di Michele Gatto
1. Cenni biografici su Giustiniano
Il regno di Giustiniano (527-565 d.C.) è considerato uno dei periodi di massimo splendore dell’impero d’Oriente, tanto da permetterci di azzardare l’affermazione secondo cui proprio la sua conclusione coincida anche con quella dell’impero di Roma e del mondo antico. La fonte principale a nostra disposizione per questo periodo è lo storico Procopio di Cesarea, il quale nelle sue opere ci ha lasciato un giudizio ambivalente su Giustiniano, utilizzando toni encomiastici alternati a giudizi denigratori: se nelle Guerre Persiane, Gotiche e Vandaliche egli compie una cronaca delle campagne militari dell’imperatore e nel De Aedificiis compie un panegirico delle costruzioni che questi fece realizzare, invece nella Storia Segreta fornisce una descrizione particolarmente negativa sia di Giustiniano sia, in particolare, di sua moglie Teodora (Evans, 1970; Ostrogorsky, 2014).

(fonte: Torno Ginnasi, 2017)
Di origine illirica, Giustiniano (Flavius Petrus Sabatius Iustinianus) nacque intorno al 482 d.C. a Tauresium, nell’attuale Macedonia, da dove partì alla volta di Costantinopoli grazie allo zio Giustino: questi dopo una brillante carriera militare era stato proclamato imperatore nel 518, avvalendosi della collaborazione del nipote sia prima sia dopo, tanto che, di fatto, la politica imperiale era gestita da Giustiniano (Ostrogorsky, 2014); Giustino inoltre, non avendo figli, lo designò come successore. Giustiniano venne associato al trono nell’aprile del 527 d.C. e dopo pochi mesi, in seguito alla morte dello zio, divenne l’unico imperatore; due anni prima, nonostante opposizioni all’interno della stessa famiglia imperiale, Giustiniano aveva sposato Teodora, un’ex attrice del circo (Cosentino, 2010), la quale dimostrò successivamente di esercitare grande influenza su di lui dal punto di vista politico e religioso, anche nella presa di decisioni drastiche, come nel caso della rivolta di Nika del 532 d.C. (Evans, 1984; Foss, 2002).
L’opera di Giustiniano, a prescindere dagli esiti conclusivi, sotto tutti i punti di vista deve essere considerata di carattere universale, in quanto egli fu l’ispiratore di grandi progetti: la codificazione giuridica che riorganizzò il diritto romano, il Corpus Iuris Civilis, attuata da una commissione di funzionari con a capo Triboniano; l’unificazione religiosa sotto l’autorità dell’imperatore, nonostante le numerose divisioni, in particolare tra la Chiesa di Roma e quelle d’Oriente (Gallina, 2008); la riunificazione dell’impero, affidata ai suoi generali; allo stesso modo però, nel 529 d.C., anche la chiusura dell’Accademia neoplatonica di Atene (Ostrogorsky, 2014). Giustiniano dovette affrontare inoltre alcune cospirazioni ed un’epidemia di peste, ma riuscì a superare entrambi i pericoli ed a regnare per quasi quarant’anni fino al 565 d.C., lasciando il trono al nipote Giustino II, dato che non era riuscito ad avere figli (Cosentino, 2010). Da questo momento in avanti, si accelerò decisamente il processo che avrebbe trasformato l’impero romano d’Oriente in un impero greco medievale.
2. La riconquista dell’Occidente

Nonostante Giustiniano probabilmente non abbia mai calcato i campi di battaglia (Cosentino, 2010), il suo progetto più ambizioso è stata la renovatio imperii, cioè la riunificazione dell’impero. In Occidente, dopo la deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre, si erano formati diversi regni romano-barbarici, i cui sovrani riconoscevano ancora l’autorità dell’imperatore d’Oriente: essi coniavano moneta con la sua effige o gli sottoponevano le loro controversie. Perciò Giustiniano, ritenendo che fosse un suo legittimo diritto, attese il momento opportuno per riprendersi la parte occidentale, potendo contare sulla superiorità della flotta, oltreché dell’appoggio delle aristocrazie locali e della Chiesa (Pirenne, 2007). Tuttavia, prima dovette mettere a bada i Persiani e i popoli barbarici che premevano ai confini: nel primo caso, dopo alcuni scontri militari, nel 532 d.C. venne stipulata una “pace eterna”; nel secondo, vennero pagati dei sussidi.
