di Michele Gatto
1. Da Gaio Ottavio ad Augusto
Il passaggio dalla Repubblica al Principato è il risultato di numerosi anni di guerre civili e dell’abile opera politica di Augusto, il quale introdusse un periodo di generale riappacificazione interna ed esterna, detto appunto Pax Augusta. Nonostante il personaggio Augusto non abbia bisogno di presentazioni, ripercorriamo brevemente le tappe che hanno condotto a questi esiti.

Alle idi di marzo del 44 a.C. una congiura senatoria portò all’uccisione del dittatore a vita Giulio Cesare: pochi giorni dopo, il suo luogotenente Marco Antonio ne lesse in pubblico il testamento che, con grande sorpresa, non solo indicava come principale erede il pronipote Gaio Ottavio, ma ne certificava l’adozione (Svetonio, Cesare, 83). Venutolo a sapere, Ottavio, che si trovava ad Apollonia in Illiria (attuale Albania), decise di recarsi a Roma per reclamare l’eredità ed adottò il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano; oltre ad ottenere l’appoggio di una parte dei sostenitori e dei veterani di Cesare, Ottaviano ricevette anche quello della fazione senatoria che vedeva Antonio come il principale avversario politico, il cui esponente più importante era Cicerone: questi, oltre a definirlo un ragazzo venuto dal cielo (Svetonio, Augusto, 94), pensava infatti di utilizzare Ottaviano per i suoi fini e per eliminare Antonio (Marcone, 2015). La spaccatura nel partito dei cesariani, divisi tra Ottaviano ed Antonio, divenne sempre più evidente: il primo, una volta riuscito ad allestire un esercito (Res Gestae, I, 1), grazie a Cicerone nel 43 a.C. ricevette dal Senato l’incarico di attaccare Antonio, dichiarato nemico pubblico, con l’appoggio delle legioni dei consoli Irzio e Pansa; Antonio nel frattempo si era diretto a Modena per eliminare il cesaricida Decimo Bruto e sottrargli il governo della Gallia Cisalpina. La guerra di Modena si concluse con la sconfitta di Antonio, mentre Ottaviano, seppur vincitore, fu considerato responsabile della morte dei due consoli in carica (Svetonio, Augusto, 11; Marcone, 2015); inoltre, inviò segnali distensivi al rivale, che anticipavano gli accordi futuri (Appiano, Guerre Civili, 80). Ottaviano, nonostante non avesse ancora vent’anni, dimostrò grande padronanza della situazione: capì che era più conveniente riavvicinarsi ad Antonio e puntò al consolato, ottenendolo con l’aiuto del suo esercito (Canfora, 2015). I tempi erano ormai maturi per sedersi attorno ad un tavolo: sempre nel 43, Ottaviano, Antonio e Lepido (il quale avrebbe dovuto svolgere un ruolo di mediazione) si incontrarono nei pressi di Bologna e costituirono un triumvirato che attribuiva loro poteri supremi per la durata di cinque anni, successivamente ratificato dalla lex Titia; dopodiché, emanarono delle liste di proscrizione, in modo da eliminare nemici e personaggi potenzialmente pericolosi, tra i quali Cicerone (Svetonio, Augusto, 27; Le Glay, Voisin, Le Bohec, 2016). Nel 42 a.C. Antonio ed Ottaviano si recarono con i loro eserciti in Grecia, a Filippi, per sconfiggere i cesaricidi Bruto e Cassio, ed in seguito alla loro eliminazione i due principali triumviri misero sempre più in atto una spartizione dei territori controllati da Roma mentre, al contrario, Lepido finì per essere accantonato; i rapporti tra Ottaviano e Antonio in ogni caso rimasero altalenanti, alternando veri e propri scontri (come la guerra di Perugia del 41-40 a.C.) a rinnovamenti dell’alleanza, anche attraverso legami matrimoniali. Se Ottaviano consolidò il suo potere in Occidente, eliminando inoltre la minaccia rappresentata da Sesto Pompeo grazie alla vittoria di Agrippa a Nauloco nel 36 a.C., Antonio invece rafforzò il suo potere in Oriente, stringendo un forte legame con la regina d’Egitto, Cleopatra VII (Marcone, 2015). Ottaviano sfruttò a suo vantaggio questo punto debole del rivale privandolo del consenso di cui godeva a Roma, sostenendo che fosse stato manipolato da una regina straniera di dubbia moralità (Wyke, 2009), ed usando come prova il testamento depositato da Antonio presso il tempio di Vesta (Plutarco, Antonio, 58; Marcone, 2015); Roma quindi dichiarò guerra all’Egitto. Lo scontro decisivo avvenne nel 31 a.C., con la battaglia navale di Azio, in Grecia: la vittoria di Agrippa avrebbe provocato l’anno seguente la morte di Antonio e Cleopatra e la conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano, diventato ormai l’unico padrone dell’impero. Nel 27 a.C., dopo aver restituito formalmente i suoi poteri al Senato con lo scopo dichiarato di restaurare la Repubblica, su proposta di L. Munazio Planco ricevette l’appellativo di Augusto, il quale non era solo onorifico ma ne indicava la posizione preminente all’interno dello Stato (Svetonio, Augusto, 7; Marcone, 2015). In questo modo venne decretato l’inizio del Principato e di una nuova epoca.
