LA MARGINALITÀ NEL BASSO MEDIOEVO

di Federica Fornasiero

  1. Premessa

È sicuramente molto difficile nelle poche pagine di cui si compongono i nostri articoli trattare un argomento tanto vasto e complesso. Questo pezzo intende quindi proporre una succinta disamina circa la marginalità nel Basso Medioevo, con particolare attenzione a vagabondi, mendicanti e prostitute.

Per quanto riguarda le fonti, abbiamo pochissime informazioni relative all’Alto Medioevo (Geremek, 2013); i secoli successivi – a partire circa dal XII-XIII secolo – ci forniscono invece qualche informazione in più: è possibile infatti trovare menzione degli emarginati nelle diverse legislazioni locali, in resoconti polizieschi e giudiziari, inquisitoriali o di enti assistenziali; inoltre, la popolazione marginale è sovente rappresentata in accezione negativa nella produzione letteraria moralistica, ecclesiastica o municipale (Geremek, 2013; Geremek, 1989; Benedetti, 2013). Come ben spiegò Bronisław Geremek nel suo Mendicanti e miserabili nell’Europa moderna: «gli archivi della marginalità, i documenti che permettono allo storico di avvicinarsi ai gruppi marginali, sono in primo luogo e soprattutto frutto di azioni repressive; la stessa marginalità appare dunque come condizione condannata, perseguita e punita» (Geremek, 1989). Sempre Geremek ne L’emarginato affermò «nella documentazione storica, gli emarginati lasciano poche tracce (…). Sono presenti innanzi tutto negli archivi della repressione, quindi in un’immagine riflessa dove appare non soltanto la giustizia della società organizzata, ma anche il suo timore e il suo odio» (Geremek, 2013; cfr. Geremek, 1992). Non dobbiamo inoltre dimenticare che, per quanto riguarda la “storia delle donne”, le fonti solo in rarissimi casi restituiscono il punto di vista femminile: infatti la documentazione, soprattutto quella repressivo-giudiziaria, è stata compilata da uomini per uomini. Vi è quindi un filtro, quello maschile, che non è possibile ignorare (Del Bo, 2021). Altre fonti interessanti – a lungo trascurate e sottovalutate (Gazzini, 2017) – potrebbero essere quelle riguardanti la realtà carceraria; se pensiamo per esempio al carcere Malastalla a Milano, possiamo notare che la maggior parte dei detenuti erano – oltre ai criminali e ai trattenuti pro imputazione – miserabili, emarginati o insolventi (Gazzini, 2013; Gazzini, 2018, Gazzini, 2017).

Sulla base della documentazione a noi disponibile, è quindi possibile delineare una sorta di identikit dell’emarginato?

«L’uomo emarginato non appare explicite nei documenti della coscienza sociale medievale. (…) Eppure, egli è presente nella vita delle società medievali come risultato della negazione individuale o di gruppo dell’ordine dominante, delle norme accettate di convivenza, delle regole e delle leggi vigenti. Si ha così un mondo sociale an sich, in realtà poco unito all’interno, ma che la società percepisce come diverso» (Geremek, 2013; cfr. Geremek, 1992)

L’elemosina ai poveri – miniatura da Johannes de Caulibus, Meditatione de la vita di Nostro Signore, Siena, 1330-1340 – BnF, Parigi. (fonte: BnF)

Ecco quindi che gli esclusi erano principalmente gli stranieri, i pellegrini, i migranti o i nomadi, che vivevano al di fuori del proprio territorio di origine, lontani dalla propria comunità e dai vincoli di parentela, ambientali e di vicinato, oppure non avevano dimora fissa; i banditi e gli esiliati, che vengono legalmente esclusi da una comunità, divenendo fuori legge; scomunicati, eretici, pagani, ebrei e musulmani, i quali venivano isolati poiché estranei all’ortodossia cristiana; vagabondi e viandanti – che non sono del tutto assimilabili ai pellegrini, ai quali la Chiesa metteva a disposizione strutture apposite – cioè persone non stanziali: la mobilità era un elemento marginalizzante e costituiva un pericolo nei confronti dell’ordine sociale. Vi erano poi i “diversi” dal punto di vista etnico, fisico (alcolizzati, malati e storpi), psicologico (per esempio, malati mentali, persone affette da disturbi comportamentali o da deficit cognitivi), religioso (eterodossi) e legale (criminali, ladri e trasgressori di norme, valori e consuetudini); e ancora, coloro che non erano né professionisti di un settore, né soggetti a stabilità lavorativa – e che quindi si trovavano al di fuori di arti e corporazioni – oppure lavoratori salariati o disoccupati (spesso dediti al crimine per poter sopravvivere); coloro che esercitavano professioni infamanti, legate precipuamente alle arti (giullari, istrioni, attori), alla prostituzione (meretrici e ruffiani), all’igiene, al sangue, alla sporcizia (quali, macellai, becchini, pulitori di strade, di latrine, di bagni), alla polizia urbana (boia, funzionari di polizia, aguzzini e assistenti), all’usura, alla frode, al gioco d’azzardo, al commercio oppure al lavoro nelle locande, alla magia e alla stregoneria, alla pastorizia; reduci di guerra, soldati, mercenari; infine mendicanti (Geremek, 2013).