La grande campagna d’Occidente, affidata al generale Belisario ed iniziata nel 533 d.C., ebbe quindi come primo obiettivo l’Africa vandalica: l’usurpazione di Gelimero ai danni di Ilderico diede a Giustiniano il pretesto per intervenire; nel giro di pochi mesi l’impero riconquistò la provincia d’Africa, ristabilendovi un limes, ma riprendendone il totale controllo solo nel 548 (Pirenne, 2007; Cosentino, 2010). A questo punto l’imperatore pose il suo sguardo sull’Italia ostrogota. I rapporti con Teodorico infatti si erano deteriorati negli ultimi anni del suo regno a causa della fede ariana degli Ostrogoti; nel 527 Teodorico aveva lasciato il trono al nipote Atalarico, sotto la reggenza della figlia Amalasunta; dopo la morte prematura di Atalarico, Amalasunta decise di sposarsi con il cugino Teodato, il quale, col sostegno dei “nazionalisti” goti, fece successivamente confinare ed uccidere la moglie nel 535 d.C., fornendo così a Giustiniano un motivo per cominciare le operazioni militari. Nello stesso anno, dopo la conquista della Sicilia, l’invasione della Dalmazia, ed il fallimento della diplomazia, ebbe inizio la guerra greco-gotica: Belisario risalì rapidamente la penisola, generalmente con l’appoggio della popolazione, conquistando Napoli (divisa tra lealisti verso i Goti e sostenitori imperiali) (Moorhead, 1983) e Roma nel 536; nel frattempo i Goti avevano deposto Teodato, eleggendo come loro re Vitige, il quale, fallito l’assedio di Roma, fu costretto a ritirarsi a Ravenna. Belisario, a cui i Goti avevano anche offerto la corona, prese Ravenna nel 540 d.C. (Giovanni Lido, De Magistrat., 28-29), ma in seguito alla sua partenza per Costantinopoli i Goti si riorganizzarono soprattutto grazie a Totila, recuperando diversi territori: nel 551 il generale Narsete, che aveva sostituito Belisario vittima di sospetti a corte (Frediani, 2004; Breccia, 2016), sbarcò in Italia e dopo aver sconfitto Totila ed il suo successore Teia, pose fine alla guerra nel 554 d.C.; l’Italia venne così riorganizzata come provincia attraverso la Prammatica sanzione, e governata da un prefetto con sede a Ravenna. Nello stesso periodo Giustiniano poté intervenire anche nella Spagna visigota, sempre sfruttando tensioni interne, rispondendo all’appello di Atanagildo che chiedeva aiuto contro il re Agila: questi venne sconfitto a Siviglia nel 554, permettendo all’impero di rioccupare la parte sud-orientale della penisola iberica. Il Mediterraneo era tornato ad essere un lago romano (Ostrogorsky, 2014; Pirenne, 2007; Rance, 2005; Geraci, Marcone, 2011; Breccia, 2016), ma si trattava solamente di una vittoria effimera, conclusasi praticamente con la morte di Giustiniano.
3. La celebrazione della renovatio imperii

Le riconquiste in Occidente ebbero dei risvolti anche dal punto di vista edilizio, artistico ed iconografico, allo scopo di celebrare la grandezza dell’imperatore. La stessa titolatura, Imperator Caesar Iustinianus Alamannicus Gothicus Franciscus Germanicus Anticus Alanicus Vandalicus Africanus pius felix inclitus victor ac triumphator semper Augustus, fa comprendere bene quale fosse l’idea della vittoria imperiale sui barbari (Cosentino, 2010).
