di Luca Segagni
1. La lotta per il trono
Nonostante il suo regno sia scarsamente documentato, a differenza di quello dei re riformatori Agide IV e Cleomene III, Areo I è stato sicuramente uno dei primi sovrani spartani che intendeva non solo restituire alla città la sua antica dimensione di stato egemone nel Peloponneso, ma anche ‹‹scambiare il suo profilo politico tradizionalmente eccezionale con uno di normalità “ellenistica”›› (Cartledge, Spawforth, 1989). Dopo la morte del nonno Cleomene II, avvenuta nel 309/308, Areo regnò – secondo Diodoro (XX 29,1) – come membro della casata Agiade per quarantaquattro anni, in conformità con il diritto di successione: esso prevedeva che – in caso di morte prematura del legittimo erede al trono – il trono spettasse al figlio di quest’ultimo, e non al fratello. Quindi Areo, figlio di Acrotato e nipote di Cleomene II, diventò re in giovane età, coadiuvato dallo zio Cleonimo, che assunse la carica di reggente e continuò – anche quando Areo era ormai maggiorenne – a ricoprire importanti incarichi militari, grazie alla sua abilità ed esperienza sul campo di battaglia (Marasco, 2014).
Se i rapporti tra re e reggente erano buoni, allora perché Cleonimo venne esiliato nel 275? Esistono due tradizioni a riguardo, una trasmessa da Pausania e l’altra plutarchea, derivata da Filarco.
Quella del Periegeta fa leva sull’ostilità persistente tra gli oligarchi spartani, che gli avevano negato il trono nel 309, e il reggente: tuttavia, come sostiene Marasco, è poco credibile che una disputa che risale a più di trent’anni prima avesse ancora influenza sull’atteggiamento di Cleonimo che, come si è visto, sembrava agire in sintonia con Areo e nei limiti del suo ruolo di reggente e di generale esperto. Inoltre, non si spiegherebbe come egli possa aver continuato ad esercitare il comando delle operazioni militari, se era tradizionalmente l’oligarchia – in particolar modo gli efori – ad attribuirlo: se ci fosse stata forte ostilità tra le parti, non avrebbe più avuto alcuna chance di partecipare in prima linea alle spedizioni (Marasco, 2014).

Plutarco (Vita di Pirro XXVI, 16-19) invece, tendeva a spostare il motivo della frizione tra Areo e Cleonimo sul piano personale, sulla sua reputazione e sull’onore messi in discussione: secondo il biografo, quest’ultimo aveva sposato – ormai verso la sessantina – Chilonide, una giovane ereditiera della casata Euripontide, garantendosi non solo un cospicuo patrimonio, ma anche un rapporto privilegiato con gli esponenti dell’oligarchia e soprattutto con il sovrano collega di Areo. Il fatto che Acrotato – figlio di Areo – abbia intrattenuto una relazione clandestina con Chilonide può quindi essere stata la reale causa dell’allontanamento, probabilmente volontario, di Cleonimo da Sparta. Plutarco (Vita di Pirro XXVI, 19) e Pausania (I 13, 5; III 6, 3) affermano inoltre che Cleonimo si recò presso Pirro per convincerlo a marciare contro Sparta, ma più probabilmente venne accolto dal re epirota per il suo prestigio e per la propria esperienza militare. Installando il suo alleato sul trono di Sparta, Pirro avrebbe ottenuto il controllo del più potente stato del Peloponneso, indebolendo ancor di più il Gonata, dopo aver già conquistato la Macedonia. Per questo, riunì un’armata consistente, formata da ben 25000 fanti, 2000 cavalieri e 24 elefanti, (Marasco, 2014; Cartledge, Spawforth, 1989; Kralli, 2017) potendo poi contare sull’alleanza di Megalopoli, dell’Elide e di alcune città achee. Gli Spartani non si aspettavano l’attacco di Pirro, tanto che Areo si trovava in quel momento a Creta: il re epirota aveva infatti motivato la discesa nel Peloponneso con l’intenzione di liberare le città ancora sotto il dominio di Antigono Gonata, affermando anche di voler inviare i propri figli a Sparta, affinché ricevessero l’agogè. Poi, improvvisamente, invase e devastò i territori della Laconia, costringendo i Lacedemoni ad inviare una seconda delegazione presso di lui: Pirro voleva evitare uno scontro aperto, e con un ultimatum impose alla città di accettare Cleonimo come suo legittimo re, affinché potesse impadronirsi di Sparta al pieno delle sue