RITRATTI FEMMINILI DAL MUSEO ARCHEOLOGICO DI VENEZIA: LE MATRONE DEI FLAVI

di Michele Gatto

Al termine della guerra civile del 68-69 d.C. scoppiata a seguito della morte di Nerone, l’impero passò nelle mani di Vespasiano, che ne ristabilì l’equilibrio perduto con la fine della dinastia Giulio-Claudia: uomo dalle brillanti capacità militari, che trasmise al figlio Tito, Vespasiano fu particolarmente attento alle questioni finanziarie (resta celebre l’episodio riportato da Svetonio sulle tasse provenienti dagli orinatoi pubblici). Inoltre, ratificò ufficialmente quelli che erano i poteri dell’imperatore attraverso la Lex de imperio Vespasiani, sebbene proprio il secondo figlio, Domiziano, avrebbe finito per abusarne.

Tra gli aspetti che però differenziavano la dinastia Flavia (spesso associata ad avvenimenti come la costruzione del Colosseo o l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei) dalla precedente, sicuramente si può individuare la minore visibilità delle sue matrone. Ad eccezione di Domizia Longina, le altre donne della famiglia hanno in genere assunto un profilo più riservato, tanto da essere definite “invisibili”, forse anche per il poco tempo trascorso ai vertici del potere. Questo risulta evidente già con Flavia Domitilla, moglie di Vespasiano e madre di Tito e Domiziano. Le poche informazioni sul suo conto ci vengono fornite da Svetonio, il quale ha affermato come Domitilla fosse stata amante di un cavaliere di Sabrata, un certo Statilio Capella, prima di sposare il futuro imperatore; inoltre, avrebbe ottenuto la cittadinanza romana, partendo dallo status latino, grazie al padre Flavio Liberale. Ad ogni modo, non avrebbe avuto il tempo di vedere ascendere al trono Vespasiano, perché morta prematuramente al pari della loro figlia, anch’essa di nome Domitilla. Gli studiosi, tuttavia, hanno avanzato ipotesi capaci di mettere in discussione quanto sostenuto da Svetonio relativamente ai legami familiari e alle reali origini di Flavia Domitilla, rendendo necessari ulteriori ricerche sul suo conto. Indubbiamente, si tratta di una figura che ben rappresenta la tendenza ad una maggiore mobilità sociale nel corso del I secolo d.C., al pari di Antonia Caenis, amante di Vespasiano prima del matrimonio e anche dopo la morte della moglie. Sempre Svetonio, ha sostenuto la ripresa della relazione sentimentale tra i due e che il princeps teneva Caenis in grande considerazione: tra l’altro, la liberta di Antonia Minore, precedentemente avrebbe contribuito a sventare la congiura di Seiano ai danni di Tiberio.

Aureo con Vespasiano e Domitilla
Aureo di Domiziano, recante al diritto il busto radiato volto a destra di Vespasiano e, al rovescio, il busto volto a destra di Flavia Domitilla (fonte: British Museum, licenza CC BY-NC-SA 4.0)

Per quanto riguarda Tito, intorno al 63 d.C. prese in moglie Arrecina Tertulla, figlia di Marco Arrecino Clemente che era stato prefetto del pretorio sotto Caligola, dalla quale ebbe Giulia Flavia. Dopo circa un anno, la morte di Arrecina forse durante il parto, convinse Tito a risposarsi con Marcia Furnilla, proveniente da una famiglia di rango senatorio e nipote di Quinto Marcio Barea Sorano: quando quest’ultimo cadde in disgrazia presso Nerone, nel 66 d.C. Tito allora divorziò dalla moglie per evitare di restare in qualche modo coinvolto. Furnilla gli aveva anche dato una figlia, però morta prematuramente al contrario dell’unica figlia, Giulia Flavia, che secondo Cassio Dione avrebbe intrattenuto una relazione con lo zio Domiziano, il quale la fece divinizzare dopo la morte nell’89 d.C. Nel frattempo, aveva avuto luogo il matrimonio tra lo stesso Domiziano e Domizia Longina: quest’ultima era figlia di Gneo Domizio Corbulone, che aveva ottenuto incarichi di rilievo sotto Claudio e Nerone, e di Longina, parente dei Giulio-Claudî. In giovane età, Domizia dovette assistere a diversi fatti familiari tragici e sopravvisse agli ultimi, convulsi, anni di regno di Nerone, fino ad entrare nella cerchia dei Flavi. Diventando moglie di Domiziano nel 70 d.C., dopo essere costretta al divorzio, suggellò così un’unione anche politicamente strategica. Una volta imperatore, Domiziano conferì a Domizia il titolo di Augusta, che questa conservò fino alla morte anche dopo l’avvento della dinastia Antonina, malgrado si fossero verificati alcuni scandali: al di là della presunta rivalità con la nipote Giulia, infatti, Domizia avrebbe intrattenuto una relazione con il mimo Paride, punita nell’82 con un temporaneo divorzio di soli due anni dal princeps. Una volta tornata, Domizia dimostrò le proprie qualità di matrona romana, ed il suo prestigio personale le permise di superare indenne l’uccisione di Domiziano nel 96 d.C., della quale si sarebbe resa complice, permettendo l’interruzione di un periodo di gravi tensioni col Senato. Onorata e rispettata anche dagli imperatori successivi, Domizia sarebbe morta tra il 126 e il 128 d.C., senza però essere divinizzata.

