di Giulia Zinedine Fuschino
Introduzione
Gli ultimi trent’anni del V secolo a.C. greco sono universalmente conosciuti come il periodo in cui avvenne il secondo evento epocale e (forse) più traumatico per i Greci: la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). Sarebbe tuttavia più corretto chiamare questa guerra dell’intero mondo greco con il titolo originale dell’opera dello storico Tucidide, ossia la Guerra dei Peloponnesiaci. Ciò sarebbe corretto in virtù del fatto che si fronteggiano due schieramenti, che però raggruppano quasi tutte le realtà greche, Sparta con la lega dei Peloponnesiaci contro Atene e i suoi alleati riuniti formalmente nella I Lega navale (comunemente Lega delio-attica).
Non si riporteranno qui tutti gli eventi che causano e che avvengono di quest’evento, che coinvolge la maggior parte del mondo greco, dopo le Guerre persiane (492-477/470 a.C.).
In genere, la Guerra del Peloponneso è suddivisa in tre periodi: i primi dieci anni vengono definiti fase archidamica (431-421 a.C) dal nome del re Archidamo II, che invade l’Attica;dalla pace di Nicia che conclude la prima fase fino al fallimento della spedizione ateniese in Sicilia e il colpo di stato dei Quattrocento oligarchi ad Atene (421-411 a.C.); l’ultima fase è detta deceleica, dal nome dell’avamposto spartano nella città di Decelea in Attica (rotta con Beozia e Eubea per gli approvvigionamenti), dal 411 alla fine della guerra 404 a.C.
In questo caso tratteremo un periodo e un personaggio in particolare: gli ultimi anni della prima fase della guerra e il generale spartano Brasida, secondo un profilo “ateniese”, derivato cioè da due autori ateniesi a lui contemporanei: lo storico Tucidide e il commediografo Aristofane.

- Brasida, “spartano duplice” in Tucidide
Nel 424 a.C. il fronte della guerra si spostò nell’estremo nord greco, nella cosiddetta penisola calcidica. Quest’ultima, attualmente a sud-est di Salonicco, era sbocco marittimo importante sull’Egeo settentrionale e confine a est con la Tracia e a nord con il regno macedone, penisola dove gli Ateniesi possedevano colonie.
Brasida vi fu inviato dagli Spartani in quanto già stava attraversando la Tessaglia per raggiungere la Tracia, in cui aveva intenzione di spostare il fronte dopo la disastrosa battaglia di Sfacteria (isola nella baia di Pilo, nel Peloponneso) dell’anno precedente, clamorosa sconfitta spartana. Il cambio di strategia prevedeva appunto lo spostamento del fronte fuori dal Peloponneso e il più lontano possibile dall’Attica, scegliendo perciò la penisola Calcidica e la Tracia, dove gli Ateniesi avevano alleati e possedimenti minerari. Contando sull’appoggio dei Tessali e degli stessi Calcidesi, nonché di Perdicca di Macedonia, Brasida avviò la marcia, senza troppi ostacoli. Ma perché gli Spartani inviarono proprio questo generale che propone un’operazione così rischiosa?
Tucidide, nella sua opera storiografica La Guerra del Peloponneso, ci presenta Brasida e ne parlerà diffusamente nei capitoli successivi, attuando la costruzione del personaggio Brasida, come si vedrà di seguito.
E, in merito a questa domanda, afferma:
«I Lacedemoni inviarono Brasida perché lui desiderava particolarmente fare questa spedizione (lo volevano anche i Calcidesi), un uomo che a Sparta dava l’impressione di essere pronto per ogni occasione e che, uscito (da Sparta), divenne di fronte ai Lacedemoni degno del massimo merito. Infatti, il mostrare sé stesso subito giusto e moderato verso le città ne fece defezionare molte e in parte le ottenne con l’inganno, tanto che, ai Lacedemoni che volevano, capitò di attuare scambi e restituzioni dei territori, come poi fecero, e di allontanare la guerra dal Peloponneso. E, in seguito, dopo i fatti in Sicilia, la virtù e l’intelligenza di Brasida in guerra convinsero gli alleati di Atene (a parteggiare) per i Lacedemoni, tra quelli che avevano conosciuto (queste qualità) per esperienza diretta e tra quelli che (le) stimarono per sentito dire. Infatti, uscito da Sparta, venne ritenuto il primo uomo onesto in ogni cosa e suscitò una sicura speranza che anche gli altri (Spartani) fossero come lui.» (Tucidide IV 81).
