di Federica Fornasiero
«Il controllo delle opinioni religiose nella storia europea
mostra come la società cristiana sia stata per molti secoli
intollerante con le minoranze etnico-religiose
e crudele con i dissidenti più deboli»
(Del Col, 2006)
- Introduzione
Tempo fa ho scritto un articolo – pubblicato sul nostro sito – riguardante le eresie e gli eretici medievali (Questione di punti di vista: eresie ed eretici medievali, Fornasiero, 2021) e ho concluso promettendo un nuovo pezzo che potesse trattare il punto di vista inverso, quello degli inquisitori. Ed ecco che è giunto il momento di mantenere la parola data.
Gli inquisitori agivano nel rispetto dell’ortodossia religiosa e in difesa dei valori e degli insegnamenti della Chiesa e delle scritture. L’uso della violenza, dell’intimidazione – anche psicologica – e del serrato controllo dottrinale sono aspetti che non possono essere sottovalutati e che furono reputati necessari per evitare che le ideologie eterodosse prendessero il sopravvento. Si doveva inoltre difendere il primato ecclesiastico nella predicazione e nella divulgazione del verbo divino: l’approccio alle scritture, la loro interpretazione, comprensione e diffusione non poteva essere delegato, ed era un diritto e un dovere del solo clero (Merlo, 2018). Il fine dell’azione inquisitoriale era ricondurre l’eretico nell’alveo dell’ortodossia attraverso il processo e la predicazione (Merlo, 2008; Benedetti, 2011). Per comprendere pertanto quale fosse il punto di vista della Chiesa e degli inquisitori vorrei citare Andrea Del Col, che nel suo volume Inquisizione in Italia spiega: «non si può ragionevolmente mettere in dubbio la buona fede degli inquisitori, né il loro amore per Dio, e uno storico professionale rispetta la convinzione che avevano inquisitori, vescovi, cardinali e papi di agire per il bene della cristianità e per la preservazione degli insegnamenti di Gesù Cristo» (Del Col, 2006).
Va poi chiarito cosa si intenda per “inquisizione”: deriva dalla parola latina inquisitio, ricerca, indagine, esame, da cui poi “inchiesta giudiziaria”, un’arma giuridico-repressiva utilizzata dalle diverse istituzioni laiche ed ecclesiastiche nel tempo. Per quanto riguarda l’ente clericale conosciuto genericamente come “Inquisizione”, possiamo individuare due aree geografiche principali e due momenti di attività fino al XX secolo: l’Inquisizione romana e spagnola; quella vescovile e pontificia (Benedetti, 2021; Cardini, 1999; Del Col, 2006). Infatti, «la preservazione della verità cristiana contro ogni deviazione si è molto trasformata nei secoli: scomuniche ed esili in età patristica e nell’alto medioevo; controllo giudiziario delle credenze, costrizione con la forza e condanne a morte nel basso medioevo e nell’età moderna. Nei secoli dopo il Mille furono prima i vescovi ad agire nelle proprie diocesi e quindi gli inquisitori in sedi sparse, secondo le necessità; in epoca moderna furono creati tre più efficienti organismi centralizzati in Spagna, Portogallo e Italia. Dall’Ottocento in poi agì unicamente la Congregazione del Sant’Uffizio, senza emettere più sentenze capitali e oggi la fede cattolica è sostenuta e controllata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede» (Del Col, 2006; Romeo, 2002).
Come già sottolineò Franco Cardini, vi è un problema legato alla storia dell’Inquisizione e degli inquisitori: non sempre l’immaginario comune o mediatico restituisce una rappresentazione scevra di preconcetti (Cardini, 1999; Benedetti, 2021, Del Col, 2006). Vediamo dunque insieme cosa si intende per Inquisizione, chi furono gli inquisitori e come veniva condotto un processo inquisitorio.