Sfruttando il bottino arrivato dalla campagna in Africa, fu possibile finanziare la costruzione della chiesa dei Santi Apostoli (Downey, 1950), ma in ogni caso, grazie a Procopio (de Aedificiis, I, 2, 1-12), conosciamo la realizzazione di un monumento strettamente legato alle vittorie in Occidente, cioè la statua equestre dell’imperatore collocata nel 543-544 d.C. al centro dell’Augustaion di Costantinopoli, purtroppo andata perduta (Bertelli, 1960): si trattava di una statua in bronzo di tipo cerimoniale, posta al di sopra di una colonna rivestita anch’essa in bronzo, e raffigurante Giustiniano su un cavallo al passo, con indosso una corazza ed un elmo particolare, la toupha, oltre a calzari e a un mantello decorato e fluttuante; inoltre, nella mano sinistra reggeva un globo crucigero, la cui croce secondo alcune interpretazioni sarebbe stato il segno che ne aveva permesso la vittoria ed il dominio sui territori conquistati, mentre la destra era alzata; la figura dell’imperatore ricordava così quella di Achille, paragonandolo perciò ad un eroe classico (Downey, 1940; Torno Ginnasi, 2017). Elemento particolare della statua era sicuramente la toupha: si trattava di un elmo diademato e piumato (con penne di pavone) usato dagli imperatori a partire da Costantino e forse di origine persiana (Bianchi, Munzi, 2006), la cui singolarità ha colpito l’attenzione degli osservatori nel corso del tempo (Torno Ginnasi, 2017).

L’immagine di questa statua di Giustiniano è stata spesso messa in relazione con quella presente su un medaglione aureo coniato per celebrare la vittoria sui Vandali in Africa (Bertelli, 1960): al diritto è raffigurato il busto corazzato e con mantello di Giustiniano in posizione di tre quarti, con sopra la testa la toupha ed attorno un’aureola, mentre regge con la mano destra una lancia; sullo sfondo è presente la parte superiore di uno scudo decorato e la legenda è DN IVSTINIANVS PP AVC, cioè Dominus Noster Iustinianus Perpetuus Augustus. Al rovescio, l’imperatore è raffigurato a cavallo, con le stesse sembianze del diritto ma a figura intera, accompagnato sulla destra dalla Vittoria che regge un trofeo; il cavallo bardato è raffigurato al passo e sembra riprendere il modello del monumento equestre di Marco Aurelio; la legenda è SALVS ET CLORIA ROMANORVM (in basso, all’esergo, la marca della zecca di Costantinopoli CONOB); si tratta perciò di una raffigurazione di connotazione militare, che ben si applica alla celebrazione delle conquiste attuate da Belisario: il generale celebrò il trionfo una volta tornato a Costantinopoli (Procopio, de Bello Vand., II, 9; Beard, 2007), ed in effetti il medaglione aureo possiede caratteristiche numismatiche ed iconografiche che ne suggeriscono la realizzazione in occasione di questi importanti eventi (Torno Ginnasi, 2017). Il medaglione, che era conservato presso il Cabinet des Médailles di Parigi, è andato perduto, probabilmente rubato nel 1831; tuttavia lo conosciamo grazie ad illustrazioni e riproduzioni (Torno Ginnasi, 2017).
