SIMÓN BOLÍVAR NELLA STORIOGRAFIA E NELLA POLITICA VENEZUELANA

di Davide Galluzzi

Una delle figure più importanti della storia latinoamericana è sicuramente Simón Bolívar. Noto con il nome di “Libertador”, ossia “Liberatore”, Bolívar nacque a Caracas il 24 luglio 1783 e fu uno dei massimi protagonisti di quel lungo processo che avrebbe portato all’indipendenza dell’America Latina.

Non sorprenderà, quindi, il ruolo centrale assunto dal generale-patriota tanto nella storiografia quanto nella vita politica di diversi Paesi sudamericani e, specialmente, in Venezuela. Chi si occupa di politica latinoamericana, infatti, sa bene che in Venezuela i richiami al Libertador sono numerosi e assai forti.

Dal 1999, ossia dalla svolta impressa nella vita politica venezuelana (e non solo) da Hugo Rafael Chávez Frías e dalla sua rivoluzione che, non a caso, è stata denominata “bolivariana”, il Venezuela gode di una nuova Costituzione.

Ritratto di Simón Bolívar come primo Presidente della Bolivia
Ritratto di Simón Bolívar come primo Presidente della Bolivia (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Tale Carta fondamentale pone, nei suoi “Principi fondamentali”, alcuni punti assai interessanti. Il Primo titolo, infatti, «[…] consacra la condizione libera e indipendente della Repubblica Bolivariana del Venezuela; condizione permanente che si basa sul pensiero di Simón Bolívar, il Liberatore, sul suo patrimonio morale e sui valori di libertà, uguaglianza, giustizia e pace internazionale. […] Menzionando la figura paradigmatica di questa iniziale rivoluzione, il Liberatore Simón Bolívar, si riconosce il sentimento popolare che lo distingue come dell’unità nazionale e della lotta incessante per la libertà, la giustizia, la morale pubblica e il benessere del popolo, in virtù del quale si stabilisce che la Nazione venezuelana, organizzata in Stato, si denomina Repubblica Bolivariana del Venezuela (il corsivo è nostro, N.d.R.) […]» (Constitución de la República Bolivariana de Venezuela, 1999).

Sarebbe, tuttavia, un errore assai grave pensare che il “culto di Bolívar”, come definito dallo storico Germán Carrera Damas, sia nato con la svolta chavista che pure ha approfondito e a tratti rivisitato tale culto. No, esso ha radici ben più profonde che partono dai primi anni successivi alla morte del Libertador e che si diramano anche fuori dal Venezuela e dall’America Latina.

  1. Simon Bolívar nella storiografia venezuelana ed europea

Dopo quanto detto nell’introduzione a questo articolo, potrebbe sorprendere che le prime biografie del Libertador non nacquero in Venezuela o in America Latina, bensì in Europa e in tempi non sospetti, ossia mentre Bolívar era ancora in vita. Inquadrando cronologicamente gli avvenimenti, tuttavia, lo stupore sfumerebbe assai rapidamente. Il lungo percorso verso l’indipendenza latinoamericana iniziò sì durante il periodo napoleonico, ma si sviluppò ed ebbe conclusione durante gli anni della cosiddetta Restaurazione.

In un’Europa avvolta nelle nebbie della reazione, quindi, le forze liberali cercavano riferimenti nel Nuovo Mondo, come nel caso dell’italiano Luigi Angeloni, autore della prima biografia a noi nota del Libertador, o nel caso dei circoli liberali francesi nei quali si diffuse una vera e propria moda di Bolívar concretizzatasi nella diffusione dell’utilizzo dello stesso cappello indossato dal militare venezuelano (Harwich, 2003). Un’importante riflesso di questa dinamica si ebbe nella letteratura grazie al poema “The Age of Bronze”, nel quale Lord Byron invoca George Washington e Simon Bolívar come profeti della Libertà (Byron, 1823).

