LUCIO VERO E LA DIARCHIA

Busto di Lucio Vero

di Michele Gatto

La dinastia degli Antonini viene considerata l’apice della storia dell’impero. In questa fase, lo Stato fu amministrato da principi spesso definiti “buoni”, a sottolinearne la positività dell’operato. Nonostante tutto, quella che può sembrare un’epoca di relativa tranquillità e di prosperità, vide l’emergere di problemi che successivamente si sarebbero dimostrati piuttosto gravi e difficili da gestire: i primi a doversene occupare furono Marco Aurelio e Lucio Vero. Questi due fratelli per adozione diedero vita per la prima volta ad una vera e propria diarchia, sebbene Lucio Vero sia sempre rimasto in ombra rispetto al suo collega. Personalità di difficile lettura, Lucio appare però un personaggio piuttosto sottovalutato, principalmente a causa del giudizio che ne hanno lasciato alcune fonti.

1. L’adozione e la successione

Verso la fine del suo principato, Adriano cominciò a pensare allo spinoso problema della successione. Non avendo avuto figli dalla moglie Sabina, decise di continuare lungo il solco del sistema di adozione, che era stato tracciato in precedenza da Nerva e Traiano: infatti, nel 136 d.C. scelse come suo successore Ceionio Commodo, il quale una volta adottato prese il nome di Elio Vero Cesare, rivestendo il consolato per la seconda volta l’anno successivo insieme alla tribunicia potestas, ed ottenendo il governo della Pannonia Superiore (Fraschetti, 2008; Carandini, 2020). La scelta fu dovuta probabilmente all’appartenenza dell’erede designato alla potente famiglia senatoria dei Ceionî (alleata dei Vettuleni, degli Avidî e dei Plautî), più che alla sua bellezza, come invece sosterrebbe l’Historia Augusta (Adriano, 23, 10); inoltre, tra i motivi non si può escludere il suo cattivo stato di salute, essendo egli forse affetto da tubercolosi: questo porterebbe a pensare che per Adriano rappresentasse solamente una soluzione di transizione, prima di lasciare il potere a qualcuno più adatto (Cassio Dione, LXIX, 17, 1; Fraschetti, 2008; Carandini, 2020). Alla fine del 137, Ceionio tornò a Roma per pronunciare il discorso di ringraziamento in Senato e forse per l’aggravarsi delle condizioni del malridotto imperatore, ma morì nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio 138, a causa, pare, di un peggioramento improvviso della propria malattia, nonostante i tentativi di cure (Historia Augusta, Adriano, 23, 15-16; Fündling, 2007; Carandini, 2020). 

Rilievo di Efeso
Rilievo del monumento partico di Efeso raffigurante la successione stabilita da Adriano: accanto a quest’ultimo, appaiono Antonino Pio, un giovane Marco Aurelio e Lucio Vero infante. Calco conservato presso il Museo Archeologico di Efeso (fonte: autore, Carole Raddato; licenza, CC BY-SA 2.0)

Adriano fu così costretto a scegliere un nuovo successore prima del previsto, adottando il 25 febbraio del 138 Tito Aurelio Fulvo, che in seguito acquisì il nome di Antonino, appartenente ad una nobile e ricca famiglia senatoria, seppur non particolarmente antica. La sua adozione era però caratterizzata da un vincolo: Antonino avrebbe infatti dovuto adottare a propria volta Marco Annio Vero (il futuro Marco Aurelio) e il figlio omonimo del defunto Ceionio Commodo (cioè Lucio Vero); inoltre, l’imperatore aveva predisposto un matrimonio tra Lucio Vero e Faustina Minore, figlia di Antonino, ed un altro tra Marco Aurelio e Ceionia Fabia. In questo modo, probabilmente Adriano pensava di aver risolto non solo il problema della sua successione, ma anche di quella del proprio erede diretto: nel caso fosse morto prematuramente uno dei successori designati, ci sarebbe stato comunque sempre l’altro; allo stesso modo, seppur Marco Aurelio godeva di una preminenza dovuta all’età, Lucio Vero aumentava il proprio peso dinastico attraverso il matrimonio con la figlia del padre adottivo; infine, poteva realizzarsi una collaborazione tra Annî e Ceionî, famiglie senatorie rivali (Fraschetti, 2008; Carandini, 2020; Fündling, 2007; Barnes, 1967). Dopo la morte di Adriano, Antonino però decise di non rispettarne le disposizioni matrimoniali, incaricando la moglie Faustina Maggiore di proporre a Marco Aurelio lo scioglimento del suo fidanzamento, ottenendo in cambio la mano di Faustina Minore, promessa a Lucio Vero. Dopo aver accettato, Marco non solo ottenne la piena fiducia di Antonino e la sua predilezione, ma a soli diciotto anni anche il titolo di Cesare nel 139 ed il consolato per l’anno successivo, oltre all’ingresso nei vari collegi sacerdotali. In questo senso, emerge come alla costante crescita di prestigio di Marco Aurelio, si contrapponesse la relegazione in secondo piano di Lucio Vero, semplice membro della famiglia imperiale (Historia Augusta, Marco Aurelio, 6, 2-3; Fündling, 2007; Fraschetti, 2008).