Non si riporterà qui tutta l’operazione militare di Brasida (Costanzo, 2020), tuttavia, ci si concentrerà sulla fonte tucididea per un’analisi dell’elogio del generale, quindi si seguirà la fase tracica, di conseguenza.
Lo storico ateniese, introducendo la figura dello spartano sulla scena bellica, dà subito due importanti informazioni: la visione qui riportata risponde sia a una considerazione di Brasida in patria sia, addirittura, ad una fama “estera”, cioè propria delle città che lo hanno incrociato, distinguendole propriamente in città con esperienza diretta e indiretta («akoe», lett. per sentito dire).
Nel dettaglio, Brasida è descritto all’inizio come «pronto per ogni occasione», in greco drasterion (Costanzo, 2020), e «dopo la sua partenza degno del massimo merito» nella prospettiva “spartana”. Tuttavia, questa descrizione del generale non è realmente il giudizio spartano, ma un giudizio tucidideo, in quanto Brasida a Sparta venne accusato di insubordinazione, avendo arruolato gli Iloti, cosa che Tucidide attribuisce a decreto del governo centrale (Daverio Rocchi, 1985; Costanzo, 2020; Prandi, 2013); è un giudizio mutuato ex post dall’ateniese, secondo cui il generale è diverso dagli altri Spartiati, come si vedrà meglio in seguito.
Oltre alla prospettiva “presso i Lacedemoni”, si ha la prospettiva delle città da lui conquistate, ed anche qui emerge la duplicità del personaggio, parafrasando una definizione di A.S. Bradford (Bradford, 1994): da un lato le fece defezionare con un atteggiamento di apertura («giusto e moderato», dikaios/metrios), insolito per un conquistatore spartano, dall’altro «in parte con l’inganno» (lett. prosodia, qui letto come oratoria diplomatica eccellente, altra qualità insolita). Tutti questi successi derivano da qualità intellettuali e morali «virtù e intelligenza» che lo dipingono come «uomo onesto» davanti alle città dell’orbita ateniese che defezionano in favore suo e passano nei Peloponnesiaci.
Il complesso dei valori qui esposti, però, come già detto, insoliti appartiene a chi scrive: Tucidide elogia qualità che per un ateniese sono tali, è bene ricordarlo, e quindi Brasida, sebbene spartano, sembra più “ateniese”.
La caratterizzazione del personaggio emerge più chiaramente nei discorsi alle città traciche, che Tucidide riporta; ne verranno qui analizzati due: quello al popolo di Acanto e quello agli abitanti di Anfipoli.
1.1 Brasida campione della libertà greca: il discorso ad Acanto
La città di Acanto, oggi Erisso, è situata in quella che in Antico era la penisola calcidica, importante città come sbocco sull’Egeo. Qui Brasida si presentò in assemblea cittadina su invito dei Calcidesi, nonostante alcune reticenze dei democratici locali. Temendo per la distruzione del raccolto come ritorsione, acconsentono a farlo entrare da solo.
Brasida fece un discorso emblematico in quanto affermò:
«L’invio mio e dell’esercito effettuato dai Lacedemoni, o cittadini di Acanto, conferma il motivo che noi proclamarono all’inizio della guerra cioè che avremmo combattuto gli ateniesi per liberare la Grecia. E se siamo arrivati dopo un po’ di tempo ingannati dai piani militari secondo i quali pensavamo di poter distruggere gli Ateniesi da soli, senza farvi correre pericoli, nessuno ci rimproveri; infatti ora che c’è l’occasione siamo arrivati e col vostro aiuto tenteremo di sottometterli. […] Ma voi, se avete qualcos’altro in mente o se vi opponete alla libertà vostra e degli altri Greci, vi comportate da pazzi. […] E di questo fatto non potrò dare una spiegazione plausibile ma dovrò dire o che è ingiusta la libertà che io porto o che sono debole e incapace di difendervi dagli Ateniesi in caso di attacco.» (Tucidide IV 85, 1-2; 5-6).
