I DIOSCURI: GEMELLI DIVINI TRA SPARTA E ROMA

di Michele Gatto

1. I gemelli divini

Il culto dei Dioscuri era originario della Laconia, la regione del Peloponneso in cui è situata Sparta: infatti, sarebbero stati concepiti ai piedi del monte Taigeto (Omero, Iliade, III, 243-244), figli gemelli di Leda, ma di padri diversi. Castore era figlio del re spartano Tindaro e Polluce figlio di Zeus, quindi la loro natura era sia mortale (venendo per questo chiamati Tindaridi), sia divina (Sanders, 1993); inoltre, avevano una sorella, Elena, la futura sposa di Menelao, l’Atride che pose fine all’antica dinastia di Amyklai a cui apparteneva Tindaro (Lippolis, 2009). Esistono comunque varie versioni del mito, in cui i gemelli sarebbero una volta entrambi figli di Zeus, un’altra figli di Tindaro, oltre al fatto che avrebbero anche una seconda sorella, Clitennestra, andata in moglie al fratello di Menelao, Agamennone (Graves, 2020). 

I Dioscuri erano perciò tra le divinità principali di Sparta, ed il fatto che i membri delle famiglie aristocratiche cercassero di annoverarli tra i propri antenati non era casuale: il prestigio non derivava esclusivamente dalla ricchezza ma anche da una nobile discendenza, requisiti fondamentali per ottenere incarichi pubblici, soprattutto sotto la dominazione romana. A Sparta, generalmente si dichiaravano come propri progenitori Eracle e i Dioscuri, adottati peraltro dalle stesse casate reali spartane (Spawforth, 2002). Ad esempio, a partire dal I secolo a.C., all’interno dell’aristocrazia emerse la dinastia degli Euriclidi, che vantava una discendenza diretta dai Dioscuri: il suo fondatore fu Gaio Giulio Euricle (PIR IV, n. 301), figlio di Lacare, definito da Strabone hegemon dei Lacedemoni (VIII, 5, 1).

Particolare di uno dei Dioscuri sul Quirinale, Roma (fonte: Wikimedia)

Secondo il mito, i Dioscuri si sarebbero rapidamente distinti per le loro qualità, rendendo onore a Sparta: Castore era conosciuto come guerriero e domatore di cavalli, mentre Polluce era considerato un grande pugile, ottenendo entrambi vittorie ai giochi di Olimpia. I risultati ottenuti li avrebbero condotti a sviluppare in breve tempo una rivalità con altri due gemelli, gli Afaretidi Ida e Linceo, figli di uno dei due sovrani della vicina Messene, Afareo. A questi ultimi erano state promesse in spose Febe e Ilaria, dette Leucippidi, figlie del secondo re di Messene, Leucippo, e rispettivamente sacerdotesse di Atena e Artemide, nonché loro cugine; ma i Dioscuri le rapirono, ricevendo da questa unione due figli, Anaxis e Mnasinos (Graves, 2020; Fortunelli, 1999; Scheer, 1997). Ciò avrebbe provocato un inasprimento della rivalità con i gemelli messeni, dando luogo a versioni diverse sugli avvenimenti successivi: in una delle principali, a seguito di una razzia di bestiame in Arcadia, le due coppie si sfidarono in una gara per decidere chi avrebbe preso i capi migliori, vinta dagli Afaretidi grazie ad un inganno; un’altra, è invece strettamente legata al rapimento delle Leucippidi. In ogni caso, le narrazioni si concludono con l’uccisione da parte di Linceo di Castore, poi vendicato da Polluce: egli, dopo aver innalzato un trofeo nei pressi di Sparta, chiese a Zeus di non separarlo dal fratello e una volta asceso al cielo, in cambio, rinunciò alla propria immortalità; i due ottennero così che Castore ricevesse metà della natura immortale di Polluce, vivendo insieme alternativamente un giorno sull’Olimpo e un giorno negli inferi, mentre Zeus ne avrebbe usato l’immagine per creare la costellazione dei Gemelli (Pindaro, Nemee, X, 55-90; Apollodoro, Biblioteca, III, 11, 2; Graves, 2020).