Nato il 15 dicembre del 130, Lucio Vero ricevette la stessa educazione di Marco Aurelio: ebbe come precettori il liberto Nicomede, il grammatico latino Scaurino, i grammatici greci Telefo, Efestio e Arpocrazione, i retori Frontone, Erode Attico, Caninio Celere e Apollonio, i filosofi Apollonio di Calcedonia e Sesto di Cheronea. Nonostante ciò, i due fratelli adottivi non seguirono mai insieme le lezioni a causa della differenza d’età, esprimendo in ogni caso capacità ed inclinazioni diverse. Se gli insegnanti consideravano Marco un allievo migliore, Lucio prediligeva l’interesse per la caccia, lo sport, gli spettacoli e la poesia, dimostrando di somigliare più al suo padre naturale che al padre adottivo Antonino, e alla filosofia preferiva la sofistica (Carandini, 2020; Fündling, 2007). Sebbene Lucio avesse cominciato precocemente ad ottenere cariche come quella di questore nel 153 a ventidue anni, organizzando giochi nel circo, ed il consolato nel 154, non poté sedere in Senato prima dell’ottenimento di una magistratura; doveva inoltre viaggiare accanto al prefetto del pretorio in un convoglio secondario al seguito dell’imperatore e alloggiare nella domus Tiberiana. La sua massima aspirazione poteva essere dunque la partecipazione occasionale al consiglio personale di Antonino, venendo onorato solamente con l’appellativo di “figlio dell’Augusto” (Historia Augusta, Vero, 3, 1-5; Fündling, 2007).

Vista la situazione, Lucio non avrebbe provato particolare affetto per il padre adottivo, nonostante lo rispettasse. In ogni caso, secondo l’Historia Augusta, Antonino avrebbe spronato Marco Aurelio ad uno stile di vita meno austero, seguendo il modello di Lucio (Vero, 3, 6-7). Le fonti letterarie, infatti, finiscono spesso per presentare i due fratelli adottivi come uno l’opposto dell’altro: Marco Aurelio, l’imperatore filosofo dotato di virtù e saggezza; Lucio Vero, l’imperatore dedito ai piaceri, incapace di governare e sostanzialmente un peso per l’impero. Molto probabilmente, questa contrapposizione è il risultato di un’operazione storiografica che ha visto alcuni autori, in particolare il senatore Mario Massimo, ispirarsi ad alcune biografie di Svetonio creando un’immagine di Lucio Vero complementare a quella di Marco Aurelio, ma “al negativo” (Fraschetti, 2008; Galli, 2014). Questa lettura è stata poi confermata dalla storiografia moderna, venendo riconsiderata solo più di recente: comunque, è possibile individuare elementi di una tradizione precedente favorevole all’imperatore, non del tutto cancellata. Se infatti nell’Historia Augusta sono riportati episodi ispirati alle biografie di Caligola o Nerone, tra cui le varie stravaganze, l’amore per il cavallo Volucer, seppellito in una tomba monumentale nei Campi Vaticani, i rapporti incestuosi con la suocera Faustina Minore, o l’allestimento di una popina (bettola) nella propria residenza (Vero, 4, 5; 5, 1-6; 6, 1-4; 10, 1), allo stesso tempo, in totale contraddizione, Lucio Vero viene presentato tra gli Antonini come personificazione della bontà, oltreché esempio di sincerità e mitezza (Historia Augusta, Diadumeniano, 7, 4-5; Severo Alessandro, 9, 1; Marco Aurelio, 8, 1). Questa visione positiva sarebbe coronata da un verso scritto dallo stesso imperatore (riportato da Draconzio nel IV secolo d.C.), nel quale invitava i suoi successori ad esercitare la bontà per poter essere equiparati agli dei (Galli, 2014).

