di Alessio F. Leo
Gli elementi nodali che determinano la struttura di uno Stato sono, per definizione, quello militare e quello amministrativo, chiamato ad organizzare il controllo del territorio secondo le esigenze e le modalità espresse dalla sua classe dominante attraverso le varie epoche storiche. Modalità di controllo territoriale che variano nel tempo e sono inscindibilmente legate a chi, all’interno di una data società, detiene il potere e lo applica. Differenti modelli amministrativi possono coesistere nello stesso tempo ma non nello stesso luogo nella misura in cui esistono classi sociali differenti che detengono il potere e lo organizzano di conseguenza per i propri scopi, come nel caso qui preso in esame. La storia amministrativa dell’Asia minore nel I secolo a.C. ben si presta a mettere in luce ciò, nonché a fornire alcuni elementi per provare a leggere la guerra mitridatica non soltanto come lo scontro di eserciti differenti ma come scontro tra sistemi sociali e politici differenti.
1. Antefatto
Quando nel 133 a.C. l’ultimo sovrano di Pergamo, Attalo III, muore, il suo regno viene lasciato in eredità al Senato e al Popolo Romano. Quando la commissione romana incaricata di provvedere all’organizzazione territoriale arriva in Asia minore trova tuttavia la regione in rivolta: Aristonico, fratello illegittimo del defunto sovrano, si è proclamato re con il nome di Eumene III, iniziando a coniare moneta, organizzando una propria forza militare e cercando alleati nel regno.
Durante la crisi di successione si assiste all’esplodere di antichi contrasti e allo scompaginamento della regione, quando settori diversi del regno si scontrano al seguito di Aristonico da un lato e di Roma dall’altro: tendenzialmente le città della costa sostengono Roma, tranne Focea, mentre le aree rurali, le colonie macedoni e le regioni orientali di Misia e del regno si schierano con Aristonico (Ceruti, 1955). Concluso il durissimo conflitto, a cui hanno partecipato fornendo supporto militare anche i regni confinanti, i Romani si trovano, tramite il console Manio Aquilio, ad organizzare amministrativamente il nuovo territorio (Strabone, XIV, 1, 38). La provincia d’Asia di cui i Romani si ritrovano padroni a guerra finita non comprende tutto il territorio un tempo soggetto agli Attalidi, dato che la partecipazione alla guerra dei regni vicini, ciascuno con i propri interessi non necessariamente coincidenti con quelli romani, ha fatto sì che anche essi partecipassero alla spartizione delle spoglie del regno confinante: i figli di Ariarate di Cappadocia ottennero una parte della Cilicia in prossimità di Cybistra e la Licaonia (Strabone, XII, 1, 4; Giustino, Epitome, XXXVII, 1, 2), Mitridate V ottenne la concessione della Grande Frigia in maniera fraudolenta, corrompendo Manio Aquilio con una somma maggiore di quella offerta da Nicomede di Bitinia e ricevendo più di quanto meritato sul campo, fatto che creò malumori e dissidi a Roma culminati con l’accusa e il processo di Aquilio (dopo la morte di Mitridate nel 120 a.C. la concessione territoriale verrà ritirata) (Appiano, Guerra mitridatica, 57; Cicerone, Pro Cluentio, 127). La parte di Frigia ceduta non pare comprendesse la ricca, popolosa e urbanizzata regione di sud-ovest, stando alle indicazioni presenti sui cippi miliari della regione (IGRP IV, 880), mentre Nicomede di Bitinia e Pilemene di Paflagonia possono aver annesso ai propri possedimenti porzioni di Frigia Epitteto (Strabone, XII, 4, 1; VIII, 1; III, 7).
La provincia d’Asia che si viene a formare in un primo momento, senza la Frigia, ha le fattezze di una sorta di triangolo costruito attorno ai grandi tracciati viari realizzati da Aquilio che univano i centri abitati più importanti, passanti per Adramitto, Pergamo, Smyrna, Efeso, Tralle e Laodicea. L’espansione verso oriente dei confini provinciali deve essere avvenuta in due differenti riprese. La prima ha avuto luogo subito dopo la morte di Mitridate V, quando deve essere stata annessa la cosiddetta Grande Frigia, l’area dove sorgono Apamea e Synnada, in un periodo compreso tra il 119 e il 116 a.C., come lasciano pensare iscrizioni frammentarie rinvenute presso Arizli (OGIS 436; IGRP IV, 752; RDGE 13). La seconda, conclusa entro la data del 100 a.C., deve aver visto l’estensione dei confini provinciali fino al territorio di Philomelium, come mostrato nella lex de praetoriis provinciis dalla menzione dell’eparchia di Lycaonia (Insch. Knidos, I, 41). L’annessione della Caria è stata collocata da alcuni studiosi direttamente al 129 a.C. mentre altri la ritengono successiva alla guerra mitridatica (Jones A. H., 1971; Drew-Bear, 1972; Macro, 1980; Will, 1982; Liebmann-Frankfort, 1969; Reynolds, 1982; Baranovsky, 1996; Dmitriev, 2005). Risulta certo che dopo l’epoca sillana la Caria è parte della provincia d’Asia, come testimoniato da alcuni suoi decreti destinati alle città di Stratonicea e Tabae (RDGE 17; 18).

2. L’Asia prima e dopo l’arrivo dei Romani
Concluso il conflitto e ridotto a provincia il territorio, i Romani si sono ritrovati per la prima volta a dover amministrare direttamente un territorio del Mediterraneo orientale dove già esisteva un modello, implementato dai regnanti attalidi su basi ellenistiche, non dissimile dal sistema di amministrazione achemenide basato sulla satrapia e sui distretti controllati da città, regge o fortezze, strutturato sulle satrapie di Lidia (Polibio, XXI, 16), dell’Ellesponto (OGI 221), della Grande Frigia (OGI 224) e anche di Licia e Panfilia (Appiano, Guerra siriaca, 52-53; Strabone XVI, 3, 5). L’Ellesponto riprendeva quella che era la satrapia amministrata da Dascylium, pur in formato ridotto e privato delle propaggini orientali di Bitinia (Erodoto III, 90, 2; 120, 3; 126, 2; Elio Aristide, Orazione in onore di Roma, 29). La satrapia di Lidia, organizzata attorno a Sardi, un tempo estesa fino a comprendere anche la regione della Caria (Diodoro XVI, 47), venne poi ridimensionata dopo la creazione della satrapia amministrata dagli Ecatomnidi (Strabone, XIV, 2, 17). La satrapia di Frigia ruotava attorno a Celaenae/Apamea, città prospera che ospitava una reggia del sovrano (Senofonte, Anabasi, I, 2, 7-9; Savalli-Lestrade, 2001).