Si diceva che i Dioscuri fossero esattamente uguali e distinguibili solo dalle cicatrici sul volto di Polluce, causate dal pugilato. Per il resto, entrambi indossavano gli stessi abiti, con un berretto sormontato da una stella ed un cavallo bianco, dono di Poseidone o di Ermes. Dopo che ebbero marciato su Micene per punire Agamennone, che aveva preso in sposa la sorella Clitennestra con la forza, e dopo aver riportato Elena a Sparta, rapita da Teseo (Apollodoro, Epitome, I, 23), in seguito alla loro morte, Tindaro cedette il trono a Menelao. Ma gli Spartani ne mostravano ancora orgogliosamente la casa, successivamente divenuta dimora di un certo Formione: si racconta che una notte i gemelli gli avrebbero fatto visita travestiti da viandanti, chiedendogli di ospitarli in quella che era un tempo la loro stanza. Tuttavia, Formione rifiutò perché quella era ormai diventata la stanza della figlia, offrendo in cambio qualunque altra camera della casa; così, il mattino seguente, sia la ragazza, sia i suoi averi erano spariti, mentre nella stanza il padre avrebbe trovato solamente l’immagine dei Dioscuri e il ramo di una pianta (Pausania, III, 16, 2-3; Graves, 2020).

Ai gemelli venivano attribuiti diversi poteri, tra cui quello di proteggere le navi in pericolo e di governare i venti favorevoli: infatti, si credeva potessero apparire in seguito ad un sacrificio di agnelli bianchi offerto sulla prua, oppure che i fuochi accesi durante le tempeste sugli alberi maestri ne indicassero la presenza a bordo. Il legame con il mare è sottolineato inoltre da una delle tante imprese a cui parteciparono, quella del viaggio degli Argonauti. Ad ogni modo, permaneva forte la connessione con Sparta, dove i Dioscuri rimanevano i patroni dei giochi, oltre ad essere considerati gli inventori delle danze e delle musiche di guerra, protettori dei cantori che celebravano le grandi battaglie del passato (Del Corno D., Del Corno L., 2012; Graves, 2020). Come vedremo successivamente, questa connotazione guerriera sarebbe emersa anche in contesti lontani dalla Laconia, a seguito della diffusione del loro culto.

2. Il culto

A Sparta, ai Dioscuri furono dedicati alcuni templi e monumenti, tra cui un heroon nei pressi delle mura di epoca antonina e del dromos, il luogo dove avvenivano le gare di corsa tra giovani spartani ed al cui ingresso erano raffigurati proprio i Dioscuri Apheterioi, cioè coloro che danno la partenza (Pausania, III, 14, 6-7); vi era anche una tomba di Castore vicino alla Skias (edificio dell’assemblea); nell’area dell’agorà, era officiato il culto dei Dioscuri Amboulioi, cioè consiglieri (Pausania, III, 13, 1; 6); a Phoebaeum, un tempio dedicato ai Dioscuri salvatori (Sanders, 1993); una fonte ed un santuario di Polluce, legati al tempio dei gemelli, a Therapne (Pausania, III, 20, 2); infine, loro reliquie erano presenti anche nel santuario dedicato alle Leucippidi (Pausania, III, 16, 1). 

