CILONE DEVE MORIRE: L’AFFAIRE CILONIANO TRA STORIOGRAFIA E PROPAGANDA

L'acropoli e l'areopago di Atene

di Giulia Zinedine Fuschino

«[I Lacedemoni] Inviarono ambasciatori ad Atene per rivolgere loro delle accuse affinché  avessero  il miglior pretesto di far guerra nel caso gli Ateniesi non li avessero ascoltati. […] Intimarono agli Ateniesi di purificare il sacrilegio commesso contro la dea. Il sacrilegio era il seguente.»

(Tucidide, La Guerra del Peloponneso I, 126)

  1. Introduzione

Si tende a datare quello che Tucidide sta per esporre come agos (lett. colpa grave da espiare) al 640/630 a.C. (Giuliani, 1999).

Atene, VII secolo a.C. Tale secolo viene identificato dalla moderna storiografia come ‘crisi della polis arcaica’, ossia, il sistema cittadino che si era iniziato a creare nell’VIII secolo inizia a scricchiolare sotto il peso dei pochi ammessi al governo della città: è la crisi dell’oplitismo chiuso, che prevedeva la partecipazione politica in base al censo e sempre in base al censo ne conseguiva la partecipazione militare (da qui il termine oplitismo). È innegabile che, seguendo questa linea, fossero ammessi al governo della polis solo le famiglie con un genos, ovvero  i nobili ateniesi. In questo clima molto teso tra nobili e ricchi non nobili, s’inserisce anche la lotta di potere tra famiglie che sfocia nella tradizione l’episodio argomento di questo articolo: il tentativo di instaurare una tirannide da parte di Cilone e dei suoi, la loro uccisione e l’uso di questo crimine in alcuni segmenti della propaganda di V secolo.

  1. Cilone vuole il potere: la tradizione in Erodoto e Tucidide

Erodoto è il primo autore a citare l’affaire ciloniano, raccontando di Clistene, politico ateniese, come precedente della rivolta ionica del 490 a.C., causa della Prima Guerra persiana. Nelle sue Storie afferma:

«Prima di ciò, Cleomene, inviando ad Atene un araldo, bandì Clistene assieme a molti altri Ateniesi, definiti da lui “sacrileghi”. Inviando queste disposizioni, parlò su istruzioni di Isagora, perché gli Alcmeonidi e i loro compagni di fazione infatti erano accusati di un delitto a cui Isagora e così pure i suoi amici non avevano partecipato. Ecco perché loro tra gli Ateniesi vennero chiamati impuri. Vi era ad Atene Cilone, vincitore dei Giochi Olimpici; costui aspirò alla tirannide, e associandosi una banda di coetanei tentò di occupare l’acropoli, ma non riuscendo nell’impresa si rifugiò come supplice presso la statua della dea. I pritani dei naucrari, che allora governavano Atene, li invitarono ad alzarsi per presentarsi a giudizio, escludendo la pena di morte. E invece del loro delitto sono incolpati gli Alcmeonidi. Tutto questo è accaduto prima di Pisistrato (Erodoto, Storie 70-71)».

Atena Promachos
Atena Promachos, Museo Archeologico Nazionale di Napoli (fonte: Archivio Scacchiere Storico)

