di Davide Galluzzi
La Storia dell’umanità, lo sappiamo bene, è piena di avvenimenti, scoperte e opere grandiose, ma anche di abissi e tragedie che hanno segnato generazioni intere. In questa seconda categoria rientra, indubbiamente, il tristemente noto massacro di San Bartolomeo, avvenuto a Parigi nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572 e propagatosi poi in tutta la Francia.
La strage dei principali esponenti ugonotti e l’eccidio di migliaia e migliaia di seguaci della fede riformata avvenne nel contesto delle Guerre di religione che funestarono la Francia nel corso del XVI secolo e, per meglio comprendere il tragico avvenimento, dobbiamo ripercorrere le vicende non solo ricostruendo quanto accaduto, ma anche esplorando quel territorio meno visibile, ma certamente assai importante, che è il mondo delle convinzioni, del pensiero e della fede religiosa.
- La notte di San Bartolomeo: il contesto e gli avvenimenti
Come accennato brevemente durante il corso del XVI secolo la Francia venne colpita dalle Guerre di Religione combattute tra i sostenitori della fede cattolica e quelli della fede riformata-calvinista, noti nel Paese d’Oltralpe con il nome di huguenots o, nella forma italianizzata, ugonotti.

Scoppiate l’1 marzo 1562 con il massacro compiuto dai soldati cattolici del duca Francesco di Guisa ai danni di trentasette ugonotti che stavano celebrando una funzione religiosa a Wassy, questa lunga serie di conflitti si sarebbe conclusa, tra alterne vicende, solo con la firma dell’Editto di Nantes nel 1598.
La Terza Guerra di Religione, in particolare, durò dal 1568 al 1570 ed ebbe conclusione con la firma della Pace di Saint-Germain stipulata tra re Carlo IX e il leader ugonotto ammiraglio Gaspard II de Coligny il 4 agosto 1570. Il trattato, destinato a lasciare insoddisfatti entrambi gli schieramenti, prevedeva una limitata libertà di culto per i riformati francesi e il permesso per gli ugonotti di mantenere quattro piazzeforti (La Rochelle, La Charité, Cognac e Montauban). Inoltre, per volontà della regina madre Caterina de’ Medici, la ritrovata pace sarebbe stata coronata dal matrimonio, da celebrarsi il 18 agosto 1572, tra Enrico III di Navarra, ugonotto, e Margherita di Valois, sorella cattolica del re di Francia.
Tra la firma del trattato e la tragica notte di San Bartolomeo, quindi, il Regno di Francia godette di un breve periodo di traballante pace interna, ma l’insoddisfazione di entrambi gli schieramenti e l’effervescente contesto internazionale misero in moto delle dinamiche che, proprio con il massacro avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, portarono al rinfocolarsi delle tensioni e allo scoppio della Quarta guerra di Religione.

Per quanto riguarda il contesto internazionale è necessario ricordare come, da un lato, la Francia fosse ancora circondata dai territori sottoposti alla corona di Filippo II d’Asburgo, ossia la Spagna e le Fiandre che, proprio in quegli anni, erano in aperta rivolta contro re Filippo; dall’altro lato, invece, non dobbiamo dimenticare che, a partire dalla sua elezione al soglio pontificio nel maggio 1572, la politica estera di papa Gregorio XIII era volta a favorire un’alleanza proprio tra Spagna e Francia, potenze da decenni rivali, per ritrovare l’unità cattolica e stroncare definitivamente l’eresia riformata (Altarozzi, n.d.).
Il disegno diplomatico del papa trovava un forte impedimento proprio a causa della situazione nelle Fiandre, la cui rivolta era appoggiata dall’Inghilterra, che cercava, ottenendola, un’alleanza, seppur solo difensiva, con Parigi (Altarozzi, n.d.).
I rapporti con la Spagna e con gli insorti fiamminghi portarono all’inasprimento delle divisioni interne alla Francia. Da un lato, infatti, gli ugonotti sostenevano la necessità di appoggiare le Fiandre e di dichiarare guerra alla monarchia spagnola. Basti pensare all’azione diretta di Jean de Hangest, signore di Genlis, il quale guidò un corpo di spedizione composto da calvinisti francesi che venne sconfitto dagli spagnoli a Mons (Altarozzi, n.d.) o all’azione persuasiva del Coligny che, sfruttando la sua crescente influenza a Parigi, cercava di spingere Carlo IX al conflitto con Filippo II (Sassetti, 1583). Alla base della volontà dell’Ammiraglio stavano sia convinzioni religiose, sia obiettivi politici, ossia la speranza di incanalare le tensioni interne francesi verso l’esterno tramite una nuova guerra contro il tradizionale nemico di Parigi.
Dall’altro lato i cattolici temevano lo scontro con l’Asburgo, sia per l’ancor vivo ricordo della sconfitta patita durante la battaglia di San Quintino, sia per il timore che un’eventuale vittoria francese avrebbe potuto oltremodo rafforzare le posizioni riformate nel regno (Altarozzi, n.d.).
In questo più generale contesto si inseriscono gli avvenimenti che portarono al massacro degli ugonotti e allo scoppio di un nuovo conflitto religioso.