Statere aureo della polis magnogreca di Taranto, con al rovescio i Dioscuri a cavallo, IV secolo a.C. (fonte: Numismatica Ars Classica NAC AG)

I gemelli divini, a Sparta erano anche chiamati Anakes (“i Signori”), titolo attribuito ai sovrani micenei, che potrebbe segnalare l’esistenza del loro culto già in quell’epoca (Aravantinos, 1994). La venerazione dei Dioscuri era particolarmente diffusa sia a livello pubblico, sia privato, tanto che erano loro dedicate delle feste, le Dioskoureia (grandi e piccole), abbinate a delle gare, ma attestate solamente a partire dall’età imperiale, nonostante le testimonianze e la loro importanza lascino intendere fossero molto più antiche. Infatti, Pausania riporta un episodio avvenuto durante la festa, risalente alla seconda guerra messenica (VII secolo a.C.): due giovani messeni entrarono in un accampamento nemico a cavallo, travestiti dai Dioscuri, ed approfittando dell’inganno uccisero numerosi Spartani; ciò finì per provocare l’ira dei semidei contro i Messeni, ai quali avrebbero negato il proprio appoggio in battaglia fino all’arrivo in Messenia del tebano Epaminonda, nel IV secolo a.C. (Pausania, IV, 27, 1-3; Graves, 2020). 

Elemento fondamentale del loro culto era il rito delle theoxenia, in cui venivano allestite una tavola, una kline e due anfore all’interno di uno spazio chiuso: queste anfore potrebbero avere un significato domestico o funerario e su di esse sono state formulate diverse teorie (Lippolis, 2009). Un altro elemento era quello dei dokana, che consistevano in strutture di legno costituite da travi e poste presso i luoghi di culto: anche in questo caso sono state avanzate numerose ipotesi rispetto al loro significato, tra cui quella che li vedrebbe come delle porte rituali per accedere agli inferi o per compiere riti di passaggio, o ancora, il simbolo dell’ingresso di un santuario del quale i Dioscuri rappresentavano i montanti, teoria che si sposerebbe con il loro frequente utilizzo come guardiani (Waites, 1919). I dokana sono stati descritti dallo stesso Plutarco (Moralia, 478,1) come simbolo dell’amore fraterno tra i due gemelli, la philadelphia, ma probabilmente erano di natura provvisoria, come suggeriscono la deperibilità del materiale e l’esposizione all’aperto. In realtà, né dal punto di vista letterario, né dal punto di vista archeologico abbiamo conferme rispetto al loro utilizzo in riti di passaggio, perciò è probabile che insieme alle anfore i dokana simboleggiassero lo stretto legame tra i Dioscuri, oltre ad un segno della loro presenza (Lippolis, 2009). La figura dei gemelli divini aveva una certa importanza anche dal punto di vista sociale, perché associata all’agoge spartana, l’addestramento ricevuto dai giovani spartiati fin da giovanissima età: l’ideale su cui si basava, oltre alla philadelphia, era l’andreia, cioè la virilità, entrambe qualità ben simboleggiate dai Dioscuri. L’istituzione dell’agoge è stata attribuita al mitico legislatore spartano Licurgo: il suo esercizio è durato nei secoli, venendo però abolito con l’ingresso di Sparta nella Lega Achea, finché, in seguito all’assoggettamento definitivo della Grecia da parte dei Romani nel 146 a.C., l’addestramento venne reintrodotto in forma rinnovata, comunque mantenendo le sue particolarità rispetto agli addestramenti applicati nelle altre città elleniche (Sanders, 1993). Inoltre, la diarchia spartana era legata ai Dioscuri, i quali affiancavano i re in battaglia e difendevano la polis, sebbene fossero associati in generale a tutte le attività maschili, comprese le gare o le cerimonie riguardanti gli efebi, oltre all’ambito militare (Lippolis, 2009): in sostanza, rappresentavano non solo la figura del giovane sposo, ma anche quella dell’efebo pronto ad accedere alla comunità spartiata (Piccirilli, 1984). 