Quando Antonino Pio morì nel 161 d.C., si realizzò il progetto dinastico di Adriano. Marco Aurelio, rispettando le precedenti disposizioni e non per benevolenza personale, comunicò al Senato di voler condividere il titolo di Augusto con Lucio Vero: dopo l’immediata approvazione da parte dei senatori, i due imperatori si recarono al campo dei pretoriani dove elargirono un donativo di 20.000 sesterzî per ciascun soldato, ottenendone l’acclamazione. Dopodiché, pronunciarono insieme il discorso funebre per Antonino ed organizzarono i giochi in sua memoria. Nonostante detenessero gli stessi poteri, escluso il pontificato massimo che era prerogativa di Marco, almeno per i primi tempi è probabile ci sia stata la necessità da parte di quest’ultimo di guidare il fratello minore, vista la propria maggiore età ed esperienza (Historia Augusta, Marco Aurelio, 7, 5-7 e 9-11; 8, 2; Vero, 2, 10; Fündling, 2007; Fraschetti, 2008). L’impero si trovava comunque in una situazione assolutamente inedita, con due principi al governo posti sullo stesso piano ma dalla personalità e dalle inclinazioni diverse, come avrebbero presto dimostrato.

2. La diarchia: Lucio Vero e il governo collegiale

Già in precedenza l’impero aveva visto alcuni principi associare al potere dei colleghi, sia con Augusto, prima affiancandosi Agrippa e poi Tiberio, sia con Vespasiano e Tito, fino ad arrivare al principato per adozione. La differenza sostanziale tra questi casi e quello di Marco Aurelio e Lucio Vero, sta nel fatto che, se nei primi l’imperatore deteneva una auctoritas superiore, pur avendo poteri formalmente uguali ai colleghi, nel secondo invece esisteva una parità praticamente assoluta, il che porta a considerarlo il primo vero esempio di diarchia imperiale (Fraschetti, 2008). Il rapporto tra Marco e Lucio nel 164 d.C. fu rafforzato inoltre dal matrimonio di quest’ultimo con Lucilla, la figlia avuta da Marco Aurelio e Faustina Minore (Historia Augusta, Vero, 2, 4). Ma per evitare tensioni nella condivisione del potere imperiale era comunque necessaria una suddivisione dei compiti: infatti, l’imperium proconsulare e quindi la prerogativa di agire attivamente nelle province, anche al comando di truppe, sarebbe stato esercitato principalmente da Lucio Vero, mentre Marco Aurelio avrebbe agito restando a Roma, occupandosi dell’amministrazione (Cassio Dione, LXXI, 1-3; Fündling, 2007).

Aureo di Lucio Vero Parti
Aureo di Lucio Vero raffigurante, al rovescio, l’imperatore a cavallo mentre travolge un soldato partico (fonte: © The Trustees of the British Museum. Shared under a CC BY-NC-SA 4.0 licence)

Ad ogni modo, l’occasione per Lucio di dimostrare le proprie capacità si presentò abbastanza in fretta: a conferma delle preoccupazioni precedentemente espresse da Antonino Pio, l’Oriente fu teatro di alcuni stravolgimenti che videro i Parti come principali protagonisti. Il re Vologese III invase l’Armenia nel 161 d.C., mettendo a serio rischio la sicurezza delle province orientali: Lucio fu così incaricato di recarsi in Siria e guidare la campagna, mentre Roma si ritrovava in una situazione non facile, dovuta ad una violenta inondazione del Tevere ed al conseguente pericolo di epidemie e mancanza di grano in città. Nella primavera successiva, dopo l’invasione partica di Armenia e Siria, Lucio Vero partì per l’Oriente affiancato dal prefetto del pretorio Furio Vittorino, venendo accompagnato fino a Capua da Marco Aurelio, come dimostrazione di sostegno. Lucio avrebbe dovuto recarsi a Brindisi percorrendo la via Appia e successivamente compiere un viaggio per mare e per terra fino ad Antiochia, quartier generale designato delle operazioni (Historia Augusta, Marco Aurelio, 8, 4; Fündling, 2007). A conferma della visione negativa espressa sull’imperatore, l’Historia Augusta riporta che egli, una volta rimasto solo, avrebbe pericolosamente rallentato il viaggio già in Italia, dandosi principalmente al vizio del bere e fermandosi a Canusium perché ammalatosi; malattia scomparsa improvvisamente quando Lucio sarebbe venuto a sapere del sopraggiungere di Marco (Vero, 6, 7; Fündling, 2007). Questo però è solo l’inizio di una narrazione della campagna partica incentrata sulla condotta poco adeguata dell’imperatore, soprattutto nella sede di Antiochia, e sul suo marginale contributo strategico: una volta arrivato nel 162 d.C., Lucio Vero, travolto dalle numerose distrazioni che una città come quella poteva offrirgli, si sarebbe dedicato principalmente a banchetti e spettacoli, passando spesso il suo tempo con una certa Pantea e tagliandosi la barba per compiacere qualcuna delle sue amanti di dubbia moralità; addirittura, viene accusato di aver provocato la morte del legato imperiale Annio Libone, il quale intendeva denunciarlo al Senato. Inoltre, nel 164, per nascondere il suo esecrabile stile di vita nella città siriana, Lucio si sarebbe recato ad Efeso allo scopo di andare incontro a Marco e alla promessa sposa Lucilla, diretti in Oriente (Historia Augusta, Vero, 4, 4; 7, 7 e 10; 9, 2; Fündling, 2007).