A loro volta queste grandi partizioni territoriali risultavano suddivise in realtà locali più piccole, a carattere cantonale, di cui riporta menzione Strabone: la Misia/Ellesponto risulta divisa in Olimpene, Pergamene, Elaitis, Teuthrania, Morene, Abrettene e Abaeitis (Strabone, XII, 8, 1-2; 9; 11; XIII, I, 69), Cizicene e Adramittene (Strabone, XIII, 1, 2-6), Lampsacene (Strabone, XIII, 1, 19), Caresene (Strabone, XIII, 1, 44), Dardania (dalla città di Dardano) e Cebrenia (Strabone, XIII, 1, 28; 33; 43-44). Oltre a questi distretti Plinio menziona una regio di Scepsis e una regio di Aphrodisias, oltre alla civitas Perperene definita come tractus degli Heracleotes, che però non è identificabile come distretto vero e proprio (Plinio, N.H., V, 122). Sulla Caria Strabone non riporta la divisione in distretti, mentre in Plinio si trova menzione della regio di Bubassus (Plinio, N.H., V, 104) e dell’Erizena/Erizene (Plinio, N.H., X, 124). A cavallo di Lidia e Frigia vi è la Catacecaumene (Strabone, XII, 8, 12; 18-19; XIII, 4, 5-6; 11; XIV, 1, 15), in Frigia si trovano l’Azanitis (Strabone, XII, 8, 11) e la Dindymene (Strabone, XII, 5, 3; XIII, 4, 5).
Tale cornice amministrativa, ricorrente in tutti gli stati ellenistici orientali, è pressocché inesistente nel Mediterraneo occidentale ed è aliena agli occhi dei Romani appena giunti, i quali anzi ragionano in termini di città-stato che si relazionano le une con le altre sulla base di accordi e trattati stipulati e ratificati da organi di amministrazione collegiale cittadini come il senato, più che in termini di sudditi che si relazionano con i membri di una corte inviati a governare. Questo modello amministrativo è tuttavia calato su un contesto territoriale in cui l’elemento urbano è ipertrofico e caratterizza sia la costa sia l’entroterra della nuova provincia, specialmente nel triangolo della Ionia-Caria-Lidia, sebbene il numero di 500 città fornito da Flavio Giuseppe sia iperbolico e il numero reale vada ridotto (Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica, II, 16, 4).
È sulla base di questa grande disponibilità di poleis dotate di organismi di autogoverno che i Romani introducono il proprio sistema amministrativo, il conventus, basato sull’identificazione di determinati centri e località in cui convocare e riunire i maggiorenti di una data realtà politica per ordine di un magistrato che avrebbe assegnato loro determinate istruzioni in merito a questioni di una certa importanza, di natura giuridica, militare, politica, come avvenuto in occasione della provincializzazione della Sicilia descritta da Livio (Livio, XXXI, 29; Fournier, 2010).
Spinti da ragioni politiche legate alle differenti fedeltà dimostrate dalle realtà demo-etnografiche locali durante la rivolta di Aristonico, i Romani ridisegnano la geografia amministrativa della provincia d’Asia dividendo il territorio in circoscrizioni prive di omogeneità etnica, applicando il principio del divide et impera mirato a spezzarne le solidarietà esistenti. Le città di Mileto, Efeso, Tralle, Alabanda, Mylasa, Smyrna, Pergamo, Sardi, Adramitto, identificate incrociando i dati epigrafici con la lista fornita da Plinio, alle quali poi si aggiungeranno Alicarnasso, Cizico, Apamea, Philomelium e Synnada nel corso del tempo, si trovano ad essere capoluoghi amministrativi e giuridici di nuovi distretti che finiranno con il plasmare alla fine nuove realtà amministrative ma che, nell’immediato, disarticolano l’organizzazione territoriale antecedente.
Si tratta di un processo traumatico che trova riflesso nelle parole di Strabone, il quale fa notare come la nuova organizzazione introdotta dai Romani non segua criteri di divisione su base etnica né tenga conto di eventuali rapporti preesistenti tra popoli, tribù e insediamenti sul territorio, stravolgendoli, ma si basi solo su criteri di comodità per i nuovi dominatori (Strabone, XIII, 4, 12), sebbene la scelta dei centri cittadini divenuti sede di conventus sia coincisa con quelle città che in epoca attalide erano state sede dell’attività di coniazione monetale, che vi ha avuto luogo anche in seguito, centri che ospitavano le sedi delle zecche reali ed erano capitali delle proprie eparchie, legando l’attività di produzione monetale alle funzioni di poli per la raccolta delle imposte e per l’amministrazione della propria circoscrizione (Carbone, 2016).
Questa cornice amministrativa, che sotto i Romani si manterrà stabile fino alla crisi di III secolo nei suoi elementi centrali, subisce una temporanea alterazione durante il primo conflitto contro Mitridate, quando sul principio degli anni ’80 a.C. il sovrano pontico invade la provincia d’Asia per poi attraversare il mare Egeo ed espandere la propria area di influenza sulla Grecia continentale.
3. Mitridate e la provincia d’Asia
La vicenda mitridatica è conosciuta essenzialmente grazie all’opera di Appiano che è posteriore di circa due secoli alle vicende narrate, oltre che alle informazioni presenti nella perioca di Livio, nel testo superstite di Cassio Dione e nelle biografie plutarchee dedicate a Silla, a Lucullo e a Pompeo, opere che a differenza del testo di Appiano non affrontano se non di sfuggita il problema dell’organizzazione amministrativa dei territori conquistati dal sovrano pontico e sfortunatamente le altre fonti a nostra disposizione sono poche, limitate ad alcune epigrafi.