  1. I vagabondi

«Nelle società tradizionali dell’Europa preindustriale il vagabondaggio sembra essere in se stesso al di fuori della legalità. È considerato un male ed un pericolo per la società organizzata» (Geremek, 1989)

Perché il vagabondo era considerato tanto diverso, per esempio, da un pellegrino o da un migrante? La mobilità dei mercanti e degli artigiani, dei cavalieri, dei migranti – in cerca solitamente di migliori prospettive di vita e di lavoro – oppure dei pellegrini – di chi si spostava quindi per precisi motivi religiosi – era sicuramente considerata una forma di vita asociale ed errabonda, verso la quale dimostrare una sorta di diffidenza; tuttavia, tali categorie erano inquadrate in definite e riconoscibili strutture sociali e avevano un valido motivo per vagare. Inoltre, sovente, questi spostamenti erano momentanei, organizzati, controllati e potevano avvalersi anche della solidarietà di reti assistenziali. Il vagabondo, invece, era colui che errava senza meta, che non aveva alcuna utilità socio-economica e che per di più rifiutava di essere inquadrato in definiti schemi sociali (di vicinato, famigliari, corporativi, religiosi, istituzionali). Il vagabondo era l’asociale per antonomasia e, per questo motivo, era severamente punibile – e punito – dalla legge, poiché costituiva una minaccia all’ordine prestabilito. Egli era volontariamente disoccupato, non aveva una fissa dimora, sopravviveva spesso alle spalle della società, aveva contatti con la malavita e con la criminalità, poteva essere ladro, baro, brigante, truffatore (Geremek, 1989; Geremek, 1990; Geremek, 1992). Rappresentava altresì un pericolo per l’igiene pubblica: in caso di epidemie, erano infatti i vagabondi i primi a essere espulsi dalle mura cittadine (Geremek, 1992). I vagabondi erano considerati sfaticati, oziosi, disonesti e per questo sospetti, pericolosi: «vagabondo è dunque chi non lavora nonostante che lo status sociale suo proprio lo condanni a vivere “della fatica del suo corpo”» (Geremek, 1989). Era pertanto colui che, sebbene abile al lavoro, rifiutava di mettersi al servizio di qualcuno, di “essere manodopera” pagata, stabile, onesta, posizionandosi pertanto al di fuori della legge (Geremek,1989; Geremek, 2013). Infine, i vagabondi erano categoricamente esclusi da tutte quelle associazioni caritativo-assistenziali dedite al soccorso e al supporto delle categorie marginali e indigenti (Albini, 2002; Geremek, 1991).

Pieter Bruegel the Elder, The Cripples, 1568, Louvre, Paris (fonte: Wikipedia)
  1. I mendicanti