2. La rappresentazione della Pax
Con la fine delle guerre civili a Roma era dunque tornata la pace, ed Augusto sfruttò propagandisticamente questo successo, avvalendosi come sempre dell’aiuto di collaboratori capaci. Egli sarebbe diventato nell’immaginario collettivo il restitutore della pace e delle istituzioni repubblicane dopo le illegalità delle ultime fasi di vita della Repubblica, non solo grazie alle opere letterarie, ma anche alla sua iconografia, quindi ai ritratti ed alle opere edilizie realizzate.
Uno dei temi toccati dall’iconografia augustea è senza dubbio quello della restituzione della Repubblica. In questo senso esistono alcune monete la cui immagine al rovescio è particolarmente esplicativa: nel 28 a.C. Ottaviano fece coniare un aureo nel quale al diritto è raffigurata la sua testa volta a destra laureata e la legenda IMP. CAESAR DIVI F. COS. VI., mentre al rovescio è seduto volto a sinistra su una sedia curule in abiti civili, tenendo nella destra un rotolo, con uno scrigno ai suoi piedi e la legenda LEGES ET IVRA P. R. RESTITVIT. Se la legenda al diritto vuole sottolineare come Ottaviano fosse l’erede di Cesare divinizzato, il rovescio invece esprime la volontà di ripristinare le leggi che per secoli erano state alle fondamenta della Repubblica; si tratta inoltre di una moneta della quale si conoscono pochi esemplari, in quanto Ottaviano la fece ritirare in breve tempo dalla circolazione (Fullerton, 1985; Zanker, 2006; Botrè, 2011; Mantovani, 2008). Il tema della restaurazione repubblicana fu riproposto anche sull’arco di trionfo dedicato dal Senato nel 30 a.C. dopo la battaglia di Azio, e collocato nel foro (Cassio Dione, LI, 19, 1): questo arco si trovava nei pressi del tempio del divo Giulio, come ingresso orientale monumentale del foro; probabilmente era costituito da un fornice (De Maria, 1994) e recava l’iscrizione re publica conservata (Zanker, 2006; Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008; Hölscher, 2009). In sostanza, con la “rinascita” della Repubblica ritornava la concordia perduta con le guerre civili.

A questo punto tutto era pronto per l’inizio di una nuova epoca di pace per Roma, ed in questo senso furono adottati diversi simboli allo scopo di celebrarla, come ad esempio il capricorno. Secondo Svetonio, mentre Ottaviano si trovava ad Apollonia, consultò un astrologo di nome Teagene, il quale una volta lettogli l’oroscopo si inginocchiò, poiché in lui vide il futuro padrone del mondo, nato sotto il segno del capricorno (Svetonio, Augusto, 94): in realtà, se come è stato ipotizzato, Augusto nacque tra il 22 ed il 24 Settembre, è possibile che il suo segno fosse quello della bilancia col capricorno come ascendente, o che la luna in quel momento transitasse in quest’ultimo; in ogni caso il giorno di nascita di Augusto divenne una festività legata alla prosperità e forse fu fissata da lui stesso il 23 settembre, giorno della dedicazione del tempio di Apollo, divinità nella quale l’imperatore cercò di identificarsi già a partire dalle guerre civili (Zanker, 2006; Lewis, 2008). La figura del capricorno fu adottata fin da subito da Ottaviano e i suoi seguaci, ed è presente sul rovescio di diverse monete d’oro, d’argento e bronzo, in emissioni sia statali sia civiche, venendo inoltre utilizzata lungo tutto il periodo del Principato augusteo: essa infatti indicava l’arrivo provvidenziale