Al loro culto civico erano legati i sitethentes, un gruppo che compiva banchetti sacrificali a spese pubbliche, di cui conosciamo i membri attraverso iscrizioni presenti su una serie di rilievi raffiguranti i gemelli e risalenti alla prima epoca imperiale: grazie ad esse, sappiamo anche che la maggior parte dei sacerdoti presenti apparteneva alla famiglia dei Memmî (il sacerdozio era ereditario) (IG V,1, 206; 207; 209); il rituale prevedeva diverse fasi e i partecipanti occupavano posizioni preminenti nella Sparta romana (Sanders, 1993). Sempre su alcuni di questi rilievi, è riportata l’immagine dei Dioscuri abbinata ad alcuni elementi tipici, cioè le anfore, il dokana e un oggetto circolare: essendo abbinati ad iscrizioni inerenti agli sphaireis (IG V,1, 675), efebi nell’età di passaggio verso la comunità maschile adulta il cui nome era legato ad una gara, si è pensato che quell’oggetto circolare fosse una palla e, di conseguenza, il gioco si basasse su di essa, anche facendo riferimento ad un passo di Luciano (Anacarsi, 38). In realtà, è probabile che l’oggetto circolare sia uno scudo e l’associazione degli sphaireis con i Dioscuri fosse dovuta al fatto che la competizione prevedesse incontri di pugilato, arte nella quale Polluce eccelleva: il termine sphaira indicava infatti il guantone utilizzato in questa specialità (Sanders, 1993). Questo aspetto potrebbe anche sottolineare come i due gemelli avessero sfere di competenza diverse, perciò se Castore era militare e cavaliere, Polluce era efebo e atleta, ma in ogni caso rappresentavano aspetti fondamentali della vita dei maschi spartani, i quali avrebbero da loro appreso le danze armate (Lippolis, 2009). Erano venerati anche come protettori dei giuramenti (di amicizia in particolare), dell’accoglienza, oltreché come già detto, dei marinai e dei viaggiatori sul mare (Marroni, 2017). 

Tempio dei Castori nel foro romano, Roma (fonte: Wikimedia)

Il culto dei Dioscuri, durante il VI secolo a.C. si era inoltre diffuso in Magna Grecia partendo da Locri Epizefiri, dove per la prima volta sarebbero comparsi su un campo di battaglia decidendone le sorti: presso il fiume Sagra, i Locresi sconfissero così i Crotoniati; lo stesso avrebbero fatto nella battaglia di Egospotami del 405 a.C., decisiva per la vittoria della Guerra del Peloponneso: come ringraziamento, gli Spartani appesero due stelle d’oro nel tempio dei Dioscuri a Delfi (Cicerone, Sulla Divinazione, I, 34, 75; Graves, 2020). A partire dal IV secolo a.C., il culto si affermò inoltre nella colonia spartana di Taranto, come dimostrano diverse testimonianze archeologiche e numismatiche (Savio, 2002); nel frattempo, era passato in Italia centrale (dove, ad esempio, ha lasciato tracce significative ad Assisi e Cori, o in Etruria, dove i gemelli erano conosciuti come Kastur e Pultuc), fino ad arrivare a Roma (Bianco, 1960; Marcattili, 2013; Scheer, 1997). Anche qui i Dioscuri sarebbero intervenuti in soccorso dei Romani durante la battaglia del Lago Regillo, agli inizi del V secolo a.C., decretandone la vittoria contro i Tarquinî e i loro sostenitori, salvando la neonata Repubblica: Dionisio di Alicarnasso (Antichità Romane, VI, 13, 1-3) racconta che, nel mezzo dello scontro, i gemelli apparvero al dittatore Postumio e ai soldati, ponendosi al comando della cavalleria e riuscendo a mettere in fuga i nemici. Verso il tramonto, nel foro sarebbero giunti due giovani a cavallo in abito militare e di bell’aspetto, che dopo essersi ristorati alla fonte Giuturna avrebbero narrato e annunciato al popolo la vittoria romana; successivamente alla loro scomparsa, i Romani avrebbero compreso dalle notizie provenienti dal campo di battaglia che quelli erano proprio i Dioscuri. Da quel momento, l’anniversario della vittoria venne celebrato il 15 di luglio attraverso la cerimonia della transvectio equitum, durante la quale gli equites sfilavano ornati di corone di ulivo dal Campo Marzio al tempio dei Castori, nome col quale erano venerati nel mondo latino. Nuovi interventi al fianco dei Romani sarebbero avvenuti durante la terza guerra macedonica, nella battaglia di Pidna del 168 a.C., e durante la guerra contro i Cimbri (LIMC III/1). Inoltre, i gemelli divini in età imperiale furono sfruttati propagandisticamente anche da Augusto, venendo identificati con Tiberio e Druso, a nome dei quali fu dedicato il tempio nel foro (costruito nel 484 a.C.) (Sanders, 1993; Bianchi Bandinelli, Torelli, 2008; Carafa, 1971). Un’identificazione comunque già adottata con gli eredi designati Gaio e Lucio Cesari, riproposta più volte all’interno della dinastia Giulio-Claudia e, successivamente, in età flavia (Marcattili, 2013).