Superficialmente, i termini vagabondo e mendicante potrebbero apparire come sinonimi; effettivamente, spesso il vagabondo viveva di elemosina e poteva quindi essere considerato a tutti gli effetti un mendico, il quale a sua volta avrebbe potuto essere dedito al vagabondaggio. Cosa vi è quindi di diverso tra queste due categorie di emarginati? Il mendicante, a differenza del vagabondo, era colui che era caduto in disgrazia, impoverendosi, ed era inabile al lavoro poiché vecchio, orfano, infermo, malato, mutilato, storpio oppure affetto da malattie mentali, ma anche vittima di particolari situazioni famigliari: si trattava dunque di persone, uomini e donne, «per le quali la povertà materiale implica anche una precarietà di condizione sociale» (Geremek, 1991). Il mendico era non solo tollerato dalla società, ma era anche parte di essa, la quale si impegnava, attraverso opere caritativo-assistenziali, a prendersi cura dei più bisognosi e indigenti (Geremek, 1992). Peraltro, il mendicante – che viveva quindi di carità ed elemosina – era necessario alla comunità: durante il Medioevo fare l’elemosina ai poveri e prestare loro assistenza era un dovere morale, tanto che tale pratica veniva spesso incentivata, in quanto poteva portare alla salvezza dell’anima. Inoltre, tale attività rispettava una sorta di tacito contratto do ut des: si faceva la carità al povero, il quale garantiva un sostegno spirituale al benefattore attraverso la preghiera (Geremek, 1990; Geremek, 1991; Geremek, 1992). Mendicare era addirittura considerata una professione; i mendichi non erano quindi gentaglia dissoluta, sbandata, senza meta o dannosa, ma erano “poveri professionisti e stipendiati”, che venivano per questo accettati dalla comunità e che sopravvivevano grazie alla periodica distribuzione delle elemosine (Geremek, 1991; Geremek, 1992). Erano inoltre rintracciabili: avevano spazi adibiti – ospedali, ricoveri, opere pie – ma anche aree in cui potevano liberamente sostare e chiedere l’elemosina – chiese e sagrati, piazze e strade (Geremek, 1990; Geremek, 1991). Erano facilmente riconoscibili: erano spesso coperti di stracci, erano scalzi ed esponevano la propria condizione disabilitante, la malattia o l’infermità (Geremek, 1991). Erano infine spesso inquadrati in confraternite di mutuo soccorso, grazie alle quali si spartivano le elemosine ricevute e si autolegittimavano come professionisti (Geremek, 1991; Geremek, 1992).

  1. Le prostitute

Il meretricio era una condizione infamante e immorale: essere prostituta significava divenire una marginale. Tuttavia, sin dal Medioevo, tale professione era tollerata, organizzata e riconosciuta – a differenza del lenone. Come i mendicanti, anche le prostitute erano relegate a prestabilite zone cittadine (quartieri, strade, piazze, locande, taverne, bagni pubblici e latrine o nelle prossimità dei cimiteri), oppure a case di tolleranza, ed erano facilmente riconoscibili dagli abiti – oppure dal colore degli indumenti – o da segni particolari che ne indicassero, come di consueto, lo status (Duby, 1990; Geremek, 1989; Geremek, 1990, Geremek, 1992). Chi erano le prostitute? La realtà era tutt’altro che omogenea. Potevano esserci prostitute e cortigiane professioniste, che svolgevano il proprio lavoro in maniera pubblica e regolare; ma anche bambine, ragazze, donne, vedove che saltuariamente vendevano – o erano obbligate a vendere – il proprio corpo per poter sopravvivere. Il meretricio era, in quest’ultimo caso, un’occupazione secondaria e parallela alla propria occupazione e condizione (Duby, Perrot, 1990; Geremek, 1990; Vaglienti, 2020). Spesso, queste donne non godevano di alcuna protezione, erano vittime di abusi, violenze, inganni e furti da parte dei clienti, oppure erano fortemente indebitate, un fattore che innescava sempre più un circolo vizioso dal quale era difficile uscire e che poteva spingere alla delinquenza (Duby, Perrot, 1990). Durante il XIII secolo sorsero ordini religioso-assistenziali – come l’Ordine di Santa Maddalena – dediti all’accoglienza di prostitute pentite, alle quali era data l’opportunità di espiare i propri peccati e di ambire a una vita migliore (che poteva portare anche a un matrimonio e quindi divenire parte di una famiglia, di un vicinato e in generale di una comunità) (Duby, Perrot, 1990).

Joachim Beuckelaer, Brothel, 1562, Walters Art Museum, Baltimora (fonte: Wikipedia)
  1. Conclusione

La questione della marginalità nel Medioevo rimane tuttora aperta. Gli storici sempre più si stanno interessando a questi temi, soprattutto dando maggiore attenzione alla sfera femminile, sulla quale pesa un assordante silenzio storiografico. La strada da percorrere è ancora lunga, probabilmente tortuosa, ma sicuramente molto interessante e stimolante. Inoltre, il problema, decisamente complesso e sfaccettato, merita dunque un’attenzione particolare e analisi maggiormente aggiornate e approfondite, che possano infine dare voce a quelle categorie di reietti a lungo sottovalutate e ignorate.

Federica Fornasiero – Scacchiere Storico

Federica Fornasiero è medievista e laureata in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Nella sua tesi si è occupata di sindacato podestarile nel Trecento e dello studio delle fonti ad esso relative nel Comune di Reggio Emilia. I suoi interessi principali sono la storia sociale, economica e di genere, ma non disdegna anche la storia delle chiese e delle eresie medievali.