Proseguiva poi
«E io non sono venuto qui per fare del male, ma per liberare i Greci dopo aver obbligato, con i più solenni giuramenti, i magistrati spartani a rendere autonomi gli alleati che io stesso avrei convinto, inoltre sono venuto non per farvi alleare con la forza o con l’inganno ma al contrario per essere io vostro alleato, a voi che siete schiavi degli Ateniesi. […] infatti non sono venuto per unirmi una fazione né ritengo di portare una libertà sicura, oltrepassando i costumi patrî, rendessi la folla schiava degli oligarchi o i pochi dei più. Una tale libertà sarebbe per noi più dura di una dominazione straniera e a noi Lacedemoni non verrebbe in cambio nessuna gratitudine per le fatiche sopportate ma lascerebbe un’accusa verso di noi invece di onori e fama.» (Tucidide IV 86, 1; 4-5).
«d’altra parte voi non dovete impedire ai Greci di liberarsi dalla schiavitù. Certo non sarebbe ragionevole che noi ci comportassimo così male né i Lacedemoni avrebbero il diritto di liberare chi non vuole essere liberato, se non ci fosse il bene comune come giustificazione. Né del resto noi aspiriamo al comando ma piuttosto tentando di far smettere il sopruso altrui faremmo un’ingiustizia ai più se, mentre portiamo l’autonomia per tutti, temessimo gli oppositori. A fronte di ciò, decidete bene e lottate per dare inizio per primi alla libertà greca e per ottenere fama eterna, affinché voi stessi e il vostro privato non siate danneggiati e per concedere a tutta la polis la più eccellente reputazione.» (Tucidide IV 87, 3-6) (Costanzo, 2020).
In questo discorso molto denso, si possono notare due particolarità che già una voluta selezione dei passi ha messo in evidenza:la missione di Brasida e degli Spartani in generale è la liberazione della Grecia (eleutheria), secondo il manifesto di Archidamo IIcon cui Sparta entrava ufficialmente in guerra nel 431 a.C., dal giogo dell’impero ateniese (Prandi, 1976). A livello propagandistico usare un leitmotiv dalle Guerre persianecome quello della eleutheria, intesa non come la libertà odierna, ma come possibilità di auto-determinazione delle poleis (Momigliano, 1993), si rivela un’abile mossa oratoria di Brasida ma in linea totale con la madrepatria; l’adesione ,o meglio, la defezione da Atene deve essere spontanea, almeno a parole, con la promessa di autonomia, una volta perso il controllo della città. L’autonomia in età classica è un istituto politico che si abbina logicamente alla eleutheria, ossia si può intendere come autogestione libera delle singole poleis negli affari interni e con l’estero. In questo caso si riferisce alla situazione di subalternità degli alleati nella Lega Delio-attica, soggetti a tributi o in denaro o in navi ad Atene e obbligati alla istituzione di una demokratia di stampo pericleo in patria. Oltre a una liberazione politica, l’adesione alla Lega dei Peloponnesiaci avrebbe comportato fama eterna per la liberazione di tutta la Grecia, quindi c’è anche un “onore” oltre, precisamente, ad un “ricatto morale”. Infatti Tucidide afferma che l’assemblea decise a maggioranza la defezione per il «lusinghiero discorso» e per «la preoccupazione per il raccolto», quindi la performance oratoria di Brasida viene percepita anche dall’ateniese come una lusinghiera minaccia (Prandi, 2013).

1.2 La presa di Anfipoli, un’impresa “convincente”
Nel 422 a.C. Brasida arrivò alle mura di Anfipoli, città chiave dell’antica Tracia per il commercio del legname e i tributi dalle città traciche per Atene, sull’Egeo settentrionale, uno snodo importante verso l’Ellesponto, vicino all’emporio di Eione.