Sono due le cose che possiamo notare in questo iniziale riferimento all’accaduto: innanzitutto, Erodoto è il primo a riferire l’uso da parte di Isagora, avversario di Clistene e di Cleomene, re di Sparta, del motivo dell’asebeia, il sacrilegio per l’uccisione dei ciloniani supplici contro la famiglia degli Alcmeonidi, di cui Clistene fa parte. Il contesto è dunque chiarito: siamo ad Atene e Clistene, arconte di Atene dopo la cacciata di Ippia, figlio di Pisistrato e succeduto alla tirannide, nel 510 a.C. insieme al suddetto Isagora, viene accusato di essere di famiglia empia e quindi meritevole di esilio da Cleomene di Sparta, su direttiva di Isagora che ha rapporti di ospitalità con il re. Il motivo nasce dall’avversione di Isagora verso il prestigio di Clistene, fautore dell’isonomia e una prima forma di democrazia ad Atene, il cui scopo è evitare il potere territoriale delle famiglie attiche attraverso la divisione in tre fasce della regione e creando dieci tribù a fascia: le cosiddette trenta trittìe. Con ciò si poteva escludere un ritorno alla tirannide sul modello di Pisistrato, che era stato appoggiato proprio da un ceto territoriale (Léveque, Vidal-Naquet, 2020). Secondariamente, l’autore riporta una tradizione che non attribuisce direttamente la colpa agli Alcmeonidi (Megacle all’epoca) ma ai sottoposti dei pritani dei neucrari, i sommi magistrati. Invece, Cilone viene descritto come un sovversivo appoggiato da un’eteria, ossia un gruppo di uomini affiliati politicamente (Ghinatti, 1970) che occupa la sede del potere politico, l’Acropoli, dove c’era l’Areopago, il sommo tribunale ateniese, con l’intento di diventare tiranno. Egli è fermato dai guardiani, nominati dai pritani con l’uccisione dei suoi compagni da supplici di Atena, dopo essere stati ingannati con la promessa di avere salva la vita.

Erodoto, quindi, riferisce solo che gli Alcmeonidi sono stati accusati del delitto, non dice chiaramente che vi abbiano partecipato, anzi sembra attribuire la decisione al gruppo dirigente dell’epoca, in cui non viene menzionato Megacle. L’atteggiamento erodoteo non è chiaro, ed è ancora oggetto di discussione (Nenci, 1994). 

Ma veniamo al nostro testimone principale: Tucidide di Atene. Tucidide si occupa di descrivere le cause dette e non dette della guerra interna più epocale della Grecità: la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) tra Atene, la sua lega delio-attica e altri alleati, e Sparta con la “lega dei Peloponnesiaci”. Da ciò, la sua opera, tramandata col titolo generico Storie, viene conosciuta anche come La guerra del Peloponneso o dei Peloponnesiaci, appunto.

Nel libro primo, dopo aver discusso sull’antichità (da Minosse a Pisistrato), letteralmente detto archailogia (capp. 1-23), Tucidide inserisce l’episodio di Cilone tra i più prossimi avvenimenti alla Guerra, come un episodio che rimane traumatico nell’opinione pubblica ateniese, sebbene avvenuto duecento anni prima e che lo storico riporta oggettivamente, fedele al suo metodo. Analizzando i precedenti dissidi tra Atene e Sparta, l’Ateniese arriva al tentativo di Isagora e Cleomene contro Clistene, riprendendo il passo erodoteo: «Vi fu un tempo in cui l’ateniese Cilone, vincitore ad Olimpia, uomo nobile di stirpe e  potente, aveva sposato la figlia di Teagene, uomo di Megara, il quale in quei tempi era tiranno dei Megaresi. Quando Cilone si servì dell’oracolo di Delfi, il dio rispose che Cilone avrebbe occupato l’Acropoli durante la più importante festa di Zeus. Lui, dopo aver ricevuto delle truppe da Teagene e avendo persuaso gli amici, quando giunsero le Olimpie nel Peloponneso, occupò l’Acropoli per instaurare una tirannide, ritenendo che questa fosse la festa per importante di Zeus e che qualcosa lo riguardasse come vincitore ad Olimpia. Se fosse fatto riferimento alla più grande festa di Zeus in Attica o altrove, è una cosa a cui egli non pensò e che l’oracolo non rivelò; infatti gli ateniesi hanno le Diasie, che sono feste importantissime dedicate a Zeus Meilichios, fuori dalla città, nella quale non sacrificano molte vittime ma offerte locali senza sangue. Quindi, credendo di aver capito bene, iniziò l’opera. Ma gli ateniesi, poiché si accorsero di ciò, […] li assediarono. Ma col passare del tempo logorati dall’assedio gli ateniesi se ne andarono in maggioranza affidando a nove arconti la sorveglianza E pieni poteri di disporre ogni cosa come ritenessero più utile. Infatti all’epoca i nove arconti si occupavano della maggior parte delle questioni politiche. D’altronde, i Ciloniani erano ridotti alla fame in mancanza di cibo e di acqua. Così, Cilone e il fratello scapparono. […] Gli Ateniesi di guardia li fecero alzare, allorché videro che morivano nel tempio. Avevano pattuito di non far loro alcun male, ma usciti fuori li uccisero. E alcuni seduti sull’altare degli Dei vennero uccisi nel passaggio. E per questo quelli furono chiamati sacrileghi e impuri al cospetto di Atena e anche i loro discendenti. Dunque, gli Ateniesi li esiliarono e poi anche Cleomene di Sparta li cacciò insieme agli Ateniesi che erano in guerra civile. […] In seguito, rientrarono e la loro stirpe è ancora in città. (Tucidide, I, 126)»