Busto femminile di età flavia
Busto femminile di età flavia, Museo Archeologico di Venezia, Sala X (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

Paradossalmente, la riservatezza e la minore visibilità delle matrone flavie, di cui abbiamo finora parlato, ha avuto un corrispettivo iconografico totalmente opposto: le loro immagini si caratterizzano infatti per l’appariscenza, specialmente riguardo le acconciature. Un esempio ci arriva da due ritratti esposti nella Sala X del Museo Archeologico di Venezia e a Palazzo Grimani. Nel secondo, emerge soprattutto la capigliatura alta e a nido d’ape sulla fronte (riprodotta col trapano), che sulla nuca assume una forma ad elica con la crocchia a raccogliere le varie trecce, mentre nel primo sono presenti dei veri e propri riccioli (anuli) cascanti sulla parte superiore del viso. In entrambi i casi, si tratta di raffigurazioni private, nonostante le ipotesi di attribuzione a donne della famiglia imperiale, le quali testimoniano il realismo della ritrattistica dell’epoca: le acconciature riescono a far risaltare anche la fisionomia dei volti, che trasmette austerità e intensità rendendo più evidente, ad esempio, l’età avanzata del secondo soggetto; l’abilità degli artisti permetteva inoltre di creare per i capelli superfici morbide grazie al volume, ed effetti chiaroscurali. Ma nella realtà tale capigliatura, definita orbis e capace di aumentare la statura femminile, richiedeva una certa esperienza a causa della difficoltà nel realizzarla, per l’utilizzo di spilli, posticci e reti che la sostenessero, secondo una moda adottata dalle aristocratiche del periodo le cui trasformazioni comunicano anche il susseguirsi delle diverse dinastie. Se pensiamo ai ritratti di Flavia Domitilla, essi legano l’epoca neroniana a quella dei Flavi, vista la presenza di riccioli a disco sulle tempie, la scriminatura centrale e la coda raccolta sul collo; quelli di Giulia Flavia mostrano invece la tipica acconciatura dinastica con diadema di riccioli sulla fronte e nodo sulla nuca legato da uno spillo. Progressivamente, le capigliature divennero sempre più voluminose e complesse, simboleggiando lo sfarzo della corte domizianea e forse ispirandosi anche ai ricci delle maschere teatrali. Domizia Longina inizialmente riuscì comunque a distinguersi, sia per la sua personalità, sia per la natura dei suoi capelli che, essendo particolarmente ricci, le permisero acconciature meno cotonate e con più treccine. In seguito avrebbe adottato una pettinatura meno alternativa, ma in età avanzata riuscì anche a influenzare le augustae antonine con acconciature sviluppate maggiormente in verticale, fungendo così un ruolo da trait d’union non solo politicamente ma anche dal punto di vista stilistico.

Michele Gatto – Scacchiere Storico

Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in Numismatica Antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.

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Immagine di copertina: ritratti dalla Sala X del Museo Archeologico di Venezia (fonte: autore, Mentnafunangann; licenza, CC BY-SA 4.0)

Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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