di Augusto come salvatore e dominatore del mondo; il capricorno poteva essere raffigurato all’interno di una corona d’alloro (simbolo apollineo), caratterizzato da lunghe corna, zampe aperte e a volte dalla testa rivolta all’indietro, comunque sempre associato alla legenda AVGVSTVS, alla cornucopia (simbolo di prosperità), ed in alcuni casi al globo (Wallace-Hadrill, 1986; Zanker, 2006; Jellonek, 2018; BMC Emp. I, n. 344-348, n. 465-466; RPC I, n. 2205, 2208, 2211, 2213). Un esempio emblematico dell’importanza di questo simbolo ci arriva dalla fondazione della colonia di Augusta Praetoria, l’attuale Aosta, in seguito alla vittoria riportata sulla popolazione dei Salassi: la posizione della città avrebbe infatti delle corrispondenze astronomiche con la costellazione del capricorno, dei cui simboli sono state ritrovate tracce archeologiche; così come il capricorno coincideva col solstizio d’inverno e con l’inizio di un nuovo ciclo, alla stessa maniera Augusto aveva dato inizio ad una nuova epoca di pace (Bertarione, Magli, 2015). Tra le principali zecche a coniare l’effige del simbolo zodiacale ci furono quella di Efeso e probabilmente di Pergamo, in Asia Minore, collocandola sui loro cistofori (monete d’argento), i quali però recavano al rovescio anche altre raffigurazioni legate al rinnovamento augusteo, come le spighe di grano e la sfinge, entrambe associate alla legenda AVGVSTVS. Le sei spighe di grano erano un evidente simbolo di promessa di pace, prosperità ed abbondanza (Zanker, 2006; Jellonek, 2018; RPC I, n. 2206, 2209, 2212, 2214), mentre la sfinge era legata ad Apollo ed alla Sibilla, sua sacerdotessa: essa aveva profetizzato l’avvento di un regno del dio, quindi la sfinge in quanto animale oracolare indicava proprio l’inizio di una nuova era segnata dal dominio di Augusto, il suo favorito (Zanker, 2006; RPC I, n. 2204, 2207, 2210); inoltre, il princeps utilizzò l’immagine della sfinge anche come suo sigillo personale (Svetonio, Augusto, 50; Zanker, 2006), sebbene essa sia scomparsa in generale dopo breve tempo (Wallace-Hadrill, 1986). Sul rovescio di un’altra moneta d’argento invece venne raffigurata proprio la Pax, con un caduceus nella mano destra ed alle spalle un serpente che emerge da una cista mystica; al diritto, nella legenda, è contenuto lo slogan LIBERTATIS P R VINDEX, il quale evoca in un certo senso il testo delle Res Gestae (I, 1; RPC I, n. 2203).

Tracce della propaganda augustea relative al ritorno della pace possono essere individuate anche nel foro di Augusto, consacrato nel 2 a.C. La grande piazza incorniciata da portici era contraddistinta sul fondo da due grandi esedre, tra le quali era collocato il tempio di Marte Ultore (Vendicatore) descritto da Ovidio (Fasti, V, 551-568): la creazione di questo tempio portò ad una trasformazione delle funzioni di Marte stesso, il quale all’interno del pomerio non era più legato solamente alla guerra ma assumeva come Giove il ruolo di protettore della città e di guardiano della pace, oltre ad essere presentato nelle sue raffigurazioni sia come progenitore dei Romani sia come antenato della gens Iulia, con continui rimandi ad Augusto; il foro e, di conseguenza, il tempio, esprimevano perciò la natura del nuovo potere e del nuovo Stato, celebrando la pace ed il suo artefice (anche se indirettamente) attraverso numerosi simboli (Maggi, 2002; Zanker, 2006).