Come per Erodoto, esaminiamo quello che Tucidide riporta:

  1. Cilone era imparentato con i tiranni di Megara da cui riceve aiuti militari;
  2. Cilone consulta l’oracolo di Delfi prima dell’impresa, il quale è vago sul momento opportuno. Infatti, Tucidide chiarisce che Cilone abbia subito pensato alle Olimpie quali feste panelleniche per Zeus, mentre secondo lo storico l’oracolo si sarebbe riferito alle feste di Zeus Meilichios ossia un antico culto ateniese con un santuario fuori dalle mura, in cui non si facevano sacrifici animali ma solo offerte di frutti;
  3. Sbagliando a capire, Cilone agisce e viene assediato da “una folla” di Ateniesi, che, vedendo una situazione di stallo, incaricano i più importanti magistrati della città (i nove arconti) di prendere provvedimenti. Riprendendo Erodoto palesemente,  Tucidide racconta dell’inganno di alcuni ateniesi con il quale li fanno alzare dal tempio e li uccidono, nonostante siano supplici. È questa l’empietà che gli incaricati dai nove, evidentemente, devono scontare con l’esilio, empietà che ricade sulle loro stirpi (genos);
  4. Tucidide riferisce di due esili: uno all’epoca dei fatti, un altro voluto da Cleomene (come Erodoto). E un ritorno in patria del genos stabilmente.
Ritratto di Erodoto
Ritratto di Erodoto. Metropolitan Museum of Art, New York (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

Sorgono spontanee queste domande: perché Tucidide ritiene di dover spiegare il responso oracolare? E perché non vengono menzionati gli Alcmeonidi, visto che la fonte diretta sembra essere con molta probabilità il passo erodoteo? L’episodio ha un ruolo nella narrazione successiva?

Cerchiamo di rispondere. Conoscendo la necessità tucididea di risalire alle cause, dirette e indirette degli avvenimenti, possiamo comprendere il perché dell’oracolo. Cilone ha attuato una prassi comune nel mondo antico, almeno a livello narratologico, cioè consultare la Pizia prima del rischioso attacco al potere. Ora, Tucidide, facendo appello all’ambiguità dell’oracolo delfico, attribuisce a Cilone l’errore sulle festività, dovuto anche all’orgoglio personale del “sovversivo” quale vincitore alle Olimpiadi. È un errore umano e non divino, come alcuni ritengono (Nenci, 1994), quello che lo storico vuol mettere in evidenza. Si potrebbe dire in questo senso che fu un egoismo di Cilone a decretarne la fine, la sua smania non lo fece ragionare lucidamente. 