forze ed evitare, con un’iniziativa rapida e senza spargimento di sangue, un eventuale aiuto di Antigono. Decise poi di temporeggiare fino al mattino seguente, dato che un eventuale sacco della città avrebbe compromesso la credibilità di Cleonimo, anche perché la superiorità numerica era tale da non lasciare dubbi sull’esito dell’assedio, nel caso in cui gli Spartani avessero deciso di opporsi e di resistere fino alla fine. E così fu, dato che secondo Plutarco – il quale prende spunto, anche in questa circostanza, da Filarco, sempre propenso ad esaltare l’eroismo delle donne spartane nei momenti di maggior difficoltà – la popolazione venne convinta da Archidamia (Cartledge, Spawforth, 1989) a non darsi per vinta, rafforzando le fortificazioni, armando i giovani e affidando le difese ad Acrotato, figlio di Areo, che avrebbe tentato di sorprendere il nemico alle spalle con trecento uomini (Plut. Pirrh. XXVIII, 5). Fondamentale fu l’apporto degli arcieri cretesi presenti in città, che con una delle loro frecce colpirono e uccisero il cavallo di Pirro, costretto a sospendere momentaneamente il combattimento, convinto che gli Spartani avrebbero ceduto, essendo ormai allo stremo delle forze. Quest’interruzione della battaglia fu per lui fatale, dato che sopraggiunsero rinforzi dal focese Aminia, inviato da Corinto con parte della guarnigione macedone, e soprattutto da Areo, ritornato a Sparta con 2000 uomini (Marasco, 2014). È probabile che parteciparono anche contingenti militari di Argo, inviati da coloro che facevano parte della fazione filomacedone guidata da Aristippo, dato che ormai da qualche anno in città era in corso una guerra civile tra i sostenitori di Antigono e quelli del re epirota (Kralli, 2017). In ogni caso, Pirro si vide costretto a rinunciare all’assedio e, dopo un ulteriore spedizione nella parte meridionale della Laconia – in cui Cleonimo conquistò la città di Zaraco (Paus. III 24, 1) – come al suo solito si rivolse altrove, appunto verso Argo, per cercare di anticipare Antigono e prendere la città.
Al di là delle difficoltà di Pirro durante la ritirata – a causa dello sbarramento dei passi montuosi più difficili, da parte di Areo (Plut. Pyrrh. XXX, 4) – è importante sottolineare come il re epirota sia riuscito suo malgrado a far coesistere e addirittura collaborare con grande spirito di solidarietà Sparta e i suoi rivali storici nel Peloponneso (Cartledge, Spawforth, 1979), e allo stesso tempo a convincere Lacedemoni e Macedoni della necessità di una tregua per fronteggiare una minaccia ben più grande. Sparta ricambiò il favore ricevuto dagli Argivi e dal re macedone, innanzitutto ritardando l’arrivo delle truppe di Pirro nei pressi della città – permettendo ad Antigono di occupare le posizioni migliori – e poi contribuendo direttamente, con un contingente guidato da Areo (Marasco, 2014), alla sconfitta e alla morte del sovrano epirota. Questa vittoria dimostrò la rinnovata efficienza e forza dell’esercito spartano, consolidandone il prestigio e la sua considerazione a livello internazionale. Infatti, a seguito della morte di Pirro, Sparta poteva vantarsi di essere stata l’unica potenza regionale ad aver resistito con grande successo ai più potenti e organizzati eserciti ellenistici, potendo perciò porsi a capo di un’alleanza peloponnesiaca che intendesse liberarsi definitivamente dal giogo macedone.
2. L’introduzione della moneta a Sparta
Inevitabilmente, tutto ciò passava da una rinnovata immagine e percezione di sé che Areo intendeva diffondere non solo tra la popolazione locale e tra gli alleati del Peloponneso, ma anche e soprattutto a livello internazionale, attraverso uno strumento che non era mai stato utilizzato a Sparta: la moneta coniata. Questa non era mai stata prodotta in loco prima di Areo, poiché l’assenza di una motivazione pratica per il suo utilizzo – erano sufficienti infatti monete di ferro, oppure quelle provenienti da paesi stranieri, per soddisfare i bisogni della popolazione locale – avrebbe generato una proibizione a livello normativo, inventata o affermatasi ex novo nel V secolo, ossia la costituzione di Licurgo (Cartledge, Spawforth, 1989).