A lungo il dibattito politico-storiografico d’Italia e Francia si sarebbe concentrato sul Libertador. Per restare nei confini cronologici del XIX secolo è necessario ricordare come le prospettive dei due Paesi si separarono, andando al di là del riferimento liberale precedentemente menzionato. Simon Bolívar e il suo progetto politico divennero la base per la teorizzazione, da parte del francese Michel Chevalier, di una Unione Latinoamericana volta a giustificare l’interventismo del Secondo Impero. Sul versante italiano, invece, Luigi Musini contrappose il repubblicanesimo bolivariano alle pretese imperiali napoleoniche, indicando come il primo dovesse ispirare e guidare il Risorgimento italiano (Harwich, 2003).

Per ironia della sorte, fu proprio questa fiorente storiografia europea a dare la spinta propulsiva al dibattito venezuelano. In particolar modo fu la pubblicazione in Spagna, nel 1829, della Historia de la revolución hispano-americana di Mariano Torrente a generare una risposta oltre oceano. Torrente, infatti, scriveva durante il regno di Fernando VII e proponeva una versione degli eventi in linea con la reazione fernandina, ossia un resoconto volto a demonizzare il Libertador. La reazione venezuelana non si fece attendere e, ben presto, vennero pubblicate opere e manuali scolastici in difesa della lotta indipendentista. Il ruolo di Bolívar, pur nella semplificazione degli eventi necessaria alla redazione di manuali scolastici, veniva sì riconosciuto, ma si era ben lungi dalla nascita di quel culto bolivariano di cui stiamo trattando. Non dobbiamo infatti dimenticare che il potere era in mano al gruppo che si era reso protagonista della fine della Grande Colombia e del sogno del Libertador (Harwich, 2003). 

Ritratto del generale Antonio Guzmán Blanco
Ritratto del generale Antonio Guzmán Blanco (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Un vero e proprio punto di svolta si ebbe a partire dal 1870, in coincidenza con la presa del potere da parte del generale Antonio Guzmán Blanco. Fu durante il suo lungo governo e, soprattutto in occasione del centenario della nascita di Bolívar, che nacque una vera e propria religione civile basata intorno al culto del Libertador la cui base si trovava nelle prime raccolte di documenti originali e nella nascita di luoghi di memoria, concretizzatisi nell’erezione di monumenti e nella dedica di piazze e luoghi pubblici a Bolívar. L’intento di Guzmán Blanco era chiaro: tracciare un parallelo tra il suo governo e quello del Liberatore (Harwich, 2003). In una società estremamente frammentata, dispersa e con le ferite delle guerre indipendentiste e della fine del sogno bolivariano ancora aperte, era necessario, per il potere, cercare un elemento unificante attorno al quale consolidare la nazione. Simón Bolívar divenne quindi il centro di questa Historia Patria che sarebbe poi divenuta la base della filosofia politica dello Stato. Il Libertador, quindi, è un punto fermo, un vero e proprio nume tutelare, una salvezza nel significato più religioso del termine (Straka, s.d.).

Analizzeremo a breve questo aspetto estremamente interessante e fondamentale. Tornando all’intreccio tra politica e storiografia, è necessario ora spendere qualche parola su due visioni contrapposte della figura del Liberatore, ossia quella autoritaria-reazionaria e quella progressista-socialista.

La prima visione si sviluppò nel corso del XIX e del XX secolo durante le ferree dittature militari susseguitesi alla guida del Venezuela. L’oligarchia che deteneva saldamente il potere, infatti, vedeva in Simón Bolívar il garante dell’ordine, il politico duro che non aveva esitato a proclamare la dittatura e a teorizzare un rafforzamento del potere esecutivo per tutelare la nazione dalle fazioni e dal pericolo di frantumazione cui esse avrebbero, inevitabilmente, condotto. Un bolivarismo nazionale, quindi, da contrapporre anche a quelle ideologie straniere, in special modo il marxismo, che minacciavano di far tornare le divisioni in seno al Venezuela (Harwich, 2003).