Un’altra raffigurazione equestre di Giustiniano celebrante la vittoria africana è presente sul dittico in avorio detto Barberini, conservato al Louvre: l’imperatore vi è rappresentato al centro, in vesti militari e con il diadema sulla testa, quasi in altorilievo e di dimensioni maggiori rispetto alle altre figure; egli con una mano regge le briglie del cavallo arrestandone la corsa e con l’altra tiene una lancia-scettro appoggiata al terreno; dietro di essa è presente la figura di un barbaro (forse Gelimero) che la tocca in segno di sottomissione, mentre in basso è raffigurata la Tellus, la Madre Terra, che regge il piede di Giustiniano, incoronato nel frattempo da una Vittoria su un globo che regge un ramo di palma. Nella placca a sinistra è presente un Magister militum, probabilmente Belisario, che porge all’imperatore una statua della Vittoria; nella placca in basso, un’altra Vittoria al centro indica verso l’alto a guidare le rappresentazioni dei popoli sottomessi che recano doni; nella placca in alto, al centro è raffigurato Cristo benedicente all’interno di un cerchio sorretto da due angeli. L’identificazione della figura imperiale con Giustiniano è dovuta allo stile adottato per i tratti del viso, che ricordano quelli di altre immagini a lui dedicate, mentre l’opera molto probabilmente si riferisce al trionfo sui Vandali (de’ Maffei, 1983).

Ovviamente anche la riconquista dell’Italia ebbe degli effetti dal punto di vista celebrativo, particolarmente evidenti a Ravenna. Dopo la presa della città nel 540 d.C., venne infatti completata la costruzione della basilica di San Vitale, consacrata dall’arcivescovo Massimiano nel 547-548 d.C.; sulle pareti del presbiterio vennero collocati due mosaici raffiguranti Giustiniano e Teodora, i cui cartoni dei ritratti è possibile siano stati inviati da Costantinopoli, non essendosi loro mai recati a Ravenna (Bertelli, 1960; Herrin, 2007). Il pannello di Giustiniano vede l’imperatore raffigurato al centro mentre reca doni all’altare, con indosso il diadema imperiale ornato di prependulia, una clamide di porpora con tablion ricamato in oro, oltre ad un’aureola attorno alla testa: il suo volto corrisponde alla descrizione fattane da Procopio (Hist. Arc., 8, 12); alla sua sinistra sono raffigurati l’arcivescovo Massimiano ed i membri del clero, mentre alla sua destra i dignitari di corte, tra i quali forse anche Belisario. Nel suo pannello, Teodora è raffigurata anch’essa in abiti regali, con la corona ed un’aureola, mentre si appresta a portare un calice all’altare; da entrambi i lati è affiancata dai membri della sua corte. I due ritratti imperiali sono databili tra il 546 ed il 548 d.C. (collocati però dopo la morte di Teodora) e potrebbero rappresentare idealmente il rito del Primo Ingresso, attraverso cui i celebranti prendevano posto in chiesa (Bertelli, 1960; Bassett, 2008): la realizzazione di questi mosaici, per la quale è probabile che un ruolo importante sia stato svolto dagli stretti rapporti tra Massimiano e Giustiniano, intendeva sicuramente celebrare l’autocrazia imperiale ed il suo dominio sull’Italia e sul mondo, ma anche, secondo alcune interpretazioni, la vittoria di Cristo e dell’imperatore (Andreescu-Treadgold, Treadgold, 1997); sempre a Ravenna infatti, la basilica di Sant’Apollinare Nuovo, dedicata al culto ariano durante il regno ostrogoto, nel 561 d.C. venne riconsacrata al culto ortodosso dal vescovo Agnello, facendo eliminare dai suoi mosaici le immagini di Teodorico e della sua corte (di cui restano poche tracce), oltre a sostituire il ritratto del vecchio sovrano con mosaici dorati raffiguranti sé stesso e Giustiniano (Herrin, 2007).
In conclusione, nonostante la renovatio imperii giustinianea sia stata solamente un traguardo parziale e temporaneo, al di là dei meriti o dei demeriti effettivi, le raffigurazioni di Giustiniano che abbiamo brevemente descritto hanno contribuito a trasmetterne un’immagine gloriosa, tanto da essere considerato già dal Medioevo tra i più importanti imperatori romani, come dimostra il VI canto del Paradiso dedicatogli da Dante nella Commedia.

Michele Gatto – Scacchiere Storico
Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in numismatica antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.
Bibliografia
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