Esistono però due opere famosissime che più delle altre risultano emblematiche rispetto alla comunicazione e celebrazione dell’avvento di una nuova epoca. Una di esse è l’Augusto di Prima Porta, il cui nome deriva dal luogo del ritrovamento, presso la villa suburbana di Livia, moglie dell’imperatore: si tratta di una statua loricata, cioè dotata di corazza, raffigurante Augusto mentre impone il silenzio per arringare i soldati (adlocutio); il suo volto solenne ricorda in parte la descrizione fatta da Svetonio (Augusto, 79), ma tutta l’opera in generale è di matrice neoclassica, ispirata al modello del Doriforo di Policleto, col quale in un certo senso vengono fusi i connotati. L’aspetto più importante è però quello relativo alla ricca decorazione della corazza. Infatti, al centro di essa è raffigurato un generale romano accompagnato da un cane, mentre riceve dal re dei Parti Fraate IV le insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C.; sull’identificazione del generale sono state avanzate diverse ipotesi, che finiscono per coinvolgere anche la datazione dell’opera, fissata tra il 20 e l’8 a.C.: se la data fosse quest’ultima, come ipotizzato dall’archeologo Bianchi Bandinelli, il personaggio romano allora raffigurerebbe Tiberio (Boschung, 1994; Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008). La vittoria ottenuta da Augusto sui Parti, ampiamente celebrata, fu in effetti un successo diplomatico conseguente ad azioni intimidatorie che portarono Fraate IV a fare atto di sottomissione, restituendo insegne, prigionieri e offrendo ostaggi regali: in questo modo, Augusto (oltre a vendicare l’onore di Roma) dimostrò di essere un vincitore favorito dagli dei ed il garante della pace e della prosperità universale, grazie al quale ebbe inizio l’età dell’oro. La statua di Prima Porta raffigura l’imperatore sottolineandone la stirpe divina, e riportando sulla corazza elementi che rimandano al saeculum aureum, come la dea Terra e l’associazione delle figure di Apollo e Diana in basso, al carro del Sole ed alla Luna (coperta parzialmente da Aurora) in alto, il cui ciclo simboleggia l’eternità; inoltre, le sfingi sulle spalline indicano l’inizio di una nuova epoca, inaugurata dalla vittoria sui Parti e segnata dalla figura del princeps, in grado di tutelare la pace senza l’uso delle armi, attraverso l’armonia tra lo Stato e gli dei (Zanker, 2006).

La seconda opera, che possiede alcuni elementi di assonanza con la precedente, è l’Ara Pacis, la più importante rappresentazione celebrativa della Pax Augusta. La realizzazione del monumento, collocato nel Campo Marzio, fu votata dal Senato per festeggiare il ritorno di Augusto dalla Spagna e dalla Gallia, venendo inaugurato una volta terminato il 30 gennaio del 9 a.C.: è un altare dedicato alla pace costituito da un recinto rettangolare collocato su un podio basso, al quale si accede tramite una scalinata di nove gradini. Il recinto esterno è sostanzialmente diviso a metà in orizzontale da una fascia centrale, la quale distingue due diversi tipi di decorazione: nella parte inferiore sono raffigurati dei girali di acanto, dei tralci ornamentali che si sviluppano in modo da dare vita ad una vegetazione rigogliosa ma ordinata (Zanker, 2006; Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008); nella parte superiore, anteriormente sono raffigurati a sinistra la lupa che allatta i gemelli alla presenza di Marte, e a destra Enea che insieme al figlio compie un sacrificio ai Penati. Posteriormente, sulla destra, Roma è seduta su una catasta di armi, mentre sulla sinistra, vi è la Saturnia Tellus o la Pax (Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008); sui due lati lunghi sono rappresentate una processione di sacerdoti, ed una con la famiglia imperiale guidata da Augusto, celebrativa del suo reditus (ritorno), ma al di là della corrispondenza cronologica tra quest’ultimo e i personaggi raffigurati, lo scopo era commemorare il ritorno dell’imperatore, la cui presenza garantiva stabilità dello Stato, della pace, di ricchezza e grandezza (La Rocca, 1994). Il rilievo della Tellus è soggetto a varie interpretazioni. Secondo un’ipotesi rappresenterebbe la Pax che fa prosperare l’Italia, vista la natura e la ricchezza degli elementi di flora e fauna accanto ad essa (le primizie, le spighe, vari animali, un corso d’acqua, due ninfe e due neonati ecc.), e come suggerirebbe anche la vicinanza alla personificazione di Roma: il significato del messaggio era che grazie alle armi, Roma aveva ristabilito la virtus, garantendo così la pace e la prosperità. Perciò, in questo monumento i valori e la storia di Roma sono concentrati all’interno della figura di Augusto, discendente di Enea e trionfatore, la cui vittoria aveva permesso la rifioritura della Saturnia Tellus e quindi di Roma stessa (Zanker, 2006; Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008; Lamp, 2009).

Augusto ha quindi saputo comunicare attraverso la sua iconografia la svolta provocata nella storia di Roma, presentandosi abilmente come l’artefice dell’inaugurazione di un’età di pace e della tutela delle tradizioni romane. Le sue raffigurazioni artistiche avevano perciò anche lo scopo di rendere visibile e concreto quanto evocato dalle poesie di Virgilio, ad esempio, o dal Carmen saeculare di Orazio (Zanker, 2006; Canfora, 2015).

Michele Gatto – Scacchiere Storico
Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in numismatica antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.
Bibliografia
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