Questa visione estremamente reazionaria ebbe un effetto contrario a quello descritto poco sopra, ossia ebbe un riflesso sul dibattito politico-storiografico europeo e, in particolar modo, in quello francese e italiano. Il Bolívar antiliberale, infatti, venne ripreso sia dai teorici della Action Française, sia dalla storiografia fascista che, attraverso i discorsi di Gioacchino Volpe e alle voci dell’Enciclopedia Treccani, vedeva nel Libertador che aveva accentrato i poteri su di sé e che aveva teorizzato un’unione latinoamericana, una prefigurazione del duce e del progetto fascista (Harwich, 2003).

La seconda interpretazione, quella progressista, si sviluppò invece nel XX secolo stranamente in contrapposizione alla visione marxiana del Libertador. Marx, è bene sottolinearlo, aveva sviluppato una visione estremamente negativa di Simón Bolívar, ritenuto un aspirante bonapartista che incarnava le ambizioni del patriziato creolo. Fu la storiografia sovietica a controbilanciare in parte questa posizione, teorizzando un Bolívar sì antidemocratico ed esponente del patriziato creolo, ma anche precursore dell’anticolonialismo e dell’antimperialismo, perché, con la propria azione accentratrice aveva non solo portato all’indipendenza di buona parte del Sudamerica, ma aveva gettato le basi per la contrapposizione all’imperialismo inglese e statunitense nella regione (Harwich, 2003).

Un interessante riflesso del dibattito descritto e delle due visioni contrapposte si ebbe anche sulla storiografia ecclesiastica e sulle posizioni della Chiesa venezuelana.

Fin dagli anni immediatamente successivi all’indipendenza, gran parte del clero venezuelano, rimasto leale al re di Spagna, si era infatti contrapposto al nuovo regime bollando il processo indipendentista come parte del progetto di Satana. Il Libertador, quindi, veniva visto come agente del demonio. Fu perciò necessario, per il clero patriota, reagire a queste prese di posizione dimostrando la cattolicità di Bolívar (Straka, s.d.). Inizialmente tale processo era eminentemente orale e si basava su prediche e sermoni. Fu a partire dalla fine del XIX secolo e, in particolar modo, grazie all’infaticabile azione del gesuita Pedro Leturia che la storiografia ecclesiastica venezuelana, scopertasi scientifica, iniziò a basare la propria interpretazione sulle fonti documentali.

Simón Bolívar, ritratto a olio di Ricardo Acevedo Bernal
Simón Bolívar, ritratto a olio di Ricardo Acevedo Bernal (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Nacque di conseguenza una vera e propria teologia bolivariana che nuovamente propose due visioni contrapposte del militare venezuelano: da un lato, attraverso la sua opera di centralizzazione, Simón Bolívar veniva visto come precursore del Concilio Vaticano I, dall’altro, attraverso l’analisi del progetto costituzionale boliviano, il Libertador veniva visto come precursore del Concilio Vaticano II e di una visione meno rigida della religione e del ruolo della Chiesa (Straka, s.d.).

Di nuovo un Bolívar visto come alfa e omega della società venezuelana, come base di ogni azione e come lente attraverso la quale interpretare ogni evento politico-sociale-religioso della Patria.

  1. Il culto di Bolívar e le reazioni storiografiche

Da quanto detto finora emerge l’importanza di Simón Bolívar come mito fondante non solo della Patria venezuelana, ma anche della “venezuelanità”, della nazione stessa (Mora-García, 2005).

All’indomani della morte del Libertador, infatti, al processo storiografico sopra descritto si affiancò una reinterpretazione della figura storica nel campo della letteratura, con poemi a lui dedicati scritti non solo da venezuelani, ma da artisti di tutta l’America Latina, fino a giungere, in tempi più recenti, a Pablo Neruda. Nacque quindi, fin da subito, una sorta di culto popolare del Liberatore, un culto dal basso e a tratti quasi religioso che venne ben presto intercettato dal potere e trasformato in culto per il popolo, ossia una vera e propria manipolazione utilizzata dall’oligarchia per legittimare il proprio potere. Un Bolívar, quindi, che permetteva al potere di connettersi con il popolo (Mora-García, 2005 e Medeiros Arce-Tedeschi-Carrera Damas, 2015).