Con lo sviluppo economico, si rese necessario un mutamento degli ordini tradizionali: in particolare, per pagare i numerosi mercenari sotto contratto, erano richieste la coniazione e l’emissione di monete di metallo prezioso, in particolare di tetradramme d’argento di standard attico – dal peso di circa 17.2 g – sul modello di quelle emesse da Alessandro, di cui sono stati ritrovati solo quattro esemplari (Pagkalos, 2015); un secondo nominale prodotto, sempre di argento, fu l’obolo – questa volta sul modello egineta, dal peso di 0.95 g – rinvenuto in maggiore quantità rispetto al primo. Gli studiosi collocano la coniazione tra il 272 e il 265 (Marasco, 2014; Palagia, 2006), sottolineano la particolare preminenza del sovrano, derivante dalla sua vittoria contro Pirro: infatti, Areo intendeva emulare, se non addirittura superare, i coevi sovrani ellenistici, attraverso una sapiente combinazione di tradizione e innovazione e sfruttando al meglio i retaggi del passato, ma allo stesso tempo promuovendo Sparta come una forte e indipendente entità politica (Pagkalos, 2015).
Queste considerazioni si possono desumere dalla tipologia presente sulle tetradramme: al dritto, è raffigurata la testa di un giovane Eracle sbarbato, col capo coperto da una pelle di leone; al rovescio, invece, è presente l’immagine di Zeus seduto sul trono, con un’aquila sulla mano destra, e lo scettro tenuto stretto nel pugno sinistro (Palagia, 2006). È da notare come non vengano più rappresentati i Dioscuri, simbolo tradizionale della diarchia già dall’età arcaica e classica – si prenda come esempio il gruppo statuario di Lisandro a Delfi, con il generale raffigurato in mezzo a loro – ma Eracle, a sua volta elemento chiave della tradizione spartana, eroe divino da cui dichiaravano di discendere non solo i Lacedemoni, ma anche Argeadi, Antigonidi e Lagidi, dal quale legittimavano il loro diritto di governare. Infatti, Eracle simboleggiava meglio la monarchia, mentre i Dioscuri, essendo due, erano la rappresentazione divina della dinastia Euripontide e Agiade (Palagia, 2006).
Marasco è convinto che l’emulazione della tipologia monetale dei diadochi impedisca di considerare le emissioni di Areo come qualcosa di peculiare e di innovativo a livello politico: secondo lui, è più rilevante quello che è scritto sulla moneta (Marasco, 2014). L’iscrizione ΒΑΣΙΛΕΟΣΑΡΕΟΣ implica ‹‹connotazioni dinastiche oltre il significato locale di regalità›› (Palagia, 2006). La coniazione della moneta è un’azione fortemente voluta da Areo, punto focale della sua politica di rinnovamento civico. Utilizzando un termine preso in prestito da Gehrke, essa è un esempio di intentional history, un atto di definizione di sé da parte dell’autorità emittente per comunicare un messaggio e costruire un immaginario collettivo. Per questo, non bisogna sottovalutare la dimensione politica e ideologica che sta dietro la coniazione e l’emissione di monete. In questo senso, Areo prese spunto da Lisandro – che coniò monete a Samo, a seguito della vittoria decisiva di Egospotami – per il quale le ambizioni personali coesistevano con il successo della città (Pagkalos, 2018).

Nonostante l’alleanza stabilita proprio in questi anni tra Lacedemoni e il re Tolemeo II, le scelte di tipologia monetale andarono nella direzione opposta rispetto a quelle prese dai sovrani lagidi – già con Tolemeo I – mantenendo il tipo alessandrino, più facilmente riconoscibile a livello internazionale, rispetto a quello di Tolemeo, che nell’anno dei Re fu il primo a coniare monete con la sua effigie. Nella moneta di Areo, vi era la commistione tra innovazione e riferimenti al passato mitico e recente, abbinata all’intenzione di presentarsi come un re moderno agli occhi del mondo greco ellenistico, al pari degli Epigoni. Sottolineando la discendenza comune di Spartani e Macedoni, Areo poteva inoltre dirsi legittimo erede di Alessandro, utilizzando la tipologia macedone, nonostante l’inimicizia ormai di lunga data tra Antigonidi e Lacedemoni.