Tornando agli Alcmeonidi, Tucidide potrebbe non averli nominati solo perché sono stati semplicemente accusati in Erodoto e non sono stati ritenuti colpevoli ufficialmente, né lo storico li nomina tra gli arconti o tra i sorveglianti perché non è sicuro di chi fossero. Ovviamente riporta il pronome dimostrativo “loro” (ekeinoi), ossia i sorveglianti già nominati, ma ha valenza abbastanza vaga.

Oppure, potrebbe non averlo detto esplicitamente perché l’opinione pubblica già conosceva chi fossero i rei, non ritenendo attendibile una illazione volta a screditare l’uomo politico di cui sta per parlare: Pericle. Pericle era alcmeonide da parte di madre.

Infatti, Tucidide successivamente afferma:

«I Lacedemoni ordinarono di purificare una tale empietà, chiaramente in primis timorosi degli Dei, in realtà sapevano che Pericle figlio di Santippo vi era coinvolto per parte di madre e perché credevano che, una volta cacciato lui, avrebbero gestito facilmente le loro faccende in ambito ateniese (Tucidide, I, 127)»

Tucidide stesso, dunque, chiarisce il perché abbia inserito l’episodio di Cilone e che ruolo abbia in definitiva nella narrazione successiva. L’appellativo di sacrilego è un marchio, come già detto da Erodoto, per i famigliari dei sacrileghi. Ora, Cleomene lo usa per Clistene e Erodoto ne dà conto, poi Archidamo II (re di Sparta all’epoca e iniziatore della Guerra del Peloponneso) contro Pericle per screditare l’avversario, approfittando del sostegno di buona parte degli avversari politici del programma democratico; è chiaro che non ci sia bisogno di specificare che si tratti degli Alcmeonidi, principalmente. Ma, è altrettanto chiaro, che lo storico evidenzi la matrice politica di tale appellativo, usando un evento e un’accusa che formalmente venne fatta ma di cui non si conosce effettivamente l’esito. È la macchina propagandistica spartana con il consenso di alcune famiglie ateniesi a rievocare all’occorrenza l’empietà alcmeonide, costruendo ad hoc la cosa. Ciò avverrà anche per Alcibiade più tardi, sempre imparentato agli Alcmeonidi (Tucidide, VI, 13-17; Bearzot, 2021). È questo che Tucidide vuole e dimostra con chiarezza, ad un’attenta lettura, raccontando nei dettagli l’episodio e tacendo volutamente la responsabilità di Megacle.

  1. La tradizione su Solone e la questione ciloniana: Aristotele e Plutarco

La cosiddetta Costituzione degli Ateniesi, attribuita al filosofo Aristotele, è un trattato storico-giuridico in cui ci si propone di analizzare il percorso costituzionale di Atene dal primo embrione fino alla polis del 403 a.C. (post Guerra del Peloponneso con l’attività politica dei Trenta Tiranni e poi con la restaurazione democratica di Trasibulo). Tuttavia, il testo a noi giunto risulta mancante di un’ampia sezione della prima parte ed inizia proprio con la questione ciloniana:

«…‹su accusa di› Mirone (trecento giudici) scelti per nascita giurando su vittime sacrificali. Essendo stato riconosciuto il sacrilegio, i resti dei colpevoli furono esumati dalle tombe e la loro stirpe andò in esilio perpetuo. A queste condizioni, Epimenide cretese purificò la città. (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 1; Rhodes, 2016)»

Tenendo conto che, forse, un racconto dell’episodio ciloniano fosse nella parte mancante, notiamo le novità aristoteliche rispetto a Erodoto e Tucidide:

  1. La menzione di Mirone come accusatore dei rei, almeno secondo l’integrazione filologica, di cui nient’altro si sa. Adesso sappiamo che fu fatto un processo istituzionalizzato (la designazione dei giudici con giuramento sacrale) su istanza privata. Erodoto riferiva di “accuse”, non specificando. Tucidide parlava solamente della pena;
  2. Il processo ha come esito la dispersione dei resti dei sacrileghi (Prandi, 2000) e l’esilio perpetuo dei viventi e delle loro famiglie. Quindi, abbiamo una pena statalizzata, non esilio imposto dagli Ateniesi in senso generico;
  3. Epimenide cretese purifica la città dal miasma sacrilego come provvedimento successivo necessario (Federico, 2001). La purificazione dopo un’empietà con la catarsi da parte di uno sciamano e/o l’esilio degli empi è una prassi antica nella memoria ateniese (basti pensare all’Edipo re e Edipo a Colono di Sofocle). Epimenide di Creta è riconosciuto come l’esperto di catarsi sia da Aristotele che da Plutarco nel caso specifico, ma gode di un’ampia e discussa tradizione successiva (soprattutto Diogene Laerzio con la Vita di Epimenide). La catartica è una branca  della medicina/magia, di cui i cretesi vengono riconosciuti massimi esperti.
Tempio di Apollo a Delfi
Tempio di Apollo a Delfi (fonte: autore, Helen Simonsson; licenza, CC BY-SA 3.0)

Aristotele, dunque, in un passo molto conciso, prima di discutere sulla successiva legislazione di Draconte, dà molte informazioni importanti, rispetto agli storici presi in esame. Tuttavia, l’attenzione all’evento in sé rimane assente, sia per lacune testuali, sia per l’attenzione del filosofo a non sovraccaricare ideologicamente un evento che potrebbe non essere mai accaduto (Federico, 2001).

È giusto notare anche come le finalità dell’opera di Tucidide ed Aristotele siano completamente diverse, per cui è logico pensare ad una maggiore attenzione tucididea per i particolari e le “implicazioni ideologiche” del caso rispetto allo Stagirita. 

Un’altra fonte è Plutarco di Cheronea è un biografo attivo tra il I e il II secolo d.C. Scrive principalmente biografie degli uomini illustri del passato, creando un parallelo tra grandi personalità greche e romane, scegliendo le coppie in base alla moralità e alle azioni condotte o i ruoli ricoperti: le Vite parallele.

Nella Vita di Solone e Publicola egli pone a confronto uno dei più importanti legislatori greci che la tradizione riconosce, Solone di Atene con Publio Valerio Publicola, leggendario primo console della neonata res publica romana. Nella vita dell’Ateniese riporta l’affaire ciloniano come un evento traumatico, le cui conseguenze si trascinano fino all’arcontato di Solone (594-592 a.C.).

Scrive:

«Il sacrilegio perpetrato nell’affare di Cilone turbava ormai la città da molto tempo, cioè da quando Megacle, allora arconte, aveva persuaso gli aderenti alla congiura di Cilone, che si erano posti sotto la protezione di Atena come supplici, a scendere dall’Acropoli per presentarsi in giudizio. Essi legarono allora alla statua un filo ritorto e si tennero adesso; come però durante la discesa furono vicino al tempio delle Dee Venerande il filo si rompe da sé e subito Megacle e gli altri arconti si avventarono per afferrarli, dicendo che la dea respingeva la loro supplica. Così, lapidarono alcuni che erano fuori dal tempio, altri che si erano rifugiati presso gli altari vennero sgozzati e furono risparmiati soltanto coloro che invocarono la protezione delle mogli degli arconti. Di conseguenza essi, chiamati «sacrileghi», erano invisi e i seguaci sopravvissuti erano di nuovo potenti e senza tregua lottavano contro quelli di Megacle. In quel tempo il contrasto era giunto al culmine e il popolo era diviso in due. Salone dunque che era già famoso si fece avanti tra le due parti […] e […] riuscì a convincere i cosiddetti sacrileghi a sottoporsi a processo e accettare il verdetto di trecento giudici scelti tra gli ottimati. L’accusa fu sostenuta da Mirone di Flia gli imputati furono riconosciuti colpevoli: quelli ancora vivi furono esiliati quelli ormai morti esumarono le salme e le gettarono oltre confini. Intanto, la città era pervasa da timori superstiziosi e atterrita da apparizioni e gli indovini dichiaravano che dall’esame delle vittime risultavano sacrilegi e contaminazioni che esigevano purificazioni. Così dunque, mandato a chiamare, venne a loro da Creta Epimenide di Festo. Venuto ad Atene e stretta amicizia con Solone egli predispose e avviò molta parte della sua legislazione. […] Ancora, cosa più importante di tutte, avendo santificato e consacrato la città con certi sacrifici espiatori, purificazioni e fondazioni sacre, le rese sottomessa alla giustizia e più disponibile alla concordia. (Plutarco, Vita di Solone, 12, 1-9.  Trad. di M. Manfredini)»