- Luoghi comuni e falsi miti
«L’inizio fu policentrico. Potrebbe stupire, ma alle origini dell’inquisizione medievale non c’è un’organizzazione come oggi – erroneamente – immaginiamo: non c’è un “tribunale inquisitoriale” inteso come sede stabile e edificio normativo. Non è l’unico luogo comune consolidato e fuorviante sull’officium fidei (…). Una terminologia desueta ci fa comprendere come l’avvicinamento (…) al passato imponga di fare attenzione alle differenze, anche rispetto al Sant’Uffizio di età moderna» (Benedetti, 2021)
L’Inquisizione nacque nel Medioevo come risposta al dilagare delle eresie, dal greco hairesis, scelta (Benedetti, 2017; Benedetti, 2021). Una scelta, un approccio, un’idea che portò allo scontro – fin dagli albori del cristianesimo – con la visione ortodossa, ufficializzata a partire dal IV secolo durante i concili vescovili, e sancita perentoriamente dall’editto di Teodosio, che nel 380 dichiarò il cristianesimo religione di stato (Cardini, 1999). Se nella pars orientale era l’imperatore a difendere, garantire e ad occuparsi di fede e di eresia, nella Pars occidentale – mancando ormai un’istituzione simile – furono inizialmente i vescovi a controllare che l’ortodossia venisse rispettata, anche in collaborazione con le istituzioni laiche (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Laurent, 1999). Tale verifica si trasformò nel tempo e in base al contesto.
Si deve inoltre sfatare un mito: non tutti i processi per eresia sortirono in sentenze capitali. Non sono tra l’altro rare le sentenze di annullamento (un caso esemplare potrebbe essere quello di Amedeo Landi) (Benedetti, Danelli, 2021) e non si può certo ignorare che, talvolta, gli eretici furono assolti – a patto di abiurare le proprie convinzioni e di non ricadere nell’errore – e fu loro permesso di reinserirsi nella comunità. È vero anche che, qualora si fosse riusciti a scampare al rogo, si sarebbe dovuto pagare in qualche modo l’errore commesso. Si doveva pertanto fare ammenda e si poteva incorrere in pene diverse, come per esempio quelle pecuniarie, l’esilio, la prigione, la confisca dei beni o la privazione dei diritti civili, oppure l’essere immediatamente identificabili e ben riconoscibili da chiunque (per esempio, le croci gialle sui vestiti) (Cardini, 1999; Benedetti, 2021; Del Col, 2006; Merlo, 2008; Parmeggiani, 2003). Vi furono persino casi di eretici poi divenuti parte del clero, come ad esempio Daniele da Giussano, ex eretico, che nel 1252 divenne frate dell’Ordine dei Predicatori e inquisitore (Benedetti, 2011; Benedetti, Danelli, 2021; Benedetti, 2021; Cardini, 1999).
Per quanto riguarda le sentenze di morte, fu Innocenzo III – con la decretale Vergentis in senium del 1199 – ad assimilare l’eresia all’alto tradimento e al crimine di lesa maestà, non solo nei confronti di un’istituzione terrena, la Chiesa, ma anche e soprattutto verso il divino. La pena contemplata dal diritto romano per questo tipo di reato era il rogo (Benedetti, 2021; Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005). Non si deve inoltre dimenticare che «tutte le sentenze dell’Inquisizione, comprese quelle capitali, erano emesse in nome di Gesù Cristo, secondo il formulario usuale, che all’inizio diceva: “In Christi nomine amen…”» (Del Col, 2006).