«intanto Brasida si affrettò ad occupare la città prima di Tucidide se poteva. Voleva evitare che al suo arrivo la folla dei cittadini di Anfipoli, sperando che Tucidide li salvasse arruolando dalle isole e chiamando aiuti del resto della Tracia, non gli fosse più favorevole. E propose condizioni moderate, emettendo questo bando: i presenti tra gli abitanti di Anfipoli e tra gli Ateniesi che volessero restare avrebbero avuto il permesso restare con il possesso dei loro beni e conservando intatti i diritti; chi non volesse, sarebbe potuto partire con i loro beni in cinque giorni. I più, udendo queste cose, cambiarono parere tanto più che ad Anfipoli viveva una piccola minoranza di Ateniesi, mentre la maggioranza della popolazione era mista, e molti degli abitanti all’interno erano imparentati con quelli fuori le mura, che erano stati catturati. E costoro pensavano quindi che il bando fosse equo rispetto ai loro timori, mentre la parte ateniese della popolazione avrebbe potuto essere contenta di partire, pensando che non ci sarebbero stati pericoli per loro stessi in questo luogo e non confidando più in un aiuto nell’immediato, poi il resto della folla sia non sarebbe stato privato della città in equità sia avrebbe scampato il pericolo al contrario delle aspettative. Sicché, poiché i fautori di Brasida già mettevano in luce questi vantaggi e poiché avevano notato che la maggioranza aveva cambiato opinione e non ascoltava più lo stratega ateniese lì presente, si stipulò un accordo e Brasida venne fatto entrare alle condizioni che aveva annunciato. In tal modo quelli consegnarono la città, mentre Tucidide e la flotta sbarcavano quello stesso giorno, tardi, ad Eione.» (Tucidide IV 105, 2; 106, 1-3).
Lo stratega ateniese Tucidide, verosimilmente l’autore stesso (Canfora, 2016), viene inviato a fermare l’ascesa spartana in Tracia, partendo da Taso con la flotta, porto più vicino. Brasida, sapendo della necessità ateniese di liberare immediatamente quelle zone e di salvaguardare soprattutto Anfipoli ed Eione inviando immediatamente un contingente da Taso, giocò d’astuzia: usò l’arma diplomatica per cui è già famoso. E vinse di nuovo, come ad Acanto, «mostrandosi moderato e giusto» verso i cittadini, considerando anche la popolazione mista del luogo e garantendo diritti a tutti con un accordo scritto (omologia).
Prima di tirare le somme dell’operato di Brasida in Tracia, è giusto lasciare un’ultima volta la parola al Tucidide – storico, il quale riporta il punto di vista ateniese alla capitolazione di Anfipoli:
«Alla presa di Anfipoli gli Ateniesi ebbero un grande spavento, soprattutto in quanto la città serviva loro per l’invio del legname e dei tributi in denaro e perché i Lacedemoni avevano preso il passaggio diretto dagli alleati loro [degli Ateniesi], anche perché i Tessali li avevano fatti passare, fino allo Strimone. […] Gli Ateniesi allora temevano che gli alleati si ribellassero. Infatti, Brasida si mostrava moderato in ogni cosa e nei discorsi proclamava di essere stato inviato a liberare la Grecia. E le città, udita la notizia della presa di Anfipoli e quello che offriva loro Brasida, considerando soprattutto la sua mitezza ebbero tanto orgoglio da mutare i propositi e e di nascosto mandarono da lui dei messi per invitarlo ad andare da loro, volendo ciascuna ribellarsi per prima; fare ciò sembrava loro una cosa sicura, sbagliando nel giudicare la potenza di Atene, che non ritenevano tanto grande quanto si vide poi, e scegliendo secondo i loro incerti desideri piuttosto che secondo una sicura previsione. Infatti, gli uomini sono soliti affidarsi a una speranza sconsiderata e a respingere ciò che disprezzano con ragionamenti assoluti.» (Tucidide IV 108, 1-4).
Per Luisa Prandi (Prandi, 2013) a fronte di tutta la caratterizzazione tucididea Brasida risulta spartano in tutto, a parte l’attivismo e moralità/moderazione esposte nell’incipit, e soprattutto totalmente conforme agli obiettivi bellici di Sparta (soprattutto al manifesto del 431 a.C., propagandando la libertà greca e l’autonomia degli alleati da Atene, come abbiamo visto nei suoi discorsi).