Come abbiamo precedentemente evidenziato, il Libertador è stato una costante nel dibattito storiografico-politico non solo venezuelano, ma in questo Paese la fusione dei due aspetti ha avuto uno sviluppo ben determinato, ossia ha trasformato un uomo, Simón Bolívar, in un’idea. Non l’idea di un governo, ma, come segnala Carrera Damas, l’idea di uno Stato. Una base, un punto fermo che resiste e persiste indipendentemente dalla forma di governo e dal partito che detiene il potere (Medeiros Arce-Tedeschi-Carrera Damas, 2015). Si sono infatti identificati come bolivariani, pur con sfumature e accezioni diverse, tanto Antonio Guzmán Blanco e Juan Vicente Gómez quanto Hugo Chávez e Nicolás Maduro; tanto le dittature militari e la repubblica borghese quanto la repubblica bolivariano-socialista.

Juan Vicente Gómez, ritratto fotograficamente nei primi Anni 30
Juan Vicente Gómez, ritratto fotograficamente nei primi Anni 30 (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Un Bolívar, quindi, visto dal potere tanto politico, quanto religioso come un unto dal Signore, quasi un profeta, un messia a cui è toccato il compito, naturalmente di origine divina, di guidare il Venezuela verso l’indipendenza (Straka, s.d.). Un vero e proprio culto che, soprattutto a partire dai primi anni del XXI secolo, non a caso in coincidenza con il rafforzarsi della Rivoluzione bolivariano-chavista, ha visto una forte reazione da parte di diversi storici.

Abbiamo detto (e ribadiamo) “non a caso”. Non è estranea a tale processo, infatti, una dichiarata opposizione al potere chavista, ma, è bene sottolinearlo, il processo storiografico portato avanti dagli storici “iconoclasti” che hanno messo recentemente in discussione il culto bolivariano ha in realtà radici più profonde che risalgono alla seconda metà del ‘900.

Con la fine dei regimi militari e il susseguirsi, a partire dagli Anni ’50, di una serie di regimi civili, iniziò una vera e propria rivoluzione storiografica che, complice la professionalizzazione della storiografia e l’influenza di diverse correnti di pensiero (non ultimo il marxismo e la “storia dal basso”), mise in discussione la filosofia dello Stato cui abbiamo fatto cenno più volte nel corso di questo articolo (Straka, s.d.). Parte della storiografia, quindi, cercava di staccarsi (e di staccare la nazione) dal nume tutelare del Libertador.

Punto di svolta fondamentale, a tal riguardo, fu la pubblicazione nel 1970 del volume “El Culto a Bolívar” di Germán Carrera Damas, nel quale lo storico venezuelano analizzava proprio la trasformazione dell’immaginario bolivariano da culto del popolo a culto per il popolo, ossia l’appropriazione della figura del Libertador da parte del potere (Straka, s.d.). Nel 2005 l’inossidabile Carrera Damas sarebbe intervenuto ancora nel dibattito storiografico venezuelano e, vista la diffusione dei suoi studi, mondiale attraverso il volume “El bolivarianismo-militarismo. Una ideologia de reemplazo”. Lo storico vedeva nella appropriazione di Bolívar da parte di Hugo Chávez il riproporsi del culto del Libertador, trasformatosi in ideologia di rimpiazzo volta a sostituire il vuoto ideologico causato dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla presunta fine del pensiero marxista-leninista (Straka, n.d.). 

L’immaginario bolivariano, quindi, ha intrapreso una nuova strada. Un cammino che, secondo Carrera Damas, sarebbe bene interrompere con una vera e propria ribellione culturale volta a eliminare il nume tutelare di Bolívar, spingendo il popolo venezuelano verso una maggior maturità politica.

Un altro storico, Elías Pino Iturrieta, con il suo “El divino Bolívar, ensayo sobre una religión republicana” pubblicato nel 2003, aveva messo in guardia contro il culto dell’eroe. Culto non negativo se permette la coesione del popolo intorno a una identità, ma che può trasformarsi in un male terribile qualora tale popolo si assuefacesse al culto, giungendo al punto di non poter fare a meno dell’eroe-semidio. Un processo, quest’ultimo e secondo Iturrieta, portato alle estreme conseguenze proprio dalla svolta chavista (Straka, s.d.).