Abbiamo detto “inizio policentrico”, ma che cosa significa? Ebbene, l’Inquisitio Hereticae Pravitatis (Inquisizione della perversione eretica) fu un officium – diverso dal più tardo Sant’Uffizio di Età Moderna – formalmente istituito da papa Gregorio IX nel 1233. Siamo quindi nella fase in cui il papato iniziò a razionalizzare e a organizzare il precedente intervento vescovile e clericale nelle controversie religiose, imponendosi come baluardo legislativo e direttivo (Benedetti, 2021; Cardini, 1999; Merlo, 2008). Tuttavia, non sappiamo specificatamente quando e dove nacque l’Inquisizione o quando si ebbe piena coscienza di un’istituzione punitivo-coercitiva. Inizialmente, infatti, non vi era un sistema repressivo organizzato dall’alto, o almeno non ne sappiamo nulla a causa anche della penuria documentaria e dalla mancanza di un archivio vero e proprio di giudici e di inquisitori. Le parole chiave? Frammentarietà, rarità, disordine, dislocazione documentaria e trasmissione policentrica della memoria. A differenza del Sant’Uffizio in Età Moderna, infatti, per il Medioevo non abbiamo un archivio inquisitoriale centralizzato. Ci rimane qualche esemplare dei cosiddetti “libri inquisitoriali”, delle generiche summae che comprendevano manuali, trattati, lettere, statuti, sentenze e processi, formulari, privilegi, liste d’accusa, manoscritti redatti da notai, eretici, giuristi, nonché testi di diritto e documenti giudiziari. Queste raccolte miscellanee sono delle vere e proprie biblioteche personali, che rispecchiano un intento prevalentemente pratico, quotidiano e un sapere specifico, specializzato. Per questo motivo venivano costantemente aggiornate e arricchite, e infine venivano ereditate da un successore, che ne assicurava la continuità e l’efficacia (Benedetti, 2021).
Ritornando all’“inizio policentrico”, durante il primo periodo “vescovile”, la lotta all’eresia venne regolata tanto dal pontefice, quanto dall’imperatore, che indirizzavano disposizioni normative sia ai vescovi e al clero, sia alle istituzioni laiche e alle autorità politiche. Queste linee guida non erano univoche, ma si adattavano ai diversi contesti alle quali venivano inviate. Gli inquisitori stessi – per esempio, il celeberrimo Bernard Gui – non erano a questa altezza cronologica consapevoli di un “inizio” dell’azione repressiva, ma agivano – qualora delegati – in nome e per conto delle istituzioni che volevano reprimere l’anticonformismo sociopolitico e religioso. Ciò non toglie che prendessero il proprio lavoro seriamente: la ricerca, la repressione e il controllo delle eresie erano un fatto estremamente grave e importante, lungi dall’essere sottovalutato o ignorato. Inoltre, durante questa prima fase, questi personaggi non vennero definiti (e non sapevano di doversi definire) inquisitores, proprio perché un’Inquisizione, un ente vero e proprio, non era ancora stata istituita. Si dovrà infatti aspettare il 1229, quando Gregorio IX emanò Excommunicamus et anathematizamus, nella quale per la prima volta gli incaricati della repressione antiereticale vennero appunto chiamati e riconosciuti come inquisitores dati ab Ecclesia (Benedetti, 2021).
- Le principali tappe legislativo-repressive
Gregorio IX istituì formalmente l’Inquisizione nel 1233. Tuttavia, alcuni storici sosterrebbero che l’inizio di un vero e proprio percorso inquisitoriale si debba invece a Lucio III, che con la decretale Ad abolendam (diversarum heresium pravitatem) del 1184 sancirebbe ufficialmente un istituto dedicato all’estirpazione della pravità eretica. Sebbene il pontefice abbia sicuramente creato un precedente teorico – con pesanti risvolti pratici – alla successiva normativa inquisitoriale, la decretale non istituirebbe però un vero e proprio ente centralizzato, i cui membri furono nominati dalla Santa Sede. Tuttavia, il documento rimane estremamente importante, anche perché fornisce un elenco degli eretici; erano considerati tali, alla fine del XII secolo, Catari, Patarini, Umilianti, Valdesi, Passagini, Giosefini, Arnaldisti (Benedetti, 2021; Del Col, 2006; Parmeggiani, 2003).