Appiano riferisce che Mitridate, dopo aver sconfitto le forze romane presenti in Asia e aver giustiziato il legato Manio Aquilio una volta entrato trionfalmente a Pergamo, antica capitale del regno attalide, si sarebbe preoccupato di assegnare ai vari popoli dei satrapi, per poi venire accolto a Magnesia, Efeso e Mitilene (Appiano, Guerra mitridatica, 21). Plutarco riporta anch’egli la nomina dei governatori e la distribuzione delle cariche amministrative, utilizzando i termini di dynasteias e tyrannidas, potentati e tirannidi, assegnate a quelli che sono i philoi di Mitridate ossia gli ufficiali e i membri della corte, composti in misura non indifferente da figli e figliastri del sovrano (Plutarco, Vita di Silla, 11; Bearzot, 2003). Le fonti disponibili non consentono di poter dire se Mitridate abbia riesumato integralmente il sistema amministrativo pre-romano o se vi abbia introdotto delle modifiche, ed è di conseguenza impossibile fornire una lista delle satrapie in cui venne temporaneamente riorganizzata la provincia d’Asia, è tuttavia lecito supporre l’esistenza di una satrapia di Caria la cui esistenza può essere desunta dalla lettera inviata da Mitridate al satrapo Leonippo concernente il filoromano Cheremone figlio di Pitodoride (I. Nysa, 7), rinvenuta presso Nysa in Caria, sua città natia. Un’altra menzione di tale satrapia è databile al periodo della terza guerra mitridatica quando, pur non attuando un’occupazione della provincia d’Asia per via della rapida risposta romana, Mitridate sembrerebbe aver inviato ufficiali con incarichi amministrativi nella regione, come emergerebbe da una menzione indiretta da parte di Svetonio, il quale ricorda come il giovane Cesare, trovandosi a Rodi dopo essersi vendicato dei pirati che lo avevano rapito, si sarebbe mosso alla volta della provincia d’Asia occupata venendo in soccorso degli alleati di Rodi, combattendo e scacciando quello che viene genericamente definito come un prefetto del re Mitridate che stava devastando le regioni vicine (Svetonio, Vita di Cesare, 4).

L’annotazione da parte di Appiano della riorganizzazione politico-amministrativa dei territori sottratti ai Romani ha il pregio di far emergere quello che è lo scontro tra due sistemi politico-amministrativi differenti, funzionanti secondo dinamiche differenti, che accompagna sottotraccia la guerra mitridatica. La provincia d’Asia è, fino alla creazione pompeiana della provincia di Bitinia-Ponto, l’unica struttura amministrativa romana in mezzo al mare dell’ellenismo nel Mediterraneo orientale e la guerra mitridatica rappresenta l’unico tentativo parzialmente riuscito per brevissimo tempo, attuato da un regno sorto dalle ceneri dell’impero di Alessandro, di riconquistare dei territori caduti in mano romana. In conseguenza di ciò appare con maggior chiarezza il problema della riorganizzazione territoriale vista dalla parte di Mitridate, rappresentando il contraltare rovesciato di quella che sarà l’opera di Pompeo nel cuore dei possedimenti di Mitridate dopo la sua sconfitta.
Dopo aver provveduto ad assegnare i satrapi ai vari popoli, ossia dopo aver provveduto a ripristinare quella che era la divisione territoriale su base etnica antecedente all’arrivo dei Romani e dopo aver piegato la resistenza di Stratonicea, che in un decreto onorifico per i propri caduti menziona la guerra proprio contro il re e i suoi satrapi (I. Stratonikeia 1333), Mitridate, approfittando dell’impegno di Silla negli scontri civili in Italia, inviò a tutti i satrapi e a tutti coloro che avessero il potere nelle poleis le indicazioni per compiere l’eccidio di massa degli Italici presenti in loco per poi spartirne le spoglie insieme a Mitridate stesso loro sovrano. Sappiamo da Strabone che ad Adramitto il concilio cittadino venne sterminato su ordine di Diodoro, che il geografo di Amasia qualifica come filosofo accademico, insegnante, retore e dispensatore di giustizia, il quale grazie alla carica di stratego avrebbe compiuto il massacro compiacendo Mitridate (Strabone, XIII, 1, 66). La mancanza di informazioni esaustive sull’organigramma amministrativo pontico (Reinach, 1890) e la tendenza delle fonti letterarie ad utilizzare in maniera disinvolta e priva di chiarificazioni una titolatura che potrebbe essere riferita tanto alle magistrature cittadine quanto a quelle rege, usata spesso anche per tradurre in greco cariche romane, impedisce di dire con certezza se il titolo di stratego assegnato a Diodoro indicasse una magistratura cittadina di Adramitto oppure invece sia da riferirsi alla divisione in strategiai propria del regno pontico e di quello cappadoce da cui derivava la sua nascita (Strabone, XII, 1, 4). Due iscrizioni provenienti dal Chersoneso e dalla città di Istros, datate all’epoca di Mitridate, possono forse far luce sulla questione. La prima è un’epigrafe in onore di Diogene di Amastri, inviato alla città in qualità di stratego e onorato per aver liberato un messo cittadino sequestrato dagli abitanti di Bisanzio (SEG 47, 1125); la seconda iscrizione è un decreto in onore di un uomo qualificato come stratego di Amiso che sarebbe stato inviato alla città dedicataria dell’iscrizione proprio da Mitridate (SEG 52, 735). Strabone riporta l’esistenza del distretto di Amiso accanto alle altre differenti strategiai su cui si articolava il regno pontico sebbene i passi dedicati all’Amisene siano un po’ confusi e non del tutto chiari (Strabone, XIII, 3, 14-16; Cicerone, Sul comando di Pompeo, 8, 21) ma, data la già citata nomina dei satrapi, nulla vieterebbe di pensare che il sovrano pontico abbia provveduto a nominare anche degli strateghi a capo delle suddivisioni amministrative locali dell’ex provincia romana d’Asia.