Bisogna tuttavia sottolineare come ormai in epoca imperiale i Dioscuri avessero perso la loro connotazione militare tipicamente repubblicana, per ricoprire un ruolo che li avvicinava maggiormente a divinità come i Penati Pubblici (LIMC III/1; Petrocchi, 1994).

3. Le raffigurazioni dei Dioscuri

Dal punto di vista iconografico, esiste un parallelismo tra i Dioscuri e i Cabiri, ed è probabile che il processo di assimilazione tra queste divinità sia avvenuto a Samotracia tra il III e il II secolo a.C., arrivando da qui al resto del mondo greco. Il culto dei Cabiri era misterico, tanto che i loro nomi erano sconosciuti alla maggior parte dei Greci, i quali li consideravano divinità straniere e li temevano: provenivano infatti dalla Frigia ed il loro culto, collegato a quello di Cibele, arrivò attraverso le isole egee per poi essere assimilato ad altri, come quello di Efesto. I Cabiri proteggevano i propri adepti sulla terra e assicuravano loro l’immortalità dell’anima, attirando non solo la devozione dei marinai, ma anche quella di persone appartenenti alle categorie più diverse. Oltre al fatto che anche i Cabiri erano gemelli, i Dioscuri ne avrebbero ereditato un altro segno distintivo, ossia il pileus: il copricapo conico di origine orientale, che per i Greci e i Romani era tipico delle popolazioni ritenute inferiori, dei viandanti o in generale degli individui poco desiderabili; il pileus era tipico dei Cabiri ed era legato ai riti iniziatici del loro culto, nonché indossato dagli adepti, in particolare marinai e fabbri. Il passaggio del berrettino ai Dioscuri può trovare una corrispondenza con la tradizione ellenistica secondo cui i copricapi avrebbero rappresentato le metà del guscio da cui i gemelli divini sarebbero nati (Savio, 2002). In ogni caso, i piloi, che potevano essere laureati o sormontati da stelle, vennero adottati nella monetazione spartana alla fine del regno di Cleomene III, nel 223/222 a.C. (Grunauer von Hoerschelmann, 1978), con lo scopo di richiamare divinità locali attraverso l’utilizzo di simboli extra-laconici, in modo da superare l’isolamento che aveva sempre contraddistinto la città lacedemone, anche da un punto di vista iconografico: in questo senso, ebbe particolare fortuna l’associazione tra piloi e stelle, mentre sia le anfore sia i dokana scomparvero dalle raffigurazioni dei Dioscuri decretando l’abbandono della simbologia classica, anche se in modo non definitivo (Gagliano, 2018). Bisogna comunque segnalare che il pileus non era un elemento completamente alieno alla cultura lacedemone, se si pensa ad esso come il cappello degli spartiati, ma non ci sono dubbi sul fatto che non fosse un attributo tipico dei Dioscuri prima della loro assimilazione ai Cabiri (Savio, 2002; Gagliano, 2018). A Roma, venne associato alla cerimonia di manomissione degli schiavi (Savio, 2002), diventando un vero e proprio simbolo di libertà, successivamente sfruttato in maniera propagandistica anche da Bruto. 