Gli studiosi hanno a lungo dibattuto sulla percezione e la diffusione della moneta: sicuramente, ebbe un qualche impatto sulla società, perlomeno ai suoi margini, anche grazie alla sua funzione prevalente di mezzo di pagamento dei mercenari; inoltre, era probabilmente conosciuta anche per il marcato ricorso, tipico delle società antiche, all’oralità e al “sentito dire”. Attraverso la comunicazione, infatti, la memoria collettiva viene ridisegnata e le monete diventano strumento adatto a tale scopo, recando incise su entrambi i lati immagini e iscrizioni funzionali alla rappresentazione del sovrano (Pagkalos, 2015). Quanto più lontano una moneta viaggiava dal punto di coniazione ed emissione, tanto più varie potevano essere le letture di coloro che la possedevano o ne avevano sentito parlare. Da una parte, i Lacedemoni vedevano nella moneta la conferma delle loro origini da un eroe mitico, dall’altra le città greche indipendenti o soggette ai regni ellenistici la interpretavano come la manifestazione tangibile di un re al pari dei Successori, e soprattutto assimilabile ad Alessandro Magno. Per questo motivo, è importante per Areo adottare una tipologia standard e riconoscibile a livello internazionale.
Un’altra questione è se le monete siano state coniate da una zecca all’interno del dominio di Areo, o se qualcun altro in sua vece – anche vista la carenza di metallo prezioso in Laconia – si sia preso tale responsabilità. Secondo Cartledge, le monete non sono state coniate da Sparta, e avrebbero avuto lo scopo di convincere Tolemeo II che Areo avrebbe potuto essere un utile alleato contro il Gonata (Cartledge, Spawforth, 1989). Pagkalos, invece, preferisce optare per un più conservativo non liquet (Pagkalos, 2015). Se le monete fossero state coniate da Tolemeo, però, verrebbe a cadere l’ipotesi di un’alleanza tra i due sovrani posteriore alla coniazione stessa.
3. La guerra cremonidea
Anche i ritratti statuari sono importanti, perché testimoniano la volontà di diverse poleis e dello stesso lagide di onorare il re Areo: sono state a lui dedicate una statua ad Orcomeno, una da Tolemeo II ad Olimpia (Pagkalos, 2018; Palagia, 2006). Oltre a queste, Pausania (VI 12, 5; VI 15, 9) ne cita altre due, sempre ad Olimpia, erette dagli Elei: Marasco sottolinea come questi onori solamente per la sua persona – e non anche per il suo collega di diarchia – siano derivati dal suo impegno nei negoziati per la formazione di un’alleanza antimacedone, e per il ruolo di comando dell’esercito peloponnesiaco, durante la guerra cremonidea (Palagia, 2006).
Non è ancora possibile avere un resoconto completo di questo conflitto ma, grazie alla combinazione delle poche fonti letterarie disponibili con quelle epigrafiche e archeologiche, si può tentare di ipotizzare un quadro coerente, seppur incompleto. Gli studiosi hanno dibattuto a lungo su chi sia stato l’iniziatore della guerra cremonidea: secondo Marasco, fu Areo I, mentre secondo O’Neil fu Tolemeo colui che diede il via all’iniziativa (O’Neil, 2008). In realtà, era una guerra che rispondeva agli interessi di tutti gli stati coinvolti: Sparta aveva l’obiettivo di cacciare Antigono dal Peloponneso, Atene intendeva invece liberarsi delle guarnigioni macedoni presenti nel suo territorio, e Tolemeo voleva estendere la sua influenza sull’Egeo.
Risulta evidente, nel testo del decreto di Cremonide, l’utilizzo di una propaganda che rappresenta il re Antigono come se fosse il persiano Serse, in una riproposizione stereotipata delle guerre persiane: viene esaltato il ruolo di Atene e Sparta di liberatrici da una dominazione barbara, coadiuvate dalla consueta buona disposizione di Tolemeo nei confronti delle città greche (Kralli, 2017). Gli alleati di Sparta erano Elei, Achei, le città arcadiche di Tegea, Mantinea, Orcomeno, Figalia e Cafie – contro Megalopoli – e le città cretesi di Gortina, Polirrenia e Falasarna: è evidente una continuità nei rapporti interstatali nel Peloponneso. Gli alleati di Atene, invece, non vengono direttamente menzionati nel decreto. Infine, Tolemeo poteva fornire un buon supporto militare, attraverso la sua potente flotta, ma soprattutto aiuti finanziari, data la presenza di numerose monete ritrovate sia a Sparta – databili al regno di Areo – sia in Attica, presso i vari campi fortificati dell’ammiraglio Patroclo (O’Neil, 2008).