Esistono però altre fonti che descrivono un atteggiamento diverso da parte dell’imperatore nei confronti dei propri doveri. Nonostante sia Lucio Vero, sia Marco Aurelio fin da giovani non fossero stati educati per essere degli strateghi militari, fu il primo ad essere inviato contro i Parti, il che presuppone una sua maggiore predisposizione per la vita marziale, come afferma anche Cassio Dione (LXXI, 1-3; Fündling, 2007). Lo storico sottolinea inoltre la correttezza della strategia adottata dal princeps: infatti, dopo aver raccolto e riorganizzato numerose truppe, si sarebbe circondato dei migliori generali ed avrebbe diretto le operazioni da Antiochia, al di là forse di alcune ispezioni condotte personalmente sull’Eufrate (Cassio Dione, LXXI, 2, 2; Historia Augusta, Vero, 7, 6; Frontone, All’imperatore Vero, II, 1, 19-20; Sanchez, 2010). Il suo principale luogotenente, Avidio Cassio, era in parte originario della Siria, quindi conosceva piuttosto bene il nemico e le sue tattiche, cosa piuttosto fondamentale visti alcuni precedenti disastrosi contro i Parti. Le diverse soste effettuate da Lucio lungo il tragitto verso Oriente sarebbero inoltre dovute in parte al suo stato di salute, forse ereditato dal padre naturale, ed in parte per affermare con forza la presenza romana su un fronte vasto, che richiese l’arrivo di rinforzi dalla Germania Superiore, indebolendo però il problematico fronte sul Reno (Fraschetti, 2008; Fündling, 2007). Prima di tutto, l’imperatore si occupò dell’Armenia, dove venne inviato Stazio Prisco, il quale con due legioni prese e distrusse la capitale Artaxata, causando la fuga del sovrano filopartico Pacoro, poi sostituito su ordine di Marcio Vero dal filoromano Soemo: questo successo valse a Lucio Vero l’appellativo di Armeniacus, dopo l’acclamazione ricevuta dall’esercito, condiviso in seguito anche da Marco Aurelio (Cassio Dione, LXXI, 3; Historia Augusta, Marco Aurelio, 9, 1; Fraschetti, 2008; Yevadian, 2018). A questo punto, le operazioni si concentrarono sull’impero partico: nonostante un cambio dei generali impegnati sul fronte, la Siria fu riconquistata, mentre nel frattempo il legato Publio Marcio Vero aveva preso Edessa (dove fu insediato l’alleato Ma’nu VIII) e Nisibi, poi rasa al suolo; in ogni caso, molti dei territori occupati da Vologese III erano stati ripresi grazie all’opera diplomatica di Lucio Vero e dei suoi collaboratori. L’avanzata romana, guidata da Avidio Cassio, non si arrestò e proseguì oltre l’Eufrate, giungendo nel 165 d.C. prima a Seleucia ed in seguito a Ctesifonte: qui infatti aveva tentato di rifugiarsi il re dei Parti, vedendo però distrutto il suo palazzo, non prima di aver assistito al saccheggio subito dalle due grandi città. I Romani erano ormai entrati nella Media, oltreché in Mesopotamia, dove avevano conquistato il centro carovaniero di Dura-Europos (Cassio Dione, LXXI, 2, 3; Fraschetti, 2008; Fündling, 2007). Questo grande successo ottenuto da Lucio Vero, sebbene avesse in pratica ristabilito la situazione precedente alla guerra, gli valse non solo grandi onori, ma gli conferì maggiore forza per cercare di imporre la propria personalità anche nei confronti di Marco Aurelio (Historia Augusta, Vero, 8, 6; Fraschetti, 2008). Giunta a Roma la notizia della vittoria, questa cominciò ad essere celebrata con scritti encomiastici nei confronti dell’imperatore come, ad esempio, quelli di Frontone, fino ad arrivare al trionfo del 12 ottobre 166 d.C., ispirato al precedente di Traiano: Lucio fece partecipare anche Marco e tutti i membri della famiglia al corteo, nel quale i due augusti vestivano abiti regali che li assimilavano a Giove Capitolino, mentre gli furono conferiti gli appellativi Medicus, Parthicus Maximus e Pater Patriae, oltre alla corona civica; inoltre, entrambi i figli di Marco Aurelio ottennero il titolo di Cesare. Infine, furono organizzati giochi e spettacoli e fatte donazioni alla popolazione (Historia Augusta, Vero, 7, 9; 8, 5; Marco Aurelio, 10, 11; 12, 8; Frontone, All’imperatore Vero, II, 3; Fündling, 2007; Galli, 2014). Secondo l’Historia Augusta, Lucio Vero sarebbe stato riluttante a tornare a Roma, dove ad ogni modo portò con sé la propria amante Pantea, musicisti, attori (tra cui Paride e Apolausto) ed un gran numero di schiavi, per poi farsi costruire una villa sulla via Clodia nella quale dare luogo a feste di ogni genere (Vero, 7, 9; 8, 7-8 e 10-11; Fündling, 2007; Caserta, 2015).