Come precedentemente accennato le nozze di Enrico III di Navarra e Margherita di Valois portarono a Parigi i principali esponenti di entrambe le fazioni causando, come facile immaginare, l’inasprimento delle tensioni all’interno della capitale.
La mattina del 22 agosto rappresentò un punto di svolta fondamentale nelle vicende che stiamo ricostruendo. Il Coligny, infatti, stava tornando alla propria abitazione quando un sicario, appostato in un palazzo, tentò di assassinarlo sparando un colpo di archibugio che ferì l’Ammiraglio. Le reazioni all’attentato sono facilmente immaginabili. I sospetti ugonotti ricaddero subito sul duca di Guisa, presente in città, e alcuni esponenti calvinisti, tra i quali il genero di Coligny, si recarono presso il re chiedendo giustizia e minacciando di agire direttamente qualora la richiesta fosse stata disattesa (Sassetti, 1585).
In seguito alla notizia Carlo IX e Caterina de’ Medici, insieme ad altri esponenti della famiglia reale e dell’aristocrazia, andarono a far visita all’Ammiraglio convalescente, promettendo giustizia. Nonostante tutto questo, nel corso della riunione di un consiglio ristretto, i sospetti di una possibile insurrezione ugonotta e di un complotto volto ad assassinare il re portarono alla decisione di eliminare in un solo colpo il Coligny e tutti i leader ugonotti.

Nella notte tra il 23 e il 24 agosto, giorno dedicato al martire San Bartolomeo, le porte di Parigi si chiusero e le forze cattoliche si mossero. Un gruppo armato, guidato dal Guisa, si recò presso la residenza di Gaspard de Coligny. L’Ammiraglio, preso alla sprovvista, venne facilmente sopraffatto e colpito ripetutamente, finché il suo corpo non venne gettato dalla finestra, cadendo ai piedi del Guisa. Il cadavere di Coligny venne decapitato post mortem, mentre le sue mani e i genitali vennero amputati (Sassetti, 1585). Il corpo, portato in una macabra processione, sarebbe stato poi gettato nella Senna, recuperato, bruciato e infine appeso per i piedi. La medesima, tragica sorte sarebbe toccata a migliaia e migliaia di altri riformati francesi. Il massacro, infatti, si estese ben presto, e in tutta la Francia, a coloro i quali fossero anche solo sospettati di essere ugonotti, senza riguardo per età o sesso, colpendo così anche donne e bambini. È quindi necessario ora cercare di capire come questa terribile esplosione di violenza sia stata possibile, aspetto, questo, fondamentale per meglio comprendere gli avvenimenti di quella tragica notte.
- La violenza religiosa nella Francia del XVI secolo
Per raggiungere una piena comprensione della strage di San Bartolomeo e del tema della violenza religiosa dobbiamo tenere a mente un aspetto fondamentale, ossia le ricadute sociali della frattura iniziata con la Riforma di Martin Lutero. Dopo quel fatidico 1517, infatti, l’unità del Corpus Christianum si era irrimediabilmente rotta, portando a una divisione non solo religiosa, ma anche politica e sociale nell’Europa del tempo.