Bibliografia

Albini G., Introduzione, in Carità e governo delle povertà (secoli XII-XV), Milano 2002,distribuito in formato digitale da “Reti Medievali, consultato il 11.05.2021: http://www.rmoa.unina.it/9/1/RM-Albini-Introduzione.pdf; Benedetti M., I margini dell’eresia. Indagine su un processo inquisitoriale (Oulx, 1492), Fondazione Centro Studi Italiano sull’Alto Medioevo – Spoleto, e Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano – Milano, 2013; Del Bo B., Tutte le donne (del registro) del podestà fra cliché e novità, in Liber sententiarum potestatis Mediolani (1385), Storia, diritto, diplomatica e quadri comparativi, a cura di A. Bassani – M. Calleri – M.L. Mangini, Notariorum Itinera. VII/1, 2021, Società Ligure di Storia Patria, Genova 2021, distribuito in forma digitale da Notariorum Itinera, Centro Studi Interateneo, consultato il 15.05.2021: https://notariorumitinera.eu/Scheda_vs_info.aspx?Id_Scheda_Bibliografica=6341; Duby G., Perrot M., Storia delle donne – Il Medioevo, a cura di Klapisch-Zuber C., Laterza Editore, Roma-Bari 1990; Gazzini M., «Humanum est peccare, evangelicum emendare et diabolicum perseverare». Suppliche di prigionieri nel carcere milanese della Malastalla, in La religione dei prigionieri, a cura di Rossi M. C., Quaderni di storia religiosa – 2013, Cierre Edizioni, Verona 2015, pp. 211-232, distribuito in forma digitale da Academia.edu, consultato il 11.05.2021: https://www.academia.edu/16441987/_Humanum_est_peccare_evangelicum_emendare_et_diabolicum_perseverare_Suppliche_di_prigionieri_nel_carcere_milanese_della_Malastalla_in_La_religione_dei_prigionieri_a_cura_di_M_C_Rossi_Quaderni_di_storia_religiosa_2013_pp_211_232; Gazzini M., La violenza e la grazia. Storia di donne e di crimini nel ducato di Milano, in Violenza alle donne. Una prospettiva medievale, a cura di Esposito A., Franceschi F., Piccinni G., Bologna, Il Mulino, 2018, pp. 233-254, distribuito in forma digitale da Acedemia.edu, consultato il 11.05.2021: https://www.academia.edu/40367265/M_Gazzini_La_violenza_e_la_grazia_Storie_di_donne_e_di_crimini_nel_ducato_di_Milano_in_Violenza_alle_donne_Una_prospettiva_medievale_a_cura_di_A_Esposito_F_Franceschi_G_Piccinni_Bologna_Il_Mulino_2018_pp_233_254; Gazzini M.,Storie di vita e di malavita. Criminali, poveri e altri miserabili nelle carceri di Milano alla fine del Medioevo, Reti Medievali – Ebook 30, Firenze University Press, Firenze 2017, distribuito in forma digitale da Reti Medievali, consultato il 11.05.2021: http://www.rm.unina.it/rmebook/index.php?mod=none_Gazzini_Carceri; Geremek B.,I bassifondi di Parigi nel Medioevo, Edizioni Laterza, Roma-Bari 1990; Geremek B., L’emarginato, tratto da Le Goff. (a cura di), L’uomo medievale, Edizioni Laterza, Bari 1993, Ebook Laterza, edizione digitale 2013; Geremek B., La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Biblioteca Universale Laterza 240, Bari 1991; Geremek B., Mendicanti e miserabili nell’Europa moderna (1350-1600), Edizioni Laterza, Bari 1989; Geremek B., Uomini senza padrone, Einaudi, Torino 1992; Merlo G. G., Streghe, Il Mulino, Bologna 2006, versione digitale 2009, distribuito in forma digitale da DarwinBooks, consultato il 15.05.2021: https://www-darwinbooks-it.pros.lib.unimi.it/doi/10.978.8815/140098; Vaglienti F.,Marginalia. Esempi di umane miserie nei Registri dei Morti di età sforzesca, in Flos studiorum. Saggi di storia e di diplomatica per Giuliana Albini, Quaderni degli Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica – III, luglio 2020, Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Milano ‐ Bruno Mondadori, pp. 383-400, distribuito in forma digitale da Riviste.unimi – Studi di Storia Medievale e di diplomatica, Nuova serie, consultato il 17.05.2021: https://riviste.unimi.it/index.php/SSMD.

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Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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