Inoltre, si potrebbe affermare che il profilo del generale nell’opera dell’Ateniese risponde ad una “visione tracica” del personaggio, ossia viene riportato principalmente il punto di vista delle città liberate, con una razionalizzazione da parte dell’autore, atteggiamento che si trova proprio in quest’ultimo passo: Tucidide comprende che essendo uomini in guerra tra due fuochi abbiano seguito il fascino e la sicurezza che Brasida emanava nei suoi discorsi piuttosto che la razionalità, ossia prevedendo una riscossa ateniese. Tuttavia, lo stesso autore rimarrà deluso: Atene alla fine capitolerà nel 404 a.C., e Tucidide si ritirerà a vita privata dopo essere stato allontanato dai ranghi da Cleone nel 422 a.C., che assumerà il comando diretto. Cleone morirà sotto le mura di Anfipoli insieme al nostro protagonista: quella di Brasida verrà ricordata come una morte gloriosa, da vero spartano, nel resistere difendendo la posizione. Ed è proprio con Cleone, demagogo ateniese, che il generale spartano sarà associato dal commediografo Aristofane, in quegli anni.
2. I due guerrafondai: Cleone e Brasida in Aristofane
Coevo di Tucidide, il commediografo Aristofane commentò la tragedia attica nella Guerra del Peloponneso attraverso le sue commedie. In particolare, citò Brasida due volte, in due commedie diverse. La prima menzione ne Le vespe, proprio del 422 a.C., incentrata sui processi delle giurie popolari come la mistificazione del popolo stesso:
«Devo discutere con te, o nemico del popolo,
filo-monarchico e partigiano di Brasida,
che ti vesti con lana e ti fai crescere la barba?» (Aristofane, Vespe, 473-476).

Questo passo è un’accusa formulata dai colleghi del protagonista (il coro), un appassionato giudice popolare, verso il figlio dello stesso: l’accusa è di filo-laconismo, in quanto Sparta è una monarchia con doppia regalità e assemblee (Lupi, 2017), ma pur sempre una monarchia agli occhi ateniesi; si nota dal fatto che fosse «nemico del popolo e partigiano di Brasida» ma anche dallo stile, vesti di lana e barba lunga, tipicamente laconico.
Un esempio migliore di questo binomio Brasida-oligarchici ateniesi è ne La pace, del 422 a.C., anno che vide la morte di Cleone e del generale che porterà poi alla pace di Nicia, pace che mise fine alla fase archidamica, configurandosi effettivamente come una tregua. In questo clima di speranza di cessazione delle ostilità, Aristofane portò in scena questa commedia in cui un vignaiolo ateniese intraprende un viaggio olimpico per parlare con la Dea della Pace. A proposito di Brasida:
«E quando la massa dei contadini si raccolse dalla campagna qui in città
non si accorse di essere oggetto di simili intrallazzi
e, poiché era senza vinaccia ed andava pazza per i fichi secchi,
pendeva dalle labbra degli oratori. Costoro, pur sapendo bene
che i poveri erano stremati e senza farina
cacciarono via con grida biforcute la dea che,
Più volte, per amore di questa regione, si era fatta vedere di sua spontanea volontà
e scrollavano gli alleati potenti e ricchi
accusandoli di parteggiare per Brasida.» (Aristofane, La Pace, v. 632-640).
Emerge qui, la chiara opinione che si ha del peggior avversario in ambienti democratici ateniesi: Brasida rappresenta il modello oligarchico, essendo spartano, e l’accusa di partigianeria per lui è sinonimo di oligarca, dunque. E, stando al testo aristofaneo, l’accusa di spionaggio agli «alleati potenti e ricchi» si associa alla malafede degli oratori, ossia i demagoghi (Saldutti, 2015), di cui Cleone è il campione. Infatti, Aristofane si configura come il principale avversario sia dei demagoghi sia degli oligarchi in quanto guerrafondai, e si fa invece portatore di un manifesto di autentica volontà di pace e non di un pacifismo apparente, come vuole essere la pace di Nicia. Egli esprime una necessità che evidentemente è sentita da una cerchia moderata di abbienti/ intellettuali.