Così come Ad abolendam, anche la decretale Vergentis in senium di Innocenzo III (1199) è sicuramente un presupposto alla successiva formalizzazione di un ente preposto alla difesa della fede, poiché assimilò l’eresia al crimine di lesa maestà (Benedetti, 2021; Del Col, 2006). Oltretutto, fu sempre Innocenzo III a sviluppare il modello del sistema inquisitoriale (successivamente adottato anche in ambito laico) con lo scopo di migliorare il disciplinamento del clero e di contrastare l’eterodossia religiosa. Il pontefice – sotto il cui papato venne data una nuova importanza e un’inedita spinta agli studi giuridici, avviandone la codificazione – mise a punto l’inedita procedura giuridico-politica con una serie di decretali «nate come provvedimenti specifici su singoli casi giudiziari» (Vallerani, 2005). Le caratteristiche salienti di questo tipo di procedimento furono «la necessità di un clamor iniziale, la fama come agente “denunciante”, la distinzione tra un momento di verifica generale del fatto e uno particolare del colpevole, la ricerca della veritas come scopo finale del processo, la discrezione e la segretezza degli atti, la verifica dei capi d’accusa indipendentemente dalla volontà dell’accusato (vale a dire la ricerca di testimoni affidabili non manipolabili dalle parti)» (Vallerani, 2005) e infine la sicurezza di una pena commisurata al danno creato e al reato commesso (Carraway-Vitiello, 2016; Vallerani, 2005; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006; Parmeggiani, 2003).
Come abbiamo anticipato fu quindi Gregorio IX a sistematizzare il controllo e la repressione delle eterodossie con una serie di disposizioni e di lettere papali. In questo periodo, gli Ordini Mendicanti (i Minori, i francescani, e soprattutto i Predicatori, i domenicani) assunsero un ruolo di spicco nella lotta antiereticale e nella predicazione, divenendo infine riconosciuti come miles Christi. La corrispondenza papale testimonia come il pontefice esortasse il clero, in collaborazione con le istituzioni laiche, alla ricerca degli eretici, invitandolo «ad accoglierli [i Predicatori] benignamente e a sostenerli nel compito di estirpare l’eresia (…). Queste lettere indicano le direzioni della repressione» (Benedetti, 2021; Del Col, 2006). Infatti, queste disposizioni ebbero un preciso intento religioso e politico e vennero redatte con un linguaggio che ricorda quello militare, scritturale di Paolo di Tarso, soprattutto nella lettera agli Efesini (Benedetti, 2021; Del Col, 2006).
Sappiamo inoltre che dal 1254, Innocenzo IV con la Licet ex omnibus coinvolse direttamente e ufficialmente i frati Minori nella lotta antiereticale al fianco dei Predicatori, ormai esperti in campo repressivo. Si suddivise la penisola tra i due Ordini Mendicanti, che a questo punto condivisero scopi e azioni: l’Italia Centrosettentrionale, quella che al tempo era conosciuta come Lombardia e che arrivava anche a Genova, Bologna e alla Toscana, venne affidata al controllo dei frati Predicatori. Invece, il resto dell’Italia, in particolar modo la Marca Trevisana, la Romagna, la Marca d’Ancona, vennero assegnate ai Minori (Benedetti, 2021; Del Col, 2006; Laurent, 1999).

- Dalla fase vescovile alla fase papale
I primi accenni di repressione antiereticale organizzata dal clero locale, dai vescovi e dalle autorità pubbliche si ebbero tra il IV e il XII secolo. Tuttavia, importanti furono gli interventi repressivi tra il XI e il XII secolo, quando da una parte si scoprì la diffusione del manicheismo in ambito clericale, dall’altra si svilupparono, soprattutto nel Midi francese e in Lombardia, le eterodossie catara e patarina. Stiamo parlando di movimenti filosofico-religiosi, che propugnavano uno stile di vita alternativo a quello del clero – spesso accusato di simonia (vendita delle cariche ecclesiastiche) e nicolaismo (rifiuto del celibato) – maggiormente spirituale, ascetico, austero, frugale e “puro” (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006; Laurent, 1999).