Denario repubblicano con al diritto la testa galeata di Roma e al rovescio i Dioscuri al galoppo verso destra, con il pileus sormontato da una stella; all’esergo, la legenda ROMA (fonte: British Museum)

Esistono varie tipologie figurative dei gemelli riprodotte su più supporti, in particolare sulle monete, dove compaiono in pose diverse: potevano essere rappresentati a cavallo, in piedi o con le teste affiancate, altrimenti a comparire erano solo i loro berrettini stellati. 

Rispetto al tipo recante le teste affiancate dei Dioscuri, esistono delle corrispondenze con il mondo magno-greco ed in particolare con le monete di Locri (che lo riprese a sua volta da coniazioni tolemaiche), di Metaponto, di Petelia e dei Brettii (Rutter, 2001; Arslan, 1989). Il tipo che li ritrae a cavallo, fissato dall’ellenismo ed il più comune (Bianco, 1960), è invece nato nella colonia spartana di Taranto, venendo utilizzato per la prima volta nella seconda metà del IV secolo a.C., sebbene le capacità belliche ed equestri dei gemelli fossero già presenti nel mito laconico originario: questo tipo venne per di più adottato dai Tarantini in emissioni legate alle spedizioni di alcuni sovrani spartani. Da qui si diffuse nel resto della Magna Grecia, in Sicilia e tra i popoli italici, soprattutto dove i cavalieri avevano un importante ruolo sociale e militare; nel frattempo, il tipo era stato adottato anche in Oriente, specialmente dai Seleucidi. A Roma, i Dioscuri divennero i protettori del rango equestre ed il loro tipo a cavallo fu adottato sul denario nel 211 a.C., naturalmente sempre con il pileus sulla testa, probabilmente evocati per superare la fase più difficile della seconda guerra punica (Savio, 2001).

Per quanto riguarda il tipo dei gemelli in piedi, questo è invece più di origine orientale, dove i Tindaridi sono raffigurati spesso nudi o con la clamide e la lancia, comunque sempre con il berrettino sormontato da una stella: alcuni esempi possono essere quelli delle monete coniate a Pergamo o nelle Cicladi (Savio, 2004). L’immagine dei Dioscuri in piedi appoggiati ad una lancia è frequente sui rilievi dedicatori spartani di epoca imperiale, dove essi possono essere affiancati all’esterno delle gambe da una protome di cavallo; in altri, invece, sono raffigurati affrontati ad una figura femminile, forse Elena, mentre tengono una lancia o i cavalli per le briglie (Sanders, 1993). Nelle pinakes (tavole) votive di terracotta rinvenute a Taranto, i Dioscuri sono raffigurati in piedi mentre tengono dei rami di palma, con le anfore, i dokana e la phiale mesomphalos (recipiente per le libagioni sacre) presso un altare sacrificale, ma sono frequenti anche le raffigurazioni dei gemelli a cavallo, oppure su una biga: su queste, risalenti al IV-III secolo a.C., mancano però sia i piloi, sia le stelle (Lippolis, 2009). 

In merito alle rappresentazioni scultoree e pittoriche, sappiamo ad esempio che a Sparta erano presenti immagini dei Dioscuri sul trono di Apollo nel santuario di Amicle (Pausania, III, 18, 14; Ley, 1997), ed anche statue presso le cave di Croceae (Pausania, III, 21, 4), dove i Romani estraevano a loro esclusivo vantaggio il lapis Lacedaemonius (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, XXXVI, 11), un pregiato tipo di porfido verde (Chrimes, 1952). Ma è Roma la sede di due gruppi scultorei piuttosto famosi raffiguranti i gemelli: quello situato sul Campidoglio e quello sul Quirinale.