La coalizione antimacedone aveva secondo Marasco grandi possibilità di vittoria, ma la guerra venne decisa prevalentemente dalla disposizione strategica delle forze in campo: Atene rimase isolata, fuori dal Peloponneso e circondata da guarnigioni macedoni in diverse piazzeforti dell’Attica, compresa quella nel porto del Pireo. La Grecia centrale era prevalentemente sotto il controllo di Antigono, oppure degli Etoli, che rimasero neutrali, approfittando della guerra per espandere il loro territorio (Marasco, 2014). Diventava difficile riuscire a portare aiuto ad Atene via terra: l’unica alternativa era quella di sfruttare la flotta lagide, comandata dall’ammiraglio Patroclo. Sbarcato in Attica il primo anno di guerra, si sarebbe accampato a Gardonisi – l’attuale isola di Patroclo, a Sud dell’Attica – con una parte del suo equipaggio, poi a Koroni – una penisola della costa sud-orientale – per agevolare l’invio di risorse ad Atene, essendo circondata da Antigono e impossibilitata a ricevere approvvigionamenti via mare, dal porto del Pireo. Avanzando poi verso l’interno, avrebbe occupato il forte sul monte Hymettos e quello di Heliopolis, alle sue pendici, per controllare i movimenti del nemico attorno Atene: si può affermare che Patroclo spinse le sue truppe più avanti di quanto pensasse Pausania (O’Neil, 2008). In un suo passo, si afferma che l’ammiraglio lagide avrebbe richiesto ad Areo di attaccare frontalmente Antigono, per permettergli di avanzare alle sue spalle e coglierlo di sorpresa: tuttavia, il re lacedemone, poiché iniziavano a scarseggiare i viveri per la mancanza di approvvigionamenti, si ritirò, rimandando l’iniziativa di Patroclo – il quale non poteva attaccare da solo, vista l’inferiorità dei suoi marinai in combattimenti terrestri (Marasco, 2014). Era chiaro a tutti che il ruolo risolutivo spettava ad Areo, il quale doveva tentare di forzare l’istmo di Corinto per riunire il suo esercito a quello degli alleati. Oltre alla già citata testimonianza di Pausania, è presente un passo di Giustino (XXVI 2, 1-9) riguardante la ribellione dei Galati al servizio di Antigono: la difficoltà nel conciliare queste due fonti ha portato ad interpretazioni diverse da parte degli storici contemporanei, che qui intendo riassumere nelle ipotesi di O’Neil – sulla scorta del pensiero di McCredie (1966) che si è occupato di indagare le fortificazioni dell’Attica ellenistica – e di Marasco.
Secondo O’Neil, Areo avrebbe superato con le sue truppe l’istmo di Corinto durante il primo anno di guerra, nel 268/267, presumibilmente via terra, provando ad avanzare verso Atene, per poi tornare indietro per mancanza di rifornimenti. Ciò concorderebbe con la testimonianza di Pausania. L’anno successivo, nel 267/266, Antigono avrebbe potuto usufruire di rinforzi provenienti dall’Asia Minore, un contingente di Galati, oltre a diversi elefanti – rendendo plausibile un’alleanza tra Antigono e il regno seleucide in questa guerra – che avrebbero permesso di bloccare definitivamente il passaggio dell’istmo di Corinto. A questo punto, però, successe qualcosa di inaspettato: la ribellione dei Galati non permise ad Antigono di concentrare i suoi sforzi nella difesa di Corinto contro Sparta, e lo scontro decisivo con Areo avvenne solamente l’anno successivo, nel 265. Secondo Marasco, invece, le testimonianze di Pausania e di Giustino confermano che Areo non è mai riuscito ad oltrepassare l’istmo di Corinto: forse, Patroclo aveva intenzione di portare avanti un’azione di disturbo, sbarcando improvvisamente alle spalle di Antigono, a Nord di Corinto, per un attacco a tenaglia. Il re spartano provò per tre anni consecutivi a prendere l’acropoli corinzia, con scarsi risultati, e forse anche con perdite tutto sommato limitate per i primi due anni: fu solo nel 265 che Antigono poté concentrare le sue forze su Corinto, dove avvenne la battaglia decisiva che decretò la morte di Areo, e probabilmente lo scioglimento dell’alleanza peloponnesiaca.