Le eresie iniziarono a svilupparsi in un clima di contestazione sociale a partire dall’anno Mille. Si iniziò pertanto a proporre una visione religiosa alternativa, nata dalla necessità di riformare, criticare e partecipare a un credo ritenuto ormai corrotto e vizioso, che pareva aver smesso di aderire agli iniziali insegnamenti evangelici e di soddisfare le esigenze dei fedeli. I Patarini, per esempio, che si diffusero soprattutto nell’Italia Settentrionale durante il XI secolo (Milano, Verona, Piacenza, Firenze), auspicavano un ritorno agli insegnamenti pauperistico-comunitari e alle virtù morali del Vangelo, rifiutandosi di riconoscere l’autorità – e conseguentemente i sacramenti amministrati – del clero ritenuto indegno (Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006; Laurent, 1999). I Catari, invece, riprendendo il dualismo manicheo tra Bene e Male, proponevano un radicale allontanamento dai valori materiali, futili, terreni, abbracciando invece uno stile di vita rigoroso, puro, spirituale, “perfetto” (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006). Le autorità politiche e religiose ovviamente, non avrebbero potuto permettere che simili idee – di palese e aperta ribellione all’autorità e al credo stesso – si diffondessero tra la popolazione e iniziarono a reagire reprimendo e aumentando l’azione predicativa. Ecco su cosa si fondava il punto di vista “inquisitoriale”. Tuttavia, il controllo, l’intimidazione, la caccia e la repressione – anche estremamente violenta – delle eterodossie non seguì, durante questa prima fase, una direttrice univoca e centralizzata, ma si adattò al contesto e alle esigenze del momento e coinvolse tanto le autorità ecclesiastiche, quanto quelle laiche (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Laurent, 1999).
Gli anni tra il 1229 e 1233 segnarono una svolta nella lotta antiereticale. Gregorio IX infatti avviò la «sistematica repressione dell’eresia, avocandone la guida alla Santa Sede» (Cardini, 1999). Oltre all’istituzione dell’Inquisitio Hereticae Pravitatis, vennero stilati gli Statuti della Santa Sede, che disposero «la confisca dei beni degli eretici, la demolizione delle loro case (come si faceva per i ribelli politici), una forte ammenda – che, se non pagata, comportava il bando d’esilio – per qualunque favoreggiatore» (Cardini, 1999; Parmeggiani, 2003). Inoltre, venne ribadita, se non aumentata, l’importanza dei frati Predicatori nella lotta all’eresia, nella riforma della Chiesa e nella predicazione, un’attività parallela e complementare a quella punitiva. Perché coinvolgere gli Ordini Mendicanti? Il clero e i vescovi mantenevano dei legami con la popolazione delle diocesi di afferenza; era pertanto possibile che la lotta antiereticale e il controllo dell’ortodossia venissero in questo modo influenzate dal rapporto con i fedeli. Il pontefice riteneva quindi che l’azione di un ordine esterno potesse rivelarsi maggiormente affidabile, evitando non solo connivenze, favoritismi e corruzione, ma anche vendette ed esagerazioni repressive. Tuttavia, il malumore dei vescovi non tardò a palesarsi: spesso, il clero locale lamentava gli eccessi, la durezza e lo sproporzionato zelo dei Predicatori, che non conoscevano il contesto in cui agivano. Il papa quindi si rivolse anche alle autorità laiche, incaricate esclusivamente di espletare le condanne, che avrebbero così potuto arginare il pericolo sociale eterodosso e arricchirsi con le confische (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005).
A partire quindi da Gregorio IX, l’Inquisizione papale si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006).
