflitto (Ferenc, 1999 e Ferenc 2000 e Osti Guerrazzi, 2011).

  1. Una Provincia allo sbando

Nel 1943 si poteva tracciare un bilancio di tre anni di occupazione italiana a Lubiana. Economicamente parlando la Provincia versava in una condizione di indigenza dettata dalle vicende belliche. La società slovena non versava in condizioni migliori, dato che era sprofondata in una guerra civile tra bianchi e rossi generata ed esacerbata dalle politiche dell’occupante, occupante che era visto quantomeno con disprezzo da entrambe le fazioni. Al di là dell’inevitabile odio dei partigiani, anche i belogardisti nutrivano ormai sentimenti analoghi a causa della preventivata resa italiana che avrebbe esposto la Provincia all’occupazione tedesca e loro alla rappresaglia dell’OF. Per quanto riguarda le stime della repressione, su una popolazione di 340.000 abitanti le vittime civili furono circa 3.000: 1.500 fucilati per ritorsione e 1.400 morti in seguito alla deportazione. Su quest’ultima pratica si ricordi che circa il 7% degli abitanti della Provincia è stato deportato dagli italiani. Tristemente noto a riguardo fu il campo di concentramento di Arbe, situato al largo della costa dalmata, in cui venivano stipati i civili provenienti dalla Provincia. Pur non trattandosi di un campo di sterminio la mortalità fu piuttosto alta per le malattie, i maltrattamenti, la denutrizione e la grave condizione di sovrappopolamento.

Partigiani sloveni (fonte: Wikipedia)

Nell’estate del 1943 l’OF riprese la guerriglia, mentre Grazioli veniva sostituito da Giuseppe Lombrassa. Con la defenestrazione di Mussolini nel luglio del 1943 Lubiana venne gestita interamente dalle forze armate, che esautorarono l’alto commissario. La Provincia venne occupata quindi dai tedeschi, che la integrarono nella Zona di operazioni del Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland) nominando Rupnik podestà di Lubiana. L’amministrazione tedesca tentò di suscitare le simpatie della popolazione slovena facendo leva sul nostalgismo austro-ungarico, senza ottenere troppi risultati. A schierarsi nuovamente con l’occupante fu parte dei belogardisti, inquadrati dai tedeschi nella Slovensko Domobranstvo (Guardia territoriale slovena). I contingenti italiani si sciolsero: alcuni si diedero alla macchia, altri furono catturati mentre altri ancora decisero di unirsi ai partigiani. Per la liberazione della Slovenia si dovette attendere il maggio del 1945, quando le truppe di Tito sfondarono le ultime linee di difesa tedesche entrando nella capitale.

Federico Sesia – Scacchiere Storico

Federico Sesia è laureato in Scienze Storiche con indirizzo contemporaneo. Si occupa soprattutto di storia della Spagna e dell’America Latina, oltre che della ex Jugoslavia e di storia militare. È docente alla scuola secondaria di secondo grado.

Bibliografia

Caccamo F., Monzali L. (a cura di), L’occupazione italiana della Jugoslavia (1941 – 1943), Le Lettere, 2008; Cattaruzza M., L’Italia e il confine orientale 1866 – 2006, Il Mulino, 2007; Čepič Z., Guštin D., Troha N., La Slovenia durante la Seconda guerra mondiale, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 2012; Cuzzi M., L’occupazione italiana della Slovenia (1941 – 1943), Stato Maggiore dell’Esercito. Ufficio Storico, 1998; Ferenc T., La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941 – 1942, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, 1994; Ferenc T., Si ammazza troppo poco: condannati a morte, ostaggi, passati per le armi nella provincia di Lubiana, 1941-1943: documenti, Istituto per la storia moderna, 1999; Ferenc T., Rab-Arbe-Arbissima. Confinamenti-Rastrellamenti-Internamenti nella provincia di Lubiana 1941-1943. Documenti, Inštitut za novejšo zgodovino – Društvo piscev zgodovine NOB, 2000; Gobetti E., Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, 2013; Osti Guerrazzi A., L’Esercito italiano in Slovenia 1941 – 1943. Strategie di repressione antipartigiana, Viella, 2011; Kranjc G. J., To Walk with the Devil. Slovene Collaboration and Axis Occupation, 1941-1945, University of Toronto Press, 2013; Tomasevich J., War and Revolution in Yugosavia, 1941-1945. Occupation and Collaboration, Stanford University Press, 2001.

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Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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