Ma al di là delle maldicenze reali o presunte, l’unica cosa che sicuramente accompagnò Lucio dall’Oriente fu la peste: l’epidemia, secondo una versione scatenata da un sacrilegio nei confronti di Apollo, aveva già cominciato a minare le legioni durante la campagna militare, in seguito diffondendosi in tutto l’impero e colpendo violentemente la popolazione. Dalla descrizione dei sintomi del morbo effettuata da Galeno, non abbiamo certezze riguardo alla sua natura, né sulla sua origine: se non si trattò esattamente di peste (è possibile fosse vaiolo o tifo), non ci sono dubbi invece riguardo l’elevato numero di vittime provocato, unito ad un panico diffuso e ai conseguenti problemi economici; la gravità della situazione impose ai due imperatori la necessità di emanare leggi apposite sul seppellimento dei cadaveri, mentre a Roma aumentò considerevolmente il numero dei sacerdoti e dei riti propiziatori compiuti (Historia Augusta, Vero, 8, 1-2; Marco Aurelio, 13, 3-4; Ammiano Marcellino, XXIII, 6, 24; Fraschetti, 2008; Fündling, 2007; Gilliam, 1961).

Busto Lucio Vero
Busto di Lucio Vero, Terme di Diocleziano. Museo Nazionale Romano, Roma (fonte: Archivio Scacchiere Storico)

Che Lucio cominciasse ad agire con maggiore autonomia è possibile notarlo dal suo intervento in alcuni aspetti politici provinciali, oltreché dalla differenza di vedute rispetto a Marco nella gestione di situazioni critiche. Ad esempio, Lucio avrebbe favorito una riforma degli statuti di Atene per permettere anche ai figli dei liberti di accedere alle principali cariche cittadine (misura  successivamente ridimensionata da Marco Aurelio), oltre a stringere rapporti personali con alcuni esponenti delle aristocrazie locali come Erode Attico (Galli, 2014). Se dopo il ritorno a Roma dall’Oriente, Lucio Vero cercò di occuparsi degli aspetti che meno interessavano al fratello adottivo, soprattutto relativamente alla vita pubblica, allo stesso modo dovette ancora impegnarsi in una campagna militare nel giro di breve tempo: probabilmente, a causa della politica di chiusura dell’impero nei confronti delle richieste di accoglienza avanzate da varie popolazioni germaniche, tra il 166 e il 167 d.C., un gruppo di seimila uomini appartenenti alle tribù dei Longobardi e degli Obii oltrepassò il Danubio ed invase la Pannonia, venendo però respinto. Nonostante a seguito di questa sconfitta i barbari avessero intavolato trattative di pace col governatore della provincia, Iallio Basso, la criticità della situazione condusse ad una riorganizzazione degli eserciti e del fronte militare, e ad incrementare i reclutamenti in vista di un imminente sforzo bellico. Una nuova minaccia, rappresentata dai Marcomanni, rese necessaria la presenza di entrambi gli imperatori alla guida delle operazioni: al di là delle necessità strategiche contingenti, è possibile che Marco volesse così evitare sia di sminuire il ruolo di Lucio (facendone il proprio delegato per le questioni militari), sia che questo stringesse un rapporto troppo stretto con l’esercito (Cassio Dione, LXXII, 3, 1; Historia Augusta, Marco Aurelio, 14, 1; Fündling, 2007). 