Le conseguenze di questa rottura furono evidenti, come abbiamo sottolineato precedentemente, anche in Francia. In seguito all’arrivo della Riforma nel Paese d’Oltralpe e allo scoppio delle Guerre di religione, quindi, la società francese del XVI secolo era spaccata a metà. Come ci ricorda Bruce Lincoln nel suo Feste e massacri: riflessioni antropologiche sulla notte di San Bartolomeo, fratture così profonde nelle società umane possono risolversi in due modi: con uno scisma, ossia con la creazione di una nuova società, oppure con un massacro, ossia con l’eliminazione dell’altro, del nemico (Lincoln, 1986).
Le condizioni affinché la rottura sociale si possa risolvere nel modo più tragico, ossia con un massacro sono essenzialmente cinque. Da un lato «[…] un grande desiderio di preservare l’unità della società, senza rotture, una grande quantità di ostilità accumulata come risultato delle lotte del passato, e una tendenza, nel pensiero e nelle parole di una o di ambedue le parti in conflitto, a descrivere gli avversari come entità sub-umane» (Lincoln, 1986), dall’altro «l’esistenza di uno stato – o di un’altra forma di autorità centralizzata – […] perché il potere centralizzato tende di solito a preservare il suo territorio e la sua autorità intatti […]. Infine, esiste la questione della legittimità, perché se diviene possibile stabilire che l’uccisione degli scontenti è una azione giusta – o, persino sacra – un massacro è più probabile ]» (Lincoln, 1986).
L’eccidio di una delle due parti, quindi, è una extrema ratio, un rito da compiersi quando tutti gli altri mezzi per mantenere unita la società hanno fallito (Lincoln, 1986).
Tutti questi aspetti erano presenti nella Francia del XVI secolo e il massacro, sia in occasione del San Bartolomeo, sia in altri eccidi, assunse il carattere di sommovimento e violenza religiosi. Questi moti religiosi sono, come ci ricorda Natalie Zemon Davis, «[…] violent action, with words or weapons, undertaken against religious targets by people who are not acting officially and formally as agents of political and ecclesiastical authority […]» (Zemon Davis, 1973).
Gli esponenti di entrambe le fazioni, quindi, si muovevano violentemente in sostituzione delle autorità, fossero esse politiche o religiose, quando queste ultime fallivano, in modo reale o presunto, nella repressione e distruzione dell’opposto schieramento (Zemon Davis, 1973) visto come corpo estraneo, come vera e propria peste demoniaca che inquinava la società e che, quindi, andava eliminato (Zemon Davis, 1973). Non a caso questi sommovimenti, e la strage di San Bartolomeo non fa eccezione, iniziavano spesso al suono delle campane, come a segnalare un pericolo per tutta la comunità.

Cattolici e ugonotti, dunque, si muovevano in difesa della propria dottrina religiosa, da loro ritenuta l’unica vera fede, e questa difesa poteva assumere spesso i contorni violenti dell’iconoclastia, della violenza fisica e dell’omicidio. A tal riguardo bisogna evidenziare una differenza sostanziale tra i due schieramenti: in quella che aveva tutti i contorni di una guerra totale in difesa della Fede, volta alla distruzione del nemico, nessuna delle fazioni rinunciava allo spargimento di sangue e alle distruzioni, ma la violenza ugonotta si rivolgeva in maggior parte contro le proprietà religiose, contro gli oggetti. Era, quindi, una furia iconoclasta. Le azioni dei cattolici, invece, si rivolgevano contro i corpi dei protestanti, contro le persone viste come eretici da eliminare e distruggere fisicamente per ristabilire l’ordine nella società (Zemon Davis, 1973). Questo continuo spargimento di sangue, questa costante violenza esercitata contro le persone fisiche causava e fomentava una concezione martirologica negli ugonotti che tracciavano un diretto parallelo tra loro e i primi martiri cristiani (Kelley, 1972).
In mezzo a questo turbine di violenza emerge anche un’altra differenza tra i due schieramenti. La parte cattolica, infatti, si muoveva per cercare una restaurazione dell’unità del Corpus Christianum distrutta dalla peste ereticale, mentre i riformati agivano per creare una nuova unità della società intorno alla vera fede purgata dalle mistificazioni del clero cattolico (Zemon Davis, 1973).
Risulterà quindi chiaro perché si assistette, nella Francia del XVI secolo, a vere e proprie esplosioni di estrema violenza, che assumeva i contorni di un rito di purificazione della società per allontanare da essa l’ira di Dio. Basti pensare, ad esempio, al fatto che i corpi dei protestanti trucidati venivano spesso gettati nei fiumi (e subito la mente corre alla sorte patita dal Coligny e da migliaia di altri ugonotti durante la strage di San Bartolomeo) o bruciati. Entrambi gli elementi, acqua e fuoco, avevano, nella società fortemente religiosa dell’epoca, un carattere simbolico di purificazione (Zemon Davis, 1973 e Lincoln, 1986).
Anche la distruzione e mutilazione dei cadaveri trovavano sì radice nella violenta società dell’epoca, ma anche nella volontà di umiliare, annientare e desacralizzare il nemico della fede.