Insieme alle istruzioni per compiere il massacro concordato su scala provinciale, Mitridate avrebbe anche fatto circolare informazioni su quello che si potrebbe definire come un programma politico volto a colpire gli interessi delle classi sociali su cui poggiava il potere romano, proponendo la liberazione degli schiavi e il condono di metà del debito dei debitori nei confronti dei creditori (Appiano, Guerra mitridatica, 22). Si tratta senza dubbio di rivendicazioni e proposte classiche, che vanno a toccare problematiche sociali ben note per il mondo antico, e che riecheggiano quella che era stata la parabola di Aristonico, il quale aveva raccolto l’appoggio sia dell’elemento servile sia di quello rurale dei piccoli proprietari e dei coloni militari in opposizione alle aristocrazie delle città (Strabone, XIV, 38).
La sconfitta delle armate pontiche in Grecia presso Cheronea, per mano di Silla, mise in discussione la posizione di Mitridate in Asia, portandolo a sospettare dell’affidabilità degli alleati e della stabilità del proprio controllo, da questo punto di vista già messo all’erta da un episodio accaduto durante lo scontro navale con i Rodii in cui una nave dei Chii, formalmente alleati del sovrano pontico, aveva cercato di speronare la nave regia. Dopo aver fatto sequestrare i beni dei cittadini di Chio andati in esilio volontario presso Silla e aver censito le proprietà dei Romani in loco, Mitridate fece abbattere le mura cittadine, pose dei presidi militari, fece disarmare i cittadini rimasti e si fece consegnare come ostaggi i figli dei maggiorenti locali, inviando una lettera in cui oltre a ricordare il suddetto episodio navale veniva menzionato anche il supporto fornito di nascosto a Silla e denunciato una sorta di doppio gioco da parte dei Chii sobillati dai filoromani, multandoli per un importo di 2000 talenti, per poi far deportare verso il Ponto i cittadini ma non gli stranieri residenti. Quando lo stesso trattamento venne tentato con gli Efesini vi fu una reazione che portò all’incarcerazione degli ufficiali pontici incaricati di espletare il compito assegnato e l’esplosione di una ribellione che coinvolgeva anche Tralle, Ipepa, Metropolis e altre città che inizialmente si erano mostrate sostenitrici del sovrano pontico, ribellioni represse ma a cui Mitridate dovette rispondere concedendo la libertà alle città greche, annunciando l’abolizione dei debiti e dando la cittadinanza ai meteci e la libertà agli schiavi (Appiano, Guerra mitridatica, 46-48).
Si potrebbe vedere in esse la demagogica reiterazione delle stesse concessioni avanzate in occasione della sua prima trionfale entrata nella provincia d’Asia, volte a soddisfare le esigenze dei settori economicamente svantaggiati come i debitori, tuttavia le misure in favore degli esclusi dai processi decisionali locali come i meteci privi di cittadinanza sono una novità e nel complesso rappresentano lo sforzo del sovrano di ricompattare una propria base di consenso con cui provare a riprenderne il controllo sulle città, dopo che la sconfitta militare in Grecia aveva ridato fiato ai settori filoromani rimasti sulla difensiva dopo l’eccidio degli Italici e che ora passavano alla controffensiva, segnando il tentativo di modificare a proprio vantaggio la composizione delle assemblee cittadine e alterare quelli che potevano essere gli esiti del processo decisionale interno alla polis dal momento che, come ben nota Appiano, “Mitridate sperava che i meteci resi cittadini e gli schiavi resi liberi gli divenissero fedeli ritenendo che sotto il suo regno avrebbero conservato le concessioni ottenute”. Proposte simili, volte ad accattivarsi il favore delle medesime categorie di esclusi oppure di elementi economicamente vessati, vengono avanzate anche dalla parte avversa a Mitridate, evidentemente intenzionata a sfruttare pienamente l’occasione presentatasi con l’indebolimento del potere pontico e a rinforzare il fronte dell’opposizione al sovrano. Dopo l’eliminazione di Zenobio, l’incaricato di applicare ad Efeso il trattamento a cui era stata sottoposta Chio, il demos efesino emana un decreto in cui oltre a dichiarare guerra a Mitridate stabilisce la cancellazione dei debiti, conferma la concessione della cittadinanza a chi l’aveva ricevuta fino a quel momento e la garantisce ai liberti e agli stranieri residenti che avessero preso le armi contro il sovrano pontico, mentre agli schiavi pubblici sarebbe stata concessa la libertà e lo status di stranieri residenti in cambio dell’arruolamento (Syll. 742).
In questo stesso periodo si registrano una serie di congiure e complotti volti ad eliminare Mitridate, portati avanti da elementi originari delle città greche e a lui vicini, intimi per usare le parole di Appiano, che cita gli smirnei Minnione e Filotimo e i lesbi Clistene e Asclepiodoto, il quale una volta aveva ospitato lo stesso sovrano (Appiano, Guerra mitridatica, 48). Unendo le scarse informazioni disponibili è possibile ipotizzare che anche a Smirne debba esserci stato un mutamento nei rapporti di forza a livello dell’assemblea cittadina sfavorevole al sovrano pontico se è vero, come riporta Tacito, che gli abitanti riuniti in contionem decisero di spogliarsi dei propri indumenti e inviarli all’esercito sillano che pativa per i rigori dell’inverno e per la mancanza di coperture (Tacito, Annali, IV, 56), mentre Pergamo, sede del potere di Mitridate, vide anch’essa l’organizzazione di una congiura di qualche genere nella quale erano coinvolte ottanta persone, mentre un totale di 1600 sarebbero state quelle condannate a morte per attività simili in altre città in seguito alla reazione del sovrano pontico (Appiano, Guerra mitridatica, 48; OGIS 764; Jones C. P., 1974; Genovese, 2011).