Dopo aver ottenuto il suo terzo consolato nel 167, l’anno successivo Lucio Vero partì quindi alla volta di Aquileia insieme a Marco Aurelio, in risposta alla minaccia diretta nei confronti dell’Italia. Una volta arrivati, diversi popoli barbarici si arresero loro o, come i Quadi, chiesero la ratifica imperiale per i propri nuovi capi (Historia Augusta, Marco Aurelio, 14, 2-3), ma questo contribuì a far emergere la diversa visione strategica di Lucio Vero. Infatti, conscio delle perdite subite e del costante pericolo per le province esterne, è possibile egli fosse favorevole ad accogliere le richieste di pace pervenute, forse perché consapevole della necessità di favorire stabili rapporti diplomatici con quei popoli da tempo ostili lungo il limes sul Reno e il Danubio, piuttosto che per egoismo personale e per poter tornare ai piaceri di Roma come sostiene l’Historia Augusta (Marco Aurelio, 14, 4-5; Vero, 9, 7-8); al contrario, Marco intendeva risolvere il problema con la forza, salvaguardando la reputazione militare dell’impero, però forse dimostrando contemporaneamente minore cognizione rispetto alla situazione generale creatasi ed alla reale capacità di mantenerla sotto assoluto controllo (Fraschetti, 2008; Fündling, 2007). 

Deciso il proseguimento della guerra (che sarebbe durata ancora a lungo) e una volta prese le principali contromisure necessarie a difendere l’area delle Alpi orientali, nel 169 d.C. fu inviata al Senato una lettera in cui si comunicava il ritorno a Roma di Lucio Vero. Secondo l’Historia Augusta, la richiesta sarebbe giunta proprio da Lucio (Marco Aurelio, 14, 6-7), ma non sappiamo esattamente con quale motivazione: forse avrebbe dovuto svolgere degli incarichi, oppure intendeva allontanarsi dall’arrivo dell’epidemia nel quartier generale. Il fatto che fosse accompagnato dal fratello porta però a pensare che entrambi intendessero rientrare per sbrigare le questioni amministrative rimaste in sospeso prima della partenza (Fündling, 2007; Fraschetti, 2008). Ma durante il viaggio, Lucio Vero fu colpito da un colpo apoplettico a poca distanza da Aquileia, morendo dopo tre giorni di agonia. Alcune ipotesi, coinvolgendo lo stesso Marco Aurelio, sostenevano fosse stato vittima di una congiura, sebbene le fonti riportino come il fratello, una volta tornato a Roma, si fosse occupato della solenne sepoltura di Lucio nel mausoleo di Adriano e della sua successiva divinizzazione (Historia Augusta, Vero, 9, 11; 10, 1-5; 11, 1-2; Marco Aurelio, 14, 8; 15, 3-6; 20, 1-2; RIC III, n. 596a e 596b). L’esperienza della diarchia era così terminata, seppur probabilmente non abbia combaciato appieno con l’assoluta concordia tra gli augusti proposta dalla propaganda imperiale.

3. La rappresentazione di Lucio Vero e della concordia imperiale

L’epoca antonina ci ha lasciato numerose immagini dei membri della dinastia, probabilmente una conseguenza del loro buon governo. Ovviamente, questo aspetto ha compreso anche Lucio Vero, raffigurato sia da solo, sia in associazione con altri componenti della famiglia imperiale. La sua prima rappresentazione di carattere collettivo è quella del rilievo proveniente dal monumento antonino di Efeso, oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna: probabilmente, si tratta del fregio più importante del complesso e potrebbe rappresentare l’adozione da parte di Adriano di Antonino, del giovane Marco Aurelio e di Lucio Vero ad otto anni. In effetti, in questa immagine (che forse vede anche la presenza di Ceionio Commodo dietro la spalla sinistra di Adriano) i due personaggi più anziani hanno il capo coperto e stanno compiendo un sacrificio, collocati in una posizione di sostanziale parità e con Antonino che regge lo scettro; Marco Aurelio e Lucio Vero indossano la toga ma a capo scoperto, oltre ad essere in una posizione subalterna, soprattutto nel caso del secondo, quasi schiacciato tra i due adulti. È perciò possibile che ad essere qui idealmente rappresentato sia il progetto dinastico adrianeo, o comunque la designazione di Antonino Pio come erede, più che un’adozione collettiva, probabilmente avvenuta invece in momenti diversi per i singoli protagonisti. Siccome il successore di Adriano godeva di ottima fama ad Efeso, essendo stato proconsole della provincia d’Asia, la sua ascesa al trono fu festeggiata per cinque giorni: questo spiegherebbe il motivo per cui, proprio in questa città, nei primi anni del principato di Antonino venne realizzato un simile monumento, il quale comunicava, tra gli altri messaggi, la solidità e la continuità della dinastia (Liverani, 1998).