  1. Conclusioni

Come emerso nel corso di questo articolo, fin dai primi anni successivi alla nascita del Venezuela la figura storica di Simón Bolívar, tra i principali artefici dell’indipendenza dell’America Latina e della nascita della Grande Colombia, divenne oggetto di un culto popolare intercettato dal potere politico. Il Libertador, opportunamente mitizzato e trasformato in una sorta di semidio, divenne base della nazione, lente attraverso la quale leggere e interpretare ogni avvenimento della vita politica venezuelana e strumento del potere per legittimare sé stesso.

Tale culto, vera e propria religione civile, si nutriva anche di elementi presi dal culto cristiano-cattolico.  In occasione del centenario della morte di Bolívar, nel 1930, il cardinale José Humberto Quintero tenne un’orazione funebre nella quale associava la nascita della bandiera venezuelana a una sorta di ispirazione mistico-religiosa avuto dal Libertador all’età di cinque anni, quando, osservando il petto della madre, venne rapito dalla visione di una croce nella quale si univano tre colori: il giallo, l’azzurro e il rosso. Il gioiello, poi, era adornato con sette diamanti, ispirazione per le sette stelle della bandiera venezuelana (Straka, s.d.). Di nuovo, cinquant’anni dopo, l’inossidabile cardinal Quintero tenne una nuova omelia durante la quale imputò tutti i mali patiti dal Venezuela al peccato originale di aver tradito il sogno di Bolívar, contribuendo alla dissoluzione della Grande Colombia. Una sorta di castigo per non aver compreso la natura divina dell’opera del Libertador (Straka s.d.).

Divisione politica della Grande Colombia
Divisione politica della Grande Colombia (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Forse questo è il carattere più strano del culto di Bolívar in Venezuela, ossia l’essere colonna portante dell’immaginario collettivo e base di ogni potere susseguitosi alla guida di uno Stato che, proprio dalla distruzione del sogno bolivariano, è nato.

Non sorprenderà quindi come, nel corso dei secoli, si sia passati da uno a più Simón Bolívar, creando un Libertador per ogni necessità: un Bolívar reazionario e uno progressista, un Bolívar religioso e uno ateo, un Libertador tutore dell’ordine e uno rivoluzionario, un Bolívar nazionalista e uno dal carattere più internazionalista, punto comune per tutti i popoli latinoamericani e base della riscoperta del progetto della Patria Grande, che anima diversi settori dell’America Latina e che spinge alla collaborazione tra i popoli.

Un culto che da locale sembra allargarsi e che, nonostante le reazioni (non scevre da motivazioni politiche) di parte della storiografia venezuelana e non solo, sembra ben lungi dall’esaurirsi.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

ByronG.G.,TheAgeofBronze, https://americanliterature.com/author/lordbyron/poem/the-age-of-bronze#:~:text=by%20Lord%20Byron,%2C%20Toil%2C%20Tears%20and%20Sweat. (consultato il 30.07.2022); Harwich N., Un héroe para todas las causas: Bolívar en la historiografía, Iberoamericana, Vol.3, N°10, 2003; Medeiros Arce A-Tedeschi L.A.-Carrera Damas G., El culto a Bolivar y la historiografia venezolana: talla con el historiador German Carrera Damas, Historia da Historiografia, N°19, 2015; MIPPCI, Constitución de la República Bolivariana de Venezuela, 1999; Mora-García, Bolívar en el imaginario venezolano, Mañongo, N°24, 2005; Straka T., ¿Hartos de Bolívar? La rebelión de los historiadores contra el culto fundacional, Boletín de la Academia Nacional de la Historia, 2009; Straka T., Bolívar y la historiografía eclesiástica o cómo un discurso histórico se convierte en discurso pastoral, Anuario de Estudios Bolivarianos, N°11, 2004.

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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