4. Scontro di sistemi
L’annessione della provincia d’Asia deve aver posto a Mitridate un problema non previsto rappresentato dalla gestione del rapporto con le poleis greche, che il sovrano pontico cerca inizialmente di articolare sul ricorso a quelli che vengono definiti come tiranni nelle fonti di parte romana. Oltre al caso di Aristione/Atenione concernente la città di Atene, che qui non viene preso in esame perché appartenente ad un’altra area geografica che sembrerebbe esclusa dall’ordinamento in satrapia (Appiano riferisce l’istituzione di satrapi per la Macedonia da parte di Arkathias ma non fa menzione di un eventuale ordinamento della Grecia, che anzi sembra configurarsi come un territorio retto da alleati di vario genere ma non amministrato direttamente. Appiano, Guerra mitridatica, 29; 35), le poche fonti disponibili hanno conservato solo il ricordo dei figli di Cratippo che ebbero per breve tempo il potere a Tralle (Strabone, XIV, 1, 42), di Epigono a Colofone (Plutarco, Vita di Lucullo, 3) e di Filopemene, padre di Monime e suocero di Mitridate insediato come episkopos a Efeso (Appiano, Guerra mitridatica, 48), senza tuttavia far ulteriore luce sulla politica mitridatica; la menzione plutarchea di una Berenice di Chio tra le mogli del sovrano pontico, lascerebbe pensare che qualche dinamica di tal genere abbia riguardato anche tale città (Plutarco, Vita di Lucullo, 18).
Per quel poco che è concesso intuire, le modalità di relazione con le poleis, in linea con quelle che furono le strategie di gestione messe in atto a suo tempo dall’impero achemenide (Erodoto, Storie, IV, 137-138; Arriano, Anabasi di Alessandro, I, 17, 10-12; 18, 1-2; Plutarco, Vita di Alessandro, 31), sembrano far pensare che Mitridate abbia in qualche modo cercato di replicare nella provincia d’Asia l’impianto amministrativo vigente nel Ponto convertendo la polis in qualcosa di simile alla fortezza controllata da ufficiali nominati dal sovrano o dipendenti da legami di parentela di qualche genere, legami sanciti e regolati dall’entrata delle loro mogli e delle loro figlie nel novero delle concubine regie e utilizzate di conseguenza come strumento per regolare i rapporti tra generali e principi (Plutarco, Vita di Pompeo, 30), senza però riuscire ad eliminare il sistema di autogoverno assembleare su cui si fonda la polis. Fintantoché la fortuna arrideva al sovrano pontico e gli interessi del trono e dell’assemblea cittadina non erano apertamente divergenti era possibile una qualche forma di convivenza tra i due poteri (Ballesteros Pastor, 1996), quando però l’astro di Mitridate si è incrinato allora si sono manifestati i problemi nel rapporto con le città. Allo stesso tempo il tentativo di recuperare il rapporto con l’assemblea cittadina servendosi di concessioni di natura economica come la remissione dei debiti e di natura politica con la concessione della cittadinanza ai meteci, nella speranza che modificando la base dei votanti si potessero modificare i processi decisionali e quindi la direzione cittadina, ha portato al sorgere di problemi nei circoli di corte con la nascita di complotti e congiure. Memnone di Eraclea riporta la notizia secondo cui Mitridate, dopo aver punito Chio, procedette ad assegnare ai propri uomini possedimenti terrieri. È ipotizzabile che decisioni simili siano state prese anche altrove e che le nuove disposizioni volte ad ingraziarsi alcuni settori delle città possano aver danneggiato gli interessi personali di ufficiali reali (Memnone, Storia di Eraclea, 23).
Le poleis sono entità politiche al proprio interno divise tra la fazione aristocratica, quella popolare e l’elemento servile, settori che si scontrano tra loro e che interagiscono per risolvere i propri problemi all’interno di un orizzonte che però è espressamente cittadino e caratterizzato dalla gelosa difesa della propria autonomia, fattore questo che mina alla base il pieno controllo locale che Mitridate vorrebbe avere. Pergamo e Tralle sulla base di una decisione ufficiale promanata dall’assemblea scelgono di chiudere le porte cittadine in faccia a Flacco e appoggiare Mitridate, salutandolo come signore, padre, salvatore dell’Asia e attribuendogli caratteri divini invocandolo come Evio, Nisio, Bacco e Libero (Cicerone, Pro Flacco, 57; 59). Smirna, pur alleata di Mitridate, mantiene in vigore le festività celebrative in onore di Muzio Scevola, amato in qualità di pretore per via della propria onestà e incorruttibilità (Cicerone, Contro Verre, II, 2, 51), così come in senso contrario Rodi, pur assediata dal sovrano pontico e impegnata in un’accanita e vittoriosa resistenza, non abbatte la statua dedicatoria dello stesso Mitridate, collocata nel centro cittadino (Cicerone, Contro Verre, II, 2, 159). Efeso, Pergamo, Adramitto, Tralle, Caunos partecipano al massacro degli Italici (Appiano, Guerra mitridatica, 23) e meno di due anni più tardi Efeso e Tralle, insieme ad Ipepa, Metropolis, Nysa, Tabae, Afrodisia di Caria e altre città, si rivoltano al sovrano. Smirna emette moneta aurea con l’effige di Mitridate e poi vede sorgere una congiura a suo danno. Anche l’accusa mossa a Diodoro Zona, retore autore di una serie di epigrammi, di aver cercato di far sollevare le città asiane contro Mitridate, accusa poi confutata dallo stesso Diodoro durante il processo che si concluse con un’assoluzione, evidenzia le frizioni tra il trono e le realtà cittadine asiane (Strabone, XIII, IV, 9). Persino in un’area geografica più vicina al proprio regno e in un certo senso più esposta all’influenza politica e ideologica della monarchia mitridatica, quale la regione di Eraclea Pontica, il rapporto tra sovrano e città è complesso. La città, infatti, intervenne per liberare i Chii deportati verso il Ponto attaccando le navi sulle quali erano trasportati, poiché tra Eraclea e Chio vigevano antichi trattati di alleanza (Memnone, Storia di Eraclea, 23); in occasione della terza guerra mitridatica, quando le navi di Mitridate navigarono vicino alla città, questa non consentì loro l’accesso ma nondimeno inviò i rifornimenti richiesti per vedere poi due notabili locali, Sileno e Satiro, sequestrati dal comandante pontico Archelao che li trattenne fin quando non acconsentirono a fornire cinque triremi per sostenere lo sforzo bellico contro i Romani i quali, di conseguenza, considerarono Eraclea come un città nemica sebbene fino a poco tempo prima richiedessero da essa contributi e vi inviassero i propri esattori fiscali causando attriti e frizioni con la cittadinanza (Memnone, Storia di Eraclea, 27, 5).