Il passo è molto ricco di dettagli, caratteristica dell’intera opera di Plutarco. Notiamoli e cerchiamo di risalire alla/e fonti a cui Plutarco attinge, dove possibile:

  1. Si cita chiaramente Megacle alcmeonide come fautore della strage in qualità di uno dei nove arconti (essi vengono ripresi chiaramente dalla tradizione in Tucidide). Il resto del racconto dell’uccisione è uguale a quello di Tucidide e ad Erodoto tranne che per il dettaglio del filo ritorto;
  2. Rispetto ad Aristotele, Plutarco dà a Solone la responsabilità di proporre il tribunale speciale, su accusa di Mirone. Su ciò vale la pena sottolineare due cose: il biografo introduce Solone nella faccenda, giustificando la sua presenza con un lasso temporale in cui dovevano essersi acuiti sempre più i contrasti tra le fazioni (40 anni circa); Solone avvia la sua legislazione all’insegna della concordia risolvendo la stasi interna, ecco perché l’episodio è funzionale alla sua biografia, dove apparentemente non dovrebbe essere presente affatto;
  3. la pena è la stessa riportata da Aristotele, ma lo Stagirita non riporta i nomi dei colpevoli, cosa che Plutarco sottolinea citando Megacle. Questo potrebbe dipendere dalla lettura della Politeia aristotelica tramite l’Epitome di Eraclide, che cita espressamente Megacle (Politeia, 1; Trochin, 2021). Oppure, dalla volontà di raccogliere indiscriminatamente tutta la tradizione che, direttamente o indirettamente, nasceva e si era consolidata ormai stabilmente nella propaganda contro gli Alcmeonidi, dal V a.C.;
  4. Plutarco, muovendo da Aristotele, racconta meglio l’intervento di Epimenide. Anzi, lo istituzionalizza: Epimenide interviene in una situazione di “delirio cittadino”, chiamato su segnalazione degli esperti da Solone, che diviene suo amico, e non come purificatore/sciamano solamente, ma come legislatore a tutti gli effetti. Infatti egli gli attribuisce provvedimenti che successivamente assegna anche a Solone, come se Epimenide avesse portato quella cultura legislativa ispirata alla concordia omnium  e alla moderazione del lusso che Solone avrebbe imparato (Federico, 2001). Non solo una nomothesia (legislazione)giusta reca l’azione di Epimenide, ma anche una “disciplina religiosa”, in quanto Plutarco cita l’uso di sacrifici espiatori (rito cretese del paharmakon, ossia l’uccisione del reo, in Diogene Laerzio, 1, 110; Federico, 2001) e delle fondazioni sacre. 

Sembrerebbe, a ragione, che sia giusta l’ipotesi di Epimenide come “maestro spirituale” di Solone e iniziatore del nuovo corso della politica ateniese, con l’obiettivo di scongiurare ogni stasi e deriva personalistica per instaurare concordia ed eguaglianza sociale tra coloro che partecipano alla gestione politica, cosa che in Solone si esplicherà nella riforma delle classi censorie. In questa rifondazione politica della polis ateniese rientra il perdono agli Alcmeonidi e il loro rientro (infatti li troviamo già con Pisistrato e il suo matrimonio con la figlia di Megacle, ripudiata in seguito con la scusa dell’asebeia famigliare).