Le statue del Campidoglio furono ritrovate poco dopo la metà del XVI secolo, dove si riteneva fosse ubicato il teatro di Pompeo, e poco dopo collocate sulla cima della scalinata che conduce alla piazza. Si tratta di due sculture alte quasi 6 metri, raffiguranti i Dioscuri seminudi con la sola clamide sulle spalle ed il pileus sulla testa, in piedi accanto ai propri cavalli: è probabile che originariamente portassero dei berrettini in bronzo sormontati da stelle, ipotesi confermata dal foro esterno sulla testa, come è probabile l’aggiunta dei cavalli in un momento successivo, vista l’assenza di alcun contatto e l’incongruenza nel movimento tra le figure; inoltre, i gemelli forse portavano distintamente nella mano più interna una spada e una lancia, entrambe perdute. Questo gruppo scultoreo, oggetto di numerosi restauri dall’antichità (la testa del Dioscuro di sinistra venne rifatta nel XVI secolo) fino al ‘900, dovrebbe risalire al 145 d.C. circa, agli inizi dell’età antonina: la datazione troverebbe conferma dallo stile scultoreo di ispirazione policletea, particolarmente apprezzato in quel periodo, oltreché dal punto di vista iconografico e propagandistico. Lo schema figurativo venne in parte adottato su alcuni medaglioni bronzei e intendeva riflettere la concordia esistente all’interno della dinastia imperiale, dimostrata dal sistema di successione adottivo impostato da Nerva e proseguito da Adriano e Antonino Pio; lo stesso Marco Aurelio, che aveva reintrodotto il principio dinastico, se ne servì al medesimo scopo. Infine, a seguito di analisi archeologiche, è possibile affermare che le statue provengono dal tempio dei Dioscuri nel Circo Flaminio (Parisi Presicce, 1994).

Incisione del gruppo scultoreo dei Dioscuri sul Quirinale a Roma, 1546 (fonte: palazzo.quirinale.it)

L’uso propagandistico dei Dioscuri continuò ad avere fortuna anche successivamente, come conferma il gruppo scultoreo del Quirinale. In questo caso, le statue colossali dei gemelli, di 5,60 metri di altezza, li vedono raffigurati completamente nudi, accanto ai propri cavalli e con una corazza ai piedi, utilizzata come sostegno. La datazione dei marmi risalirebbe all’epoca severiana, quando i gemelli divini figli di Zeus furono adottati da Settimio Severo come metafora degli eredi imperiali Caracalla e Geta: le statue dovevano essere poste all’inizio della rampa che conduceva al santuario dedicato ad Ercole e Bacco, finché non furono trasferite sul Quirinale per abbellire l’area delle terme di Massenzio; sotto Costantino, subirono i primi ritocchi. Il complesso monumentale oggi visibile è frutto di aggiunte avvenute alla fine del XVI secolo (la fontana) e nel 1783 (l’obelisco). Le sculture, probabilmente riproduzioni di due bronzi (di cui almeno uno si può forse attribuire la paternità a Fidia) portati a Roma da Lucio Emilio Paolo nel 168 a.C., da un punto di vista stilistico sarebbero ispirate singolarmente ad opere dello stesso Fidia e di Prassitele I: la figura di Polluce si rifarebbe allo stile del primo, come suggeriscono i fregi del Partenone e gli schemi rappresentativi tra uomo e cavallo riproposti al loro interno; Castore invece, riprenderebbe l’immagine di un Eros Keraunophóros (portatore della folgore), realizzato dal secondo come personificazione dell’ateniese Alcibiade; altra fonte di ispirazione potrebbe essere stato il gruppo dei Tirannicidi, viste le similitudini nel movimento delle figure, attribuito da Plinio a Prassitele (Storia Naturale, XXXIV, 70; Moreno, 2013; Ley, 1997). 

Come abbiamo brevemente visto, il culto dei Dioscuri ha saputo efficacemente trasferirsi dalla sua culla spartana fino a Roma, grazie alla versatilità simbolica espressa dalle figure di Castore e Polluce.

Michele Gatto – Scacchiere Storico

Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in numismatica antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.

Bibliografia

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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