Aureo Lucio Vero concordia
Aureo di Lucio Vero con al rovescio raffigurata la concordia imperiale, simboleggiata dalla stretta di mano tra l’imperatore e il suo collega Marco Aurelio (fonte: © The Trustees of the British Museum. Shared under a CC BY-NC-SA 4.0 licence)

Lucio Vero continuò ad avere nel corso degli anni un rapporto privilegiato con l’Oriente, che si intensificò dopo la vittoriosa campagna contro i Parti: diverse città gli dedicarono grandi onori, tra cui la realizzazione di numerosi ritratti. Egli fu inoltre identificato con Dioniso, ed infatti una delle sue raffigurazioni più imponenti deriva proprio dal teatro di Atene dedicato al dio: al di là delle dimensioni, lo stile di rappresentazione appare volutamente diverso, nonostante siano mantenuti i tratti fisionomici tipici dell’imperatore, con lo scopo di trasmettere maggiore forza e determinazione nel suo sguardo; ciò rientra in un’opera propagandistica che permetteva la visione di quell’immagine in uno dei luoghi più adatti al culto imperiale e frequentati della città, dove inoltre Lucio avrebbe osservato il passaggio di una stella da nord ad est durante alcuni sacrifici, fornendone un’interpretazione favorevole in vista della guerra partica, al modo dei sovrani ellenistici (Galli, 2014). Sempre legata a Dioniso è la statua loricata di Lucio Vero realizzata nella città siriana di Seleucia Pieria, realizzata probabilmente tra il 163 e il 166 d.C.: i rilievi sulla corazza raffigurano due grifoni adoranti un personaggio inginocchiato con indosso una pelle di pantera o leone, probabilmente Dioniso nelle vesti di divinità vegetale; i grifoni inoltre erano considerate creature abitanti i confini del mondo, quindi simboleggiavano l’ideale estensione della vittoria imperiale dopo la campagna partica, grazie alla quale il princeps era presentato come nuovo Dioniso e domitor Orientis (Cadario, 2020; Ojeda, 2018).

In generale, i ritratti di Lucio Vero sono caratterizzati da effetti chiaroscurali dovuti alla voluminosità di barba e capelli, grazie ad un utilizzo diffuso del trapano da parte degli autori, che crearono una tipologia ufficiale probabilmente attorno al 161 d.C. Questo modello, nel quale le folte chiome contrastano con i baffi corti, rimase prevalente forse a causa dei lunghi periodi di assenza dell’imperatore da Roma, che impedirono agli artisti di corte di proporre variazioni sul tema (Fabbrini, 1961). Ad esempio, il busto conservato presso i Musei Capitolini appartiene indubbiamente al cosiddetto IV tipo iconografico appena descritto: ritrovato a Lanuvio nella villa degli Antonini, rappresenta Lucio Vero con la testa volta a destra e uno sguardo intenso, espressione del suo carattere sofisticato; i tratti somatici appaiono realistici, con gli occhi stretti, il naso prominente e la bocca piccola che si associano ai folti riccioli dei capelli e della barba, creando un forte gioco di luci ed ombre, oltre al contrasto con la superficie levigata della pelle; la testa è poi collocata su un busto decorato da un paludamentum (mantello militare) legato grazie ad una fibbia e disposto su entrambe le spalle, le cui pieghe sono caratterizzate da una certa plasticità (Guglielmi, 2012). Della stessa tipologia è anche il busto argenteo di Marengo (AL), seppur con alcune particolarità, ritrovato in pessimo stato di conservazione e restaurato nel 1936: alto 55 centimetri e largo 50 circa, la barba e i capelli appaiono meno voluminosi a causa della maggiore difficoltà nella lavorazione del metallo rispetto al marmo; il volto risulta asimmetrico, mentre la corazza è a corsetto, decorata dal Gorgoneion al centro e dalle piume tipiche della lorica plumata. La decorazione attorno alla testa di Gorgone intendeva probabilmente ricreare un’egida e comunicare l’invulnerabilità di chi la indossava: si tratterebbe quindi di una corazza da campo più che da parata, il che porterebbe a pensare ad una datazione del busto agli anni successivi alla vittoria sui Parti, sebbene da un punto di vista stilistico potrebbe invece risalire agli inizi della diarchia. Questo genere di ritratti era di carattere mobile, perciò adottato anche come insegna, ma in questo caso dimensioni e peso fanno dedurre una collocazione di tipo sacro, legata al culto imperiale (Cadario, 2017; Sena Chiesa, 2008).