Pur provando a favorire una delle classi sociali che compongono le poleis rispetto alle altre oppure provando a favorirne alcuni settori in coalizione contro altri, le città nel complesso non sono realmente integrabili in un sistema quale quello pontico, in cui è la corte del re a prendere le decisioni politiche fondamentali che vengono poi applicate localmente dagli ufficiali designati dal palazzo. In questo consiste il nodo gordiano di Mitridate che di fatto gli impedisce di far fronte alle sconfitte militari in Grecia vedendo sfarinarsi tra le mani il controllo sulla provincia d’Asia e vanificando i suoi tentativi militari di sconfiggere Roma e mettere in piedi un dominio stabile proiettato verso occidente, così come la mancanza delle poleis rappresenta specularmente un ostacolo per i Romani.

Proprio questo modo di ragionare e concepire la politica e la libertas, inteso come sintesi inscindibile di authonomia kai eleutheria, ossia principio per cui qualsiasi decisione venga presa dalla polis deve essere un prodotto della dialettica politica interna alla polis stessa e non una direttiva imposta dall’esterno da parte di un’autorità altra ed estranea a quelli che sono gli organi decisionali cittadini, traspare dal discorso di Silla ai maggiorenti riuniti ad Efeso a guerra conclusa per ricevere le nuove disposizioni imposte dal vincitore e per rendere conto delle azioni supportate dalle rispettive poleis sotto il potere di Mitridate. La natura punitiva del redde rationem sillano è evidente, come evidente è la dinamica imperiale sottesa al fatto che un potere esterno alla polis, in virtù della vittoria bellica, si sostituisca al potere mitridatico e imponga dall’esterno delle direttive anche pesanti e umilianti (Plutarco, Vita di Silla, 25), cercando però un’interlocuzione con le classi agiate che si spartiscono il potere locale in maniera oligarchica ma collegiale (Cicerone, De officis, III, 87). Silla inizia il suo discorso ricordando come i Romani siano giunti in Asia la prima volta per scontrarsi con il sovrano seleucide Antioco, ricacciandolo al di là del Tauro senza però porsi come nuovi padroni delle poleis asiane; procede poi a menzionare la rivolta di Aristonico, attribuendo però alle città rappresentate ad Efeso una compartecipazione alla rivolta che esse non hanno realmente avuto, facendo ricadere sulle élite greche responsabilità che invece erano proprie delle aree rurali e dei settori di piccoli proprietari terrieri legati alle colonie militari ellenistiche, per poi infine citare l’elemento più infamante e oltraggioso rappresentato dal massacro degli Italici. Atto di cui però gli asiani avrebbero pagato il fio a Mitridate, resosi responsabile nei loro confronti di uccisioni e confische, perpetrando ridistribuzioni di terre, cancellazioni di debiti e liberazione di schiavi e imponendo tiranni alle città (Appiano, Guerra mitridatica, 62). Azioni queste che andavano a ledere direttamente gli interessi delle classi dominanti verso cui Roma aveva riposto delle aspettative che ora percepiva come tradite. In maniera similare, ma rovesciata, Silla si congratula e omaggia i magistrati, la boulé e il demos di Stratonicea per aver prontamente e saldamente mosso guerra a Mitridate (OGIS 441).
Se i rapporti tra Roma e le poleis asiane si svolgono tramite l’interlocuzione di magistrati romani da una parte e organismi collegiali e collettivi dall’altra, viceversa i rapporti tra Roma e regno mitridatico vengono gestiti sempre rivolgendosi a singoli esponenti della corte e personalità distinte che ricoprono incarichi differenti e che hanno potere decisionale su territori e centri abitati; non sono rappresentanti collettivi o di realtà oligarchiche e collegiali come per le poleis, ma singoli individui dotati di un potere delegato dal sovrano come esemplificato dagli episodi di Stratonice e dei parenti materni di Strabone. Stratonice, figlia di un citarista a cui Mitridate, dopo essersi invaghito di lei, fece dono di ricchezze e di un cavallo bardato come quelli dei philoi, aveva ricevuto dal sovrano pontico la custodia della fortezza di Kainov, dove era custodito il maggiore tra i tesori del re nonché il suo archivio segreto. Sulla spinta dell’avanzata romana guidata da Pompeo e del disfacimento del regno di Mitridate, Stratonice decise di consegnare la fortezza nonché i tesori e gli archivi custoditi a Pompeo (Plutarco, Vita di Pompeo, 36-37). Differente il racconto di Cassio Dione, secondo cui Stratonice avrebbe consegnato invece la fortezza di Symphorion (nomen omen della funzione del forte quale deposito dei tesori regi) a Pompeo in un gesto di rabbia nei confronti di Mitridate che l’avrebbe abbandonata lì durante la fuga. Significativo che Cassio Dione riporti l’informazione secondo cui Stratonice avrebbe prima fatto allontanare la guarnigione con l’ordine di raccogliere provviste per poi consegnare la fortezza, indizio del suo potere sulle truppe di stanza colà (Cassio Dione, Storia romana, XXXVII, 7, 5). Per quanto riguarda i parenti materni di Strabone invece è lo stesso geografo a fornire informazioni in due passi diversi della sua Geografia. Un caso riguarda il bisnonno Lageta, facente parte dell’entourage di Mitridate, che cercò di far sollevare il regno per passare nel campo romano e ottenere per sé il potere (Strabone, Geografia, X, IV, 10), coinvolgendo nella congiura anche il cugino Dorylaos che ricopriva il sacerdozio di Comana. Un altro riguarda il nonno di Strabone il quale, vedendo che Mitridate era in cattive acque durante la guerra contro Lucullo, decise di disertare, spinto anche dal risentimento verso l’uccisione del cugino ordinata dal sovrano pontico, consegnando a Lucullo quindici fortezze (Strabone, Geografia, XII, III, 33).