  1. Conclusione
Busto di Tucidide
Copia di un busto romano di Tucidide. Museo Pushkin, Mosca (fonte: autore, Shakko; licenza CC BY-SA 3.0)

Quello di Cilone è un evento a cui è difficile dare una storicità netta, anzi è molto più probabile che fosse una tradizione orale (vista la datazione) storicizzata in seguito attraverso la propaganda anti-alcmeonide spartano-ateniese (Thomas, 1989; Ober, 1989). Infatti, abbiamo potuto notare, attraverso le varie fonti, come da un nucleo la tradizione si sia arricchita sempre più di dettagli: ciò dimostra che ha una natura composita, sempre più istituzionalizzante. 

In Erodoto si parlava di una accusa e di un esilio stabilito dagli Ateniesi in generale; in Tucidide c’è il coinvolgimento dei nove arconti e una pena più o meno statalizzata, in quanto viene riconosciuta la colpa e c’è una pena precisa. In Aristotele, e in seguito in Plutarco, la statalizzazione della pena si fa più marcata in quanto c’è un intervento giudiziario di un tribunale specifico, su ispirazione o meno soloniana (ergo, politica), e una pena inflitta a dei colpevoli specifici con successivi provvedimenti legislativo-sacrali per arrestarne le conseguenze.

Le differenze tra le varie fonti dimostrano che la tradizione è stata suscettibile di usi e abusi (gli Spartani la recepiscono e usano contro Clistene e Pericle, Pisistrato contro Magacle) che abbiamo cercato di chiarire. Del resto, una memoria orale è il materiale migliore per la propaganda, in quanto può essere creata, usata e ricreata, abusata a piacimento dal ceto/ceti dominante/i, ed è questa natura labile che la rende pericolosa. È questo, a dispetto della storicità o meno, il portato effettivo dell’affaire ciloniano.

Giulia Zinedine Fuschino – Scacchiere Storico

Giulia Zinedine Fuschino è laureata in Lettere classiche e successivamente in Archeologia presso l’Università di Napoli Federico II, discutendo due tesi in Storia Greca. È specializzata nello studio dei mitologemi e della propaganda in età classica, in particolare del regno macedone. I suoi interessi arrivano a comprendere le civiltà minoica e micenea e il dibattito archeologico-storiografico sulla questione.

Bibliografia

Bearzot C. 2021, Alcibiade, Salerno; Federico E. 2001, La katharsis di Epimenide ad Atene. La vicenda, gli usi e gli abusi ateniesi, in “Epimenide Cretese”, a cura di E. Federico e A. Visconti, Napoli; Ghinatti F. 1970, I gruppi politici ateniesi fino alle guerre persiane, Roma; giuliani a. 1999, Il sacrilegio ciloniano: tradizioni e cronologia, “Aevum” 73, 21-42; Léveque P., Vidal-Naquet P. 2020, Clistene l’Ateniese, Roma; Nenci G. (a cura di) 1994,  Erodoto. Storie (Libro V), Milano; Ober J.1990, Mass and elite in Democratic Athens, Princeton; Prandi L. 2000, I Ciloniani e l’opposizione degli Alcmeonidi in Atene, in “L’opposizione nel mondo antico” a cura di M. Sordi,  Contributi dell’Istituto di storia antica XXVI, Milano; Rhodes P.J. 1981, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia, Oxford; Rhodes P.J. 2016 (ed.by), Aristotele. La Costituzione degli Ateniesi, Milano; Thomas R. 1989, Oral traditions and Written records in Classical Athens, Cambridge; Trochin D. 2021, La congiura di Cilone e i culti epicorici di Zeus Meilichios e Olympios (tesi di Laurea Magistrale) http://hdl.handle.net/10579/20417.

Immagine di copertina: Ricostruzione dell’Acropoli e dell’Areopago di Atene, di L. von Klenze, 1846. Neue Pinakothek, Monaco di Baviera (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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