- La manualistica, il processo e la tortura
«Il fine dell’Inquisizione consiste nella distruzione dell’eresia. Ma l’eresia non si può annientare se non distruggendo gli eretici; gli eretici non si possono sopprimere senza sopprimere con essi i difensori e fautori dell’eresia e ciò può avverarsi in due modi: con la loro conversione alla vera fede cattolica, oppure quando, abbandonati al braccio secolare, vengono corporalmente bruciati» (Del Col, 2006)
Come abbiamo anticipato, gli inquisitori sapevano abbandonarsi ad abusi ed eccessi e, per evitare che questo accadesse, la Chiesa si vide costretta a regolare il loro intervento. Inoltre, come spiega Giovanni Grado Merlo, dal XIII al XIV secolo non fu un caso che «la documentazione di origine inquisitoriale divenga di dimensioni notevoli: a testimoniare tanto l’intensificarsi, quanto il perfezionarsi dell’attività inquisitoriale. Con ciò non si intende affermare che il pericolo ereticale oggettivamente si ingrandisse e costituisse una minaccia insopportabile per le gerarchie ecclesiastiche. Piuttosto, gli inquisitori affinano e regolano i propri comportamenti in rapporto proporzionalmente inverso a una precisa caduta di credibilità del vertice ecclesiastico» (Merlo, 2008).
Durante il XIII secolo, vennero emanate delle bulle pontificie al fine di organizzare i tribunali inquisitoriali. Gli inquisitori, inoltre, iniziarono a redigere dei veri e propri manuali procedurali e a raccogliere le decretali maggiormente significative, in modo da poter trasmettere le proprie competenze, la dottrina, e le direttive della Santa Sede, nonché aiutare i colleghi nell’espletare al meglio la propria funzione. Queste fonti sono preziosissime, poiché ci rendono sia il punto di vista e la formazione degli ecclesiastici coinvolti nell’attività di ricerca e di repressione delle eresie, sia gli aspetti giuridico-procedurali e i formulari. Una delle più importanti raccolte di decretali fu quella composta nel 1230 dal domenicano Raimondo di Peñafort per volere dello stesso Gregorio IX (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006, Merlo, 2008; Parmeggiani, 2003). Segue, tra il 1320-1330, il più celebre modello di manualistica, che rimase il fondamento per le compilazioni successive: la Pratica inquisitionis hereticae pravitatis, stilata da Bernard Gui. Stiamo parlando di un trattato riconosciuto come il «primo esempio della sistemazione procedurale di tale società [quella del XIV secolo] e sotto certi aspetti il più rigoroso» (Cardini, 1999) e di uno strumento atto a scovare attività sovversive. È inoltre dedicato all’uso degli inquisitori, che vengono guidati nella ricerca della pravità eretica (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Merlo, 2008). Insomma, più dilagavano le eresie, più la Chiesa si organizzava per rispondere, correggere, reprimere, arginare, contrattaccare, predicare: non si poteva in alcun modo lasciare che “il demonio”, la superstizione, la ribellione prendessero il controllo della società.
La Pratica rimase fondamentale anche perché delineava la procedura che il tribunale inquisitoriale avrebbe dovuto seguire. Il trattato infatti consta di cinque parti. La prima è dedicata alle formule di citazione, all’arresto dei sospettati e alla comparizione dei possibili testimoni; la seconda riguarda gli atti di grazia e la commutazione delle pene; la terza, invece, esplicita le formule relative alle sentenze; a seguire, la quarta rivela quali siano i poteri e le prerogative degli inquisitori e il loro esercizio; infine, la quinta è interamente riservata alle dottrine e alle ritualità catare (che imperversavano nel Midi francese, principale raggio d’azione dell’autore), ma anche di Valdesi, pseudoapostolici e beghini. Quest’ultima sezione è la più importante anche perché riporta esempi concreti di interrogatori e di considerazioni sull’eterodossia. Possiamo inoltre trovare accenno agli ebrei convertiti, ma sospettati di continuare a seguire la propria fede, ad incantesimi, fatture, magie, invocazioni demoniache, e agli indovini (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Merlo, 2008). «Va notato che l’uso posteriore di trattati come quello del Gui ebbe un risultato inatteso da parte degli inquisitori: contribuì a vario livello a diffondere in aree differenti da quelle originali credenze che gli inquisitori segnalavano come proprie e tipiche di certe regioni, ma che gli utilizzatori dei loro manuali finivano con il ricercare e col perseguire anche in altre» (Cardini, 1999). In questo modo, gli inquisitori e i predicatori finivano con il diffondere involontariamente delle nuove credenze, influenzando ciò che cercavano di arginare in partenza.