Nelle condizioni elencate da Lincoln affinché la frattura sociale possa sfociare nel massacro si faceva cenno alla questione della legittimità dell’azione diretta di una parte della popolazione contro un’altra. Le masse cattoliche o protestanti dell’epoca traevano la legittimità delle proprie azioni da un lato dalla partecipazione di autorità politiche e religiose nei sommovimenti e, dall’altro, proprio dalla realtà sociale dell’epoca e dalla necessità degli Stati di Antico Regime di appoggiarsi spesso alla popolazione per vedere garantita l’esecuzione di determinati decreti o la ricerca e cattura di criminali, mentre l’autorità religiosa, dal canto suo, garantiva determinati diritti, come quello di battezzare gli infanti in pericolo di vita, anche ai laici (Zemon Davis, 1973).
Un’ultima forma di legittimazione, questa volta più “teorica” veniva dalle predicazioni e dai sermoni di preti e pastori, che definivano la parte avversa come nemica, attribuendole sembianze demoniache e animalesche, portando a una vera e propria de-umanizzazione dell’altro e che creava le condizioni per un’azione diretta e senza senso di colpa da parte della popolazione (Zemon Davis, 1973). Il massacro, quindi, era lecito e voluto direttamente da Dio per purgare la società (Lincoln, 1986).
- Conclusioni
Il massacro di San Bartolomeo ebbe conseguenze immediate e di più lungo termine per la Francia dell’epoca.
Tra le conseguenze immediate bisogna ricordare come la strage rafforzò un processo già in atto, ossia quello di una maggior definizione delle comunità protestanti e di una maggior organizzazione delle stesse volta all’autodifesa e alla conquista dell’autorità nel regno per iniziare una conversione della Francia “dall’alto”, mentre, sul più lungo periodo, non bisogna dimenticare come lo sdegno causato dall’azione dei cattolici e del re portò alla pubblicazione delle opere dei cosiddetti “monarcomachi”, che attaccavano l’autorità reale proponendo una ridefinizione della stessa (Smither, 1991).
La strage di San Bartolomeo e il tema della violenza religiosa analizzato in questo breve articolo ci hanno permesso di gettare una debole luce su uno dei periodi più convulsi e violenti nella Storia d’Europa. Ci hanno altresì mostrato come l’eccidio avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572, pur non modificando nell’immediato le sorti della Francia, rappresentò indubbiamente un punto di svolta fondamentale nelle vicende del Paese d’Oltralpe e del nostro Continente.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico
Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.
Bibliografia
Altarozzi G., Diplomazia vaticana e relazioni franco-spagnole all’epoca della notte di San Bartolomeo (1572), https://www.academia.edu/7451837/Diplomazia_vaticana_e_relazioni_franco spagnole_allepoca_della_Notte_di_San_Bartolomeo; Kelley D.R., Martyrs, Myths, and the Massacre: The Background of St. Bartholomew, The American Historical Review, Vol.77, No.5, Oxford University Press, 1972; Lincoln B., Feste e massacri: riflessioni antropologiche sulla notte di San Bartolomeo, Studi e Materiali di Storia delle Religioni, Vol.52, Roma, 1986; Sassetti T., Account of the St. Bartholomew’s Day Massacre, 1583; Smither J.R., The St. Bartholomew’s Day Massacre and the Images of Kingship in France: 1572-1574, The Sixteenth Century Journal, Vol.22, No.1, 1991; Zemon Davis N., The Rites of Violence: Religious Riot in Sixteenth-Century France, Past & Present, No.59, Oxford University Press, 1973
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