3. Una conclusione aperta
Comunque lo si voglia vedere, Brasida emerge soprattutto dalla fonte tucididea che rimane la testimonianza più completa e principale di un contemporaneo. Una conclusione può essere questa, cioè che la definizione del generale come “duplice” con cui si è iniziato questo articolo è molto efficace, per due motivi: Prima di tutto, Brasida è duplice perché in Tucidide c’è il generale spartano dedito al dovere e ai dettami del programma propagandistico di Sparta, ma c’è anche la furbizia e l’abilità diplomatica, doti che lo storico evidenzia oggettivamente (ed etichetta a livello moralistico come «inganno» verso le città prese), nonché una moderazione e onestà intellettuale che sembra ammirare e rispettare in quanto avversario; secondariamente, l’oggettività storica tucididea si scontra con lo spietato realismo aristofaneo: se Tucidide da un lato dà la responsabilità della defezione e disfatta di Anfipoli alla credulità degli abitanti, poco fiduciosi nella potenza sia pur problematica, di Atene, Aristofane fa capire che anche nel fronte interno c’era la fazione filo-spartana a fare il gioco di Brasida contro la demagogia, che inganna i contadini provati dall’economia di guerra con le orazioni, facendo emergere la spaccatura nel fronte interno ateniese, in maniera più netta di Tucidide; entrambe le fazioni estremiste vogliono la guerra fino alla vittoria, mentre c’è una parte moderata tra gli abbienti/intellettuali che sostiene la pace come condizione di prosperità ( ripresa dei raccolti e commerci).
Concludendo, si può dire che Brasida diventi un simbolo sia della disfatta ateniese sul piano militare e diplomatico (almeno della prima fase della guerra) sia della eroicità spartana, modello non condiviso in patria (Costanzo, 2020); viene anche associato gli oligarchi ateniesi, che di lì a dieci anni prenderanno il potere prima nel 411 a.C. e poi nel 404 a.C,. sia pur per poco. Il generale morirà ad Anfipoli ma il personaggio Brasida verrà reso eterno dall’opera tucididea, in quanto Plutarco e altri autori prenderanno a modello la descrizione qui esaminata, trasmettendola – con variazioni – alle generazioni future fino ai nostri libri di scuola. E questa continua variazione sul tema conferma la duplicità del personaggio.

Giulia Zinedine Fuschino – Scacchiere Storico
Giulia Zinedine Fuschino è laureata in Lettere classiche e successivamente in Archeologia presso l’Università di Napoli Federico II, discutendo due tesi in Storia Greca. È specializzata nello studio dei mitologemi e della propaganda in età classica, in particolare del regno macedone. I suoi interessi arrivano a comprendere le civiltà minoica e micenea e il dibattito archeologico-storiografico sulla questione.
Bibliografia
Bradford A.S. 1994, The duplicitous Spartan in A. Powell, S. Hodkinson (eds.) “The Shadow of Sparta, London-New York; Canfora L. 2016, Tucidide: la menzogna la colpa, l’esilio, Roma; Costanzo R.V. 2020, Brasida lo Spartiate, il Lacedemone, l’eroe-ecista, Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca’Foscari di Venezia http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/17891/817399-1182853.pdf?sequence=2 ; Daverio Rocchi G. 1985, Brasida nella tradizione storiografica: aspetti del rapporto tra ritratto letterario e figura storica, «ACME» 38, 63-81; Lupi M. 2017, Sparta. Storia e rappresentazioni di una città greca, Roma; Momigliano A. 1993, Pace e libertà nel mondo antico, Firenze; Prandi L. 1976, La liberazione della Grecia nella propaganda spartana durante la Guerra del Peloponneso, in “I canali della propaganda nel mondo antico” a cura di M. Sordi, Milano; Prandi L. 2013, Sintonia e distonia tra Brasida e Sparta, in “Contro le leggi immutabili” a cura di M.Sordi e F. Landucci; Saldutti V. 2015, Sul demagogo e la demagogia in età classica. Una sintesi critica,«Incidenza dell’Antico»14, 81-10.
Immagine di copertina: statua del cosiddetto “Guerriero morente”, forse il troiano Laomedonte, proveniente dal tempio di Afaia ad Egina, V secolo a.C. Antikensammlungen und Glyptothek, Monaco di Baviera (fonte: Wikimedia, licenza CC0)
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