Busto Lucio Vero Marengo
Busto in argento di Lucio Vero, proveniente da Marengo (AL). Museo Archeologico di Torino (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

L’immagine di Lucio Vero non mostra variazioni particolari nemmeno per quel che riguarda le raffigurazioni monetali, nelle quali però risultano importanti le diverse versioni iconografiche del principato collegiale, emesse fin dall’inizio allo scopo di comunicare come la concordia tra gli augusti favorisse la prosperità grazie anche alla loro generosità. Indubbiamente, il tipo principale deve essere considerato quello accompagnato al rovescio dalla legenda CONCORDIA AVGVSTOR TR P, in cui Marco e Lucio sono rappresentati in piedi e affrontati, nell’atto di stringersi la mano, mentre al diritto la testa volta a destra dei singoli augusti era associata alla relativa titolatura imperiale (RIC III, n. 448-456 e 470-474). Il tipo al rovescio della Concordia Augustorum era già stato utilizzato in precedenza nell’ambito della dinastia relativamente ad Antonino e Faustina Maggiore, ed inoltre fu oggetto di numerose imitazioni in ambito provinciale: a differenza di quanto accadeva usualmente, ad essere ripreso non fu solo il tipo ma anche la legenda, tradotta in OMONOIA AVTOKPATOPEC, sebbene le singole città potessero applicare alcune varianti. In altri casi, invece, la personificazione della Concordia poteva essere raffigurata al rovescio, volta a sinistra e seduta nell’atto di reggere una patera, con una cornucopia ai piedi e la legenda CONCORD AVG TR P, sempre con al diritto la testa dell’imperatore (RIC III, n. 444-447). I due augusti appaiono raffigurati insieme anche associati alla Liberalitas: nel tipo recante la legenda LIB AVGVSTOR TR P COS II, Lucio Vero e Marco Aurelio sono volti a sinistra e seduti su delle selle curuli poste al di sopra di un podio, con accanto la Liberalitas stante, che guarda nella stessa direzione e regge un abaco ed un’asta; ai piedi del podio, sulla sinistra, è presente una figura maschile che guarda in alto, in direzione della dea (RIC III, n. 459; Yarrow, 2012).

Dopo la morte di Lucio, Marco Aurelio si ritrovò dunque a governare da solo e, secondo alcune fonti, senza più il peso rappresentato dal fratello adottivo (Historia Augusta, Marco Aurelio, 16, 3-4). In realtà, nonostante alcune riserve continuino a persistere anche in tempi recenti (Carandini, 2020), un’analisi più approfondita permette di attuare una rivalutazione di Lucio Vero, un personaggio sicuramente dalla natura particolare, viste le inclinazioni e la personalità dimostrate, ma non per questo privo di capacità: con la sua scomparsa prematura, l’impero perse infatti un abile stratega militare e diplomatico, il quale avrebbe sicuramente fornito un prezioso contributo alla gestione delle crisi che Marco Aurelio dovette invece affrontare singolarmente. L’Historia Augusta riporta come quest’ultimo, una volta tributati gli onori funebri al fratello (ma forse non in proporzione sufficiente visti i suoi successi), avrebbe cercato però di privarlo di alcuni meriti, attribuendo in parte a Marco la responsabilità invece tutta storiografica di aver accresciuto ingiustamente l’ombra da cui Lucio Vero è rimasto avvolto (Marco Aurelio, 20, 2-4; Fraschetti, 2008; Fündling, 2007).

Michele Gatto – Scacchiere Storico

Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in Numismatica Antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.

Bibliografia

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Immagine di copertina: busto di Lucio Vero, Collezione Torlonia (fonte: Archivio Scacchiere Storico)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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