Al di là dell’esito sfavorevole della guerra, attraverso il decreto di Cremonide è possibile confermare una volta di più il ruolo preminente di Areo all’interno di Sparta, già delineato dall’analisi della sua politica monetale: così come nelle sue emissioni, non in nome della città di Sparta ma per volontà del solo basileos Areos, si evita di menzionare il collega Euripontide, anche nell’iscrizione Areo è citato da solo in determinate circostanze, alle linee 26, 28, 50, 90 (Marasco, 2014). Tuttavia, in altri punti del testo, sono menzionati sia gli efori, sia i geronti, e in maniera generica anche i re, laddove era giuridicamente opportuno. Inoltre, Areo non viene mai chiamato basileus, in quanto l’attribuzione del titolo regale solo a uno dei due re sarebbe stata contraria al protocollo. Il suo potere sembra quindi non oltrepassare troppo gli standard tradizionali, né mettere in secondo piano gli efori, dato che costoro erano solidali con la sua politica antimacedone. L’unica differenza è il silenzio pressoché totale di ogni fonte sulla casata Euripontide, isolata a livello politico a tal punto da non comparire in un documento ufficiale così importante per il periodo (Marasco, 2014).
Concludendo, si può quindi sostenere che Areo ebbe sicuramente un ruolo di primo piano all’interno di Sparta, dando il via a una trasformazione della diarchia tradizionale in una monarchia di stampo ellenistico, da legittimare attraverso un’attenta politica monetale che consolidasse la sua immagine a livello internazionale, mettendolo sullo stesso piano degli Epigoni. Cooperando attivamente con le istituzioni cittadine, senza scavalcarle e non svuotandole di significato, ma assumendo comunque il comando delle iniziative a livello diplomatico in politica estera, Areo fu in grado di catalizzare verso di sé il favore degli stati peloponnesiaci prima, e dell’Egitto lagide poi, diventando una tangibile minaccia per Antigono. Fu portatore di un nuovo ethos, criticato duramente da Filarco per l’ostentazione della sua tryphè, ma rimase in fin dei conti uno spartano tradizionale sotto molti aspetti, soprattutto a causa delle sue aspirazioni egemoniche. Tentò infatti di riportare Sparta all’avanguardia in politica estera, facendo ricorso alla violenza, attraverso l’arruolamento di mercenari proprio con le monete che aveva deciso di coniare (Pagkalos, 2018). Tuttavia, seppur per un breve periodo Sparta sia tornata ad essere la potenza egemone del Peloponneso, dopo una lunga fase di isolamento politico, Areo non intraprese quelle riforme strutturali – socioeconomiche e militari – necessarie a garantire che il ritorno della città tra le grandi protagoniste del mondo ellenistico non risultasse in fin dei conti effimero (Cartledge, Spawforth, 1989). Dopo la sua sconfitta, si acuirono i contrasti sociali, con il sempre più pressante problema dell’oligantropia e la sperequazione dei terreni e dei patrimoni sempre maggiore. Bisognerà aspettare l’avvento di “re riformatori” come Agide IV e Cleomene III per vedere realizzate, almeno in parte, le riforme sociali che permetteranno a Sparta di tornare momentaneamente al centro di iniziative politiche e militari di un certo rilievo.

Luca Segagni
Luca Segagni si è laureato in Scienze Storiche presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna e, precedentemente, in Storia Romana presso l’Università degli Studi di Milano. È interessato prevalentemente alla storia romana e ai personaggi meno conosciuti dell’antichità.
Bibliografia
P. Cartledge – J. S. Antony Spawforth, Hellenistic and Roman Sparta. A tale of two cities, London 1989; I. Kralli, The Hellenistic Peloponnese: interstate relations. A narrative and analytic history, from the fourth century to 146 BC, Swansea 2017; M. Lupi, Sparta. Storia e rappresentazioni di una città greca, Roma 2017; G. Marasco, Sparta agli inizi dell’età ellenistica: il regno di Areo I, Milano 2014; J. R McCredie, Fortified military camps in Attica, Princeton 1966; J. L. O’Neil, A re-examination of the Chremonidean war, in P. McKechnie – P. Guillaume, Ptolemy II Philadelphus and his World, Boston 2008, 65-89; M. E. Pagkalos, The coinage of king Areus I revisited: uses of the past in Spartan coins,in ‹‹Graeco-Latina Brunensia›› 20.2 (2015), 145-159; M. E. Pagkalos, The Past as a Guide to Political Practice: The Case of King Areus I of Sparta, in Violence and Politics: Ideologies, Identities, a cura di A. Ampoutis, M. Dimitriadis, T. Konstantellou, M. Mamali, V. Sarafis, Cambridge 2018, 54-71; O. Palagia, Art and royalty in Sparta of the 3rd century B.C., ‹‹Hesperia›› 75.2 (2006), 205-217.
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