Come abbiamo detto, il processo inquisitorio si sviluppò tra il XII-XIII e consisteva in un’indagine del giudice, che doveva raccogliere le prove della colpevolezza dell’imputato a seguito di una denuncia. I giudici avevano ampi poteri discrezionali, il processo rimaneva segreto, veniva trascritto nella sua interezza e la parte lesa, in questo preciso caso, era la cristianità o Dio stesso. Il sistema probatorio si fondava sia sulle testimonianze ricevute in tribunale, sia sulla confessione dell’indiziato; qualora le dichiarazioni fossero state incerte, poco chiare o non esaustive era lecito sottoporre l’incriminato – o talvolta anche i testimoni – a tortura per confermare la veridicità delle affermazioni. Si pensava infatti che la tortura potesse portare alla verità e a riflettere sulla propria condizione; rimaneva tuttavia un rimedio estremo, utilizzato nel caso in cui l’imputato si rifiutasse di confessare i reati ascrittegli (nonostante non fossero stati ancora confermati da sentenza), le dichiarazioni risultassero fumose, vi fosse un rifiuto di rinnegare l’eterodossia, oppure come strumento di correzione forzata e nel caso di imputati relapsi, e comunque dopo aver già tentato di estorcere una confessione facendo ricorso ad altri metodi, quali, per esempio, l’incarcerazione. La tortura, inoltre, si configurava essa stessa come strumento probatorio regolamentato: nonostante non si escludesse l’uso di altre forme di supplizio, quello maggiormente impiegato era la corda. L’indiziato veniva quindi spogliato, gli venivano legate le mani dietro la schiena e veniva sollevato con una corda, appunto, per non più di mezzora. Qualora il torturato non avesse ammesso alcun crimine, allora sarebbe stato libero da sospetti gravi; invece, se il supplizio avesse portato a una confessione, l’imputato avrebbe dovuto confermarla entro un giorno (Del Col, 2006; Merlo, 2008; Parmeggiani, 2003, Cardini, 1999).
La macchina inquisitoriale si innescava quindi con la notizia o il sospetto di attività eretica. Si passava quindi alle citazioni dei presunti colpevoli e degli eventuali testimoni, che dovevano giurare in presenza del tribunale per poter essere sottoposti al vaglio dello stesso. Venivano quindi incalzati per poter ottenere una spontanea – per quanto la si possa così definire – confessione. Era possibile uscirne assolti: «da un lato, c’è un’assoluzione che diremmo canonistico-giudiziaria; dall’altro, un’assoluzione che diremmo sacramentale» (Merlo, 2008; Del Col, 2006). Si dava perciò l’opportunità ai “malcapitati” di essere reintegrati nella Chiesa e quindi nella società. Tuttavia, non si deve dimenticare che l’eresia venne associata anche al crimine di lesa maestà. «L’eretico non ha diritto di partecipare alla vita così religioso-sacramentale, come sociopolitica. L’inquisitore ha il diritto di sanzionare tale esclusione o di annullarla, nel caso in cui l’eretico si riconosca tale e rinneghi il proprio passato (…). La tendenza alla sempre più complessa e sottile formalizzazione degli atti inquisitoriali ne sembrerebbe una delle espressioni e conseguenze più evidenti» (Merlo, 2008). Qualora la sentenza del tribunale inquisitoriale avesse previsto la condanna a morte, ovvero qualora l’eresia non fosse stata ricondotta nel seno dell’ortodossia, il colpevole sarebbe stato affidato al braccio secolare, poiché formalmente il clero non avrebbe dovuto spargere sangue, determinando così un sodalizio tra istituzioni ecclesiastiche (che emanavano le sentenze) e istituzioni pubbliche laiche (che le portavano a termine) (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005; Del Col, 2006; Merlo, 2008; Benedetti, 2011).