5. Scontro di culture o scontro tra sistemi sociopolitici?
È stato fatto notare come il regno del Ponto fosse, da un punto di vista culturale, qualcosa di molto articolato e complesso e, di conseguenza, lo stesso sovrano pontico fosse politicamente sfaccettato e non inquadrabile sotto rigide categorie di ellenismo o iranismo, ma al contrario indossasse di volta in volta abiti differenti a seconda dell’interlocutore e delle necessità del momento, presentandosi ora nelle vesti di un sovrano iranico e ora invece provando a rispettare l’autonomia degli organismi delle poleis (McGing, 2014); allo stesso modo è stata fatta notare l’eterogeneità degli argomenti della propaganda mitridatica utilizzati in funzione antiromana, ricorrendo ora ad elementi propri della tradizione greco-macedone presentandosi come l’erede di Alessandro e il difensore dei Greci dai barbari Romani oppure come il liberatore delle poleis dall’oppressione tirannica e saccheggiatrice dei pubblicani, ed ora ricorrendo ad elementi propri della tradizione iranica o asiatica ribaltando lo schema, originatosi con le guerre persiane, dello scontro tra Europa e Asia (Russo, 2009). Al di là di tali riflessioni, che in alcuni casi hanno visto la proposta di vedere in Mitridate una sorta di unificatore di oriente e occidente nelle vesti di un sovrano al contempo ellenistico e orientale, impersonato dalla figura mitologica di Perseo che abbonda nella produzione monetale del suo regno (McGing, 1986), resta però il fatto che il modello sociopolitico portato da Mitridate non dipende in astratto da elementi culturali, ma al contrario sono quegli elementi culturali a discendere da una realtà sociopolitica preesistente di per sé, con i suoi assetti di potere già consolidati, che il sovrano si incarica di tutelare, preservare ed estendere. Presa Efeso, Mitridate cercò il sostegno del clero dell’Artemision tramite concessioni come l’estensione del territorio soggetto a diritto d’asilo, accresciuto tramite un teatrale tiro di freccia che avrebbe dovuto stabilirne i nuovi confini. Il tempio, stando alle informazioni riportate da Strabone, presentava elementi che evidenziavano un forte legame con l’Asia e i suoi valori tradizionali, essendo stato controllato da eunuchi chiamati Megabizi ed avendo goduto poi, in un’epoca successiva, di concessioni simili elargite da un altro personaggio politico che guardava ad oriente come Antonio, mentre Augusto al contrario procedette ad una loro cancellazione (Strabone, Geografia, XIV, I, 23).
La ricerca del consenso del clero e il tentativo di utilizzare l’elemento religioso a scopi politici per legittimare il proprio potere, rinsaldare il morale dei sottoposti e rinforzare la coesione interna del proprio fronte è qualcosa di usuale per Mitridate, visto il peso sociale, economico e politico che avevano in Ponto e Cappadocia gli stati templari. Mitridate, dopo aver respinto l’attacco di Murena e averne scacciato i presidi dalla Cappadocia, si affretta a celebrare l’evento attraverso un rito in onore di Zeus Stratios, divinità di origine caria poi diffusasi in Asia minore ed associato ad Ahura Mazda in ambienti iranici (Cumont, 1901), secondo quello che Appiano definisce come il costume patrio. Come riporta lo storico, Mitridate offre il sacrificio su un monte altissimo, accatastando legna su due strutture sovrapposte e versando sulla catasta più alta latte, miele, vino, olio e altri aromi da bruciare, mentre su quella più bassa vengono posti pane e carne che fungeranno da banchetto per i presenti secondo uno schema comune anche ai riti dei sovrani persiani a Pasargade. Una volta acceso, il rogo delle cataste risulta visibile fino a mille stadi di distanza da chiunque nell’area (Appiano, Guerra mitridatica, 66). Pur con alcune differenze, si tratta dello stesso rito di cui riporta notizia Strabone, che viene eseguito dai magi sulla sommità di montagne ben visibili dalla distanza in onore del cielo identificato con Zeus, diffuso in ambienti iranici e nelle aree più orientali dell’Asia minore (Strabone, Geografia, XV, III, 13-15).
La decisione di celebrare in onore di Zeus Stratios come pure le modalità di esecuzione del rito, di natura persiana, nonché il luogo montuoso in prossimità di Amasia in cui è avvenuto, non sono casuali ma sono il riflesso di assetti le cui radici affondano nella realtà sociale, politica, economica e territoriale dell’Asia minore e dell’area iranica, caratterizzata da rilievi, vallate, valichi e picchi montani che hanno contribuito a plasmare una realtà in cui non è tanto la polis l’elemento caratteristico con i suoi organi di governo, quanto il villaggio dipendente da un tempio, da un palazzo reale o da una fortezza che controlla la terra e le risorse (Senofonte, Anabasi, IV, 4). Amaseia ospita un palazzo reale ed è pienamente logico che Mitridate abbia sfruttato a fini propagandistici i vantaggi offerti dal terreno per mostrare i propri muscoli e garantire un’eco di natura visiva alla propria vittoria, facendo cambiare partito a molti in suo favore, come ricordato nel relativo passo da Appiano. Una cornice caratterizzata da elementi simili è rinvenibile anche in altre aree dell’Asia minore, quali ad esempio Labraunda in Caria e Mamurt Kale in prossimità di Pergamo, analizzati, al pari di Amaseia (Williamson, 2014, N.2), nell’ambito degli studi sui legami tra i centri religiosi, i monti o le località sopraelevate e il potere politico. È stato fatto notare come il santuario di Zeus a Labraunda abbia a lungo svolto il ruolo di complesso religioso all’aperto, senza strutture architettoniche degne di sorta fino al IV secolo a.C. quando Mausolo, della dinastia degli Ecatomnidi che tradizionalmente deteneva la satrapia di Caria sotto i Persiani, trasferì la capitale da Mylasa ad Alicarnasso ed iniziò un’opera di monumentalizzazione di Labraunda, riorganizzandone lo spazio sacro ed estendendo la durata delle festività in onore di uno Zeus, quello cario, dai tratti caratteristici marcatamente guerrieri e bellicosi, provando a unire insieme il rispetto e il timore tributati alla divinità dalle persone con quello tributato agli Ecatomnidi in quanto satrapi della regione. Discorso simile è stato avanzato anche per il tempio della Madre