- Conclusione
Si è cercato in questo breve articolo di riassumere quantomeno le principali caratteristiche dell’Inquisizione e degli inquisitori medievali. Ovviamente, l’attività antiereticale non è ascrivibile solo ed esclusivamente a questo periodo storico, ma continuò a palesarsi, svilupparsi e irrigidirsi nei secoli successivi e soprattutto nell’Età Moderna. Il XV secolo vide la nascita di quella che è conosciuta come la famigerata Inquisizione Spagnola (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005). Anche l’Inquisitio Hereticae Pravitatis ufficializzata da Gregorio IX nel XIII secolo iniziò a cambiare, soprattutto in concomitanza con la Riforma Protestante e la Controriforma. Si deve infatti a papa Paolo III l’istituzione della Congregazione della Romana e Universale Inquisizione – conosciuta come Sant’Uffizio – nel 1542, poco prima quindi del Concilio di Trento (Cardini, 1999; Cardini, Montesano, 2005). Ma questa è tutta un’altra “storia”!

Federica Fornasiero – Scacchiere Storico
Federica Fornasiero è medievista di formazione, laureata in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano e diplomata alla scuola APD dell’Archivio di Stato di Milano. Ad ora è dottoranda presso l’Università degli Studi di Bergamo, con un progetto sull’emigrazione italiana nel XIX secolo. I suoi interessi principali sono la storia sociale, economica e di genere, ma non disdegna anche la storia delle chiese e delle eresie medievali.
Bibliografia
Benedetti M., Condannate al silenzio. Le eretiche medievali, collana Accademia del silenzio, n. 32, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2017; Benedetti M., Inquisitori del Duecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2011; Benedetti M., Medioevo inquisitoriale. Manoscritti, protagonisti, paradossi, Salerno Editrice, Roma 2021; Benedetti M., Danelli T., Contro frate Bernardino da Siena. Processi al maestro Amedeo Landi (Milano 1437-1447), Milano University Press, Milano 2021; Cardini F., L’inquisizione, Giunti, Firenze 1999; Cardini F., Montesano M., La lunga storia dell’inquisizione. Luci e ombre della “leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005; Carraway Vitiello J., Public Justice and the criminal trial in late Medieval Italy. Reggio Emilia in the Visconti era, Medieval law and its practice, Vol. 20, Brill Leiden, Boston 2016; Del Col A., L’inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Mondadori, Milano 2006; Fornasiero F., Questione di punti di vista: eretici ed eresie medievali, in Rivista online di ricerca e divulgazione di Scacchiere Storico, 4 ottobre 2021, all’url https://scacchierestorico.com/2021/10/04/questione-di-punti-di-vista-eresie-ed-eretici-medievali (consultato il 20/07/2022); Laurent A., L’inquisizione baluardo della fede?, Universale Electa/Gallimard, Torino 1999; Merlo G. G., Il cristianesimo medievale in Occidente, Editori Laterza, Roma – Bari 2018; Merlo G. G.¸ Inquisitori e inquisizione del Medioevo, Mulino, Bologna 2008; Parmeggiani R., La manualistica inquisitoriale (1230-1330): alcuni percorsi di lettura, in «I Quaderni Del M.æ.S. – Journal of Mediæ Ætatis Sodalicium», 6/2003, pp. 7-25, all’url https://maes.unibo.it/article/view/8042/7752 (consultato il 24/07/2022); Romeo G., L’inquisizione nell’Età Moderna, Laterza, Roma-Bari 2002; Vallerani M., Giustizia pubblica medievale, Il Mulino, Bologna 2005.
Immagine di copertina: Auto de Fe en la plaza Mayor de Madrid, di F. Rizi, 1683. Museo del Prado, Madrid (fonte: Wikipedia, licenza CC0)
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