degli Dei a Mamurt Kale, situato su un picco lontano dalle principali vie di comunicazione che però gode di una buona visibilità da tutte le vallate prossime al massiccio. Nel III secolo a.C. il sito vide una monumentalizzazione per opera dell’attalide Filetero, in un periodo di consolidamento ed espansione del regno attalide, il quale, sfruttando la posizione favorevole del tempio, puntava ad estendere l’influenza pergamena a livello territoriale e proiettarne il potere su un’area da cui ci si aspettava di poter ottenere un certo riconoscimento politico proprio tramite il controllo di un santuario che serviva da punto focale del territorio grazie alla propria visibilità (Williamson, 2014). Si tratta di una prassi consueta per l’Asia minore e il Vicino e Medio Oriente, in cui il potere esercitato dal tempio o dal palazzo deriva dal suo essere stato un punto di incontro evolutosi poi in centro di controllo e di accumulo di risorse e offerte di varia entità attraverso un processo risalente di fatto ad epoche antichissime, addirittura preistoriche, quando vennero poste le basi per lo sviluppo di società più articolate, e che poi si è conservato in varie modalità in epoca storica, quando la sedentarizzazione della popolazione e il passaggio dalla caccia-raccolta all’agricoltura hanno portato alla nascita di villaggi tra loro collegati proprio dai templi controllati, in varie modalità, dai discendenti delle élite di quei gruppi (Schmidt, 2011). Tale cornice, di per sé storicamente non esclusiva dell’Asia minore, era andata però dissolvendosi in Grecia già da secoli, dove un diverso tipo di società si era nel frattempo sviluppato con assetti economici e politici differenti rispetto a quelli dell’Asia minore (Godart, 2011), i quali però sono stati poi ereditati dalle monarchie ellenistiche dopo le conquiste di Alessandro, facendo sì che l’ideologia della casa regnante si intrecciasse all’elemento religioso per garantire il controllo territoriale e rinsaldare la coesione interna attraverso una rete i cui nodi non potevano essere costituiti dalle poleis e dai loro organi politici, al cui posto invece si trovavano altri attori. Sotto quest’ottica le mosse intraprese da Mitridate nella provincia d’Asia sono più che comprensibili e logiche, come logico è stato il tentativo di ingraziarsi il clero di Efeso; Mitridate non ha fatto altro che applicare tutte le lezioni apprese in merito al governo e all’amministrazione del suo regno, però c’è un problema insormontabile di cui non ha potuto venirne a capo: la provincia d’Asia non è il Ponto o la Cappadocia (o quantomeno non lo è più da quando le poleis sono aumentate in numero tale da modificarne gli assetti economici e sociopolitici) e ad Efeso non è il tempio a detenere il potere politico e prendere le decisioni, bensì sono il senato cittadino e l’assemblea, su cui Mitridate non ha un controllo diretto.
6. Conclusioni
Il conflitto con Mitridate deve aver lasciato un segno duraturo nelle menti romane, il cui riflesso giunge parziale nelle poche fonti superstiti. Cionondimeno è possibile ricavare un quadro in cui lo shock da parte romana non è attribuibile solo a cause belliche o all’efferata spregiudicatezza del sovrano pontico, che pure hanno avuto il loro peso, ma anche al fatto di trovarsi ad affrontare una realtà politico-amministrativa che non ragionava in termini di civitates o poleis dotate di senato e assemblea. Tematica riflessa nel confronto plutarcheo tra Silla e Lisandro, dove si ricorda come Silla, una volta riconquistata Atene, ne preservò la libertà e l’autonomia, mentre al contrario Lisandro ne abbatté la democrazia per instaurarvi i tiranni, corrotto dalle usanze orientali (Plutarco, Vita di Silla, 43).
La restaurazione del controllo romano sulla provincia d’Asia ha significato il ripristino del sistema amministrativo del conventus. Il sistema amministrativo impiantato dai Romani, caratterizzato da una gerarchia tra i differenti centri della circoscrizione ruotanti attorno alla sede del conventus, si è rivelato più adatto a valorizzare l’elemento greco e urbano rispetto a quanto avveniva nei sistemi amministrativi di tipo ellenistico-orientale. Presupponendo l’autonomia poliadica locale e una certa dinamicità nei rapporti tra centro e periferia, il sistema ha implicato la cooptazione delle élite locali e il loro coinvolgimento nella gestione provinciale, rendendole responsabili delle proprie scelte, portando però la stessa amministrazione romana a interessarsi alle richieste provenienti dalle città volte a ottenere riconoscimenti e gratifiche, tutelare prerogative e diritti dei diversi capoluoghi che si relazionano con Roma. Il sistema dei conventus si è venuto a configurare come un organo intermedio con cui il centro politico di Roma si relaziona alla realtà locale e alle sue esigenze, mediate dalle élite cittadine, e la integra nella compagine imperiale attraverso un sistema di centri amministrativi e politici di natura concentrica all’interno di un contesto imperiale (Heller, 2000/2001; Arrayás Morales, 2013; Salmeri, 2007; Appiano, Guerra mitridatica, IX, 61-63). Il funzionamento di tale cornice amministrativa è però possibile solo nella misura in cui esistano localmente delle realtà poliadiche, dotate quindi di un corpo politico che prende delle decisioni ed è ritenuto collettivamente responsabile di fronte a Roma; nella misura in cui tale corpo politico è assente e al suo posto vi è invece il villaggio in cui il potere non è esercitato dalla cittadinanza ma da elementi della corte regia inviati in loco o da aristocratici e dinasti che non sono soggetti al controllo degli organi collegiali civici allora la mentalità romana vi identifica un problema, che è al contempo politico e culturale che non è in grado di risolvere a meno di investire tempo e risorse per modificarne la base economica, preferendo lasciare tali territori sotto il controllo di sovrani e dinasti alleati più o meno gestibili.

Alessio F. Leo
Alessio F. Leo è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano e ha conseguito un Dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa. Si occupa di storia romana nell’area del Mediterraneo orientale.
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