L’ASCENDENZA DIVINA DI ALESSANDRO

Alessandro entra a Babilonia

di Michele Gatto

1. La nascita e le discendenze familiari

Uno dei numerosi temi legati alla figura di Alessandro Magno è indubbiamente quello della sua natura divina o semidivina, derivata dalle origini familiari e dalle circostanze, reali o presunte, della propria nascita. Alessandro, figlio del re macedone Filippo II e di sua moglie Olimpiade, sarebbe venuto alla luce a Pella nel 356 a.C., un dato cronologico che possiamo desumere da quanto racconta Plutarco: infatti, dopo aver riportato indicativamente il giorno e il mese del lieto evento (rispettivamente, il sesto di Ecatombeone secondo il calendario ateniese, di Loo per quello macedone), egli afferma come nel momento in cui Filippo aveva conquistato Potidea, gli fossero giunte tre notizie, cioè la vittoria di Parmenione contro gli Illiri, la vittoria dei suoi cavalli ai giochi di Olimpia e la nascita di Alessandro (Plutarco, Alessandro, 3, 5 e 8-9). Questi elementi, oltre a confermarne la datazione, porterebbero a collocarla all’incirca nella terza decade di luglio (Landucci, 2019), sebbene ci siano state trasmesse anche altre due alternative in merito: una ad ottobre, ma probabilmente derivata dal giorno ufficiale dell’ascesa al trono di Persia; l’altra il 6 luglio, giorno dedicato ad Artemide e, come si vedrà, riferimento non casuale (Lane Fox, 2004). Ma prima di tornare alle diverse versioni relative all’avvenimento in sé stesso, è necessario soffermarsi sulla stirpe della famiglia reale macedone. Per quanto riguarda il ramo paterno, Alessandro apparteneva alla dinastia dei Temenidi: il loro nome derivava da Temeno, l’eraclide che prese possesso di Argo e dell’Argolide durante l’invasione dorica del Peloponneso, nel XII secolo a.C.; di conseguenza, i sovrani macedoni facevano risalire la propria discendenza da Eracle, semidio ed eroe greco. Da parte materna, invece, Alessandro apparteneva alla dinastia epirota degli Eacidi, la cui fondazione veniva attribuita a Pirro Neottolemo, figlio dell’eroe omerico Achille e nipote della ninfa Teti; inoltre, si credeva che Olimpiade fosse imparentata con Elena di Sparta. Già dalla nascita, tramite i suoi avi, il futuro sovrano macedone poteva vantare così un’ascendenza divina, risalente in sostanza fino a Zeus (Mossé, 2005; Landucci, 2019; Lane Fox, 2004).

Oltre a ciò, le fonti riportano anche di alcuni presagi che avrebbero avvalorato quanto detto finora. Plutarco ricorda come la nascita di Alessandro coincise con l’incendio del tempio di Artemide a Efeso: se alcuni spiegarono l’avvenimento con l’impegno della dea nell’assistere Olimpiade durante il parto, altri invece lo ritennero un presagio di sventura per il destino dell’Asia. Tuttavia, bisogna concentrare l’attenzione sul concepimento. Sempre Plutarco sostiene che, in prossimità delle nozze, Olimpiade sarebbe stata colpita al ventre da un fulmine rimanendo subito dopo incinta (Alessandro, 2, 3-6) e, successivamente, Filippo l’avrebbe sorpresa nel letto accanto ad un serpente: turbato dalla visione, si rivolse all’oracolo di Delfi che gli rispose di fare sacrifici e venerare Ammone (Alessandro, 2, 6-9; 3, 1-2). In realtà, la presenza del serpente può rimandare anche ad un’altra figura divina legata ad Alessandro, quella di Dioniso: alla madre Olimpiade erano attribuite pratiche religiose dei culti orfici e dionisiaci con la presenza di serpenti addomesticati, rituali ritenuti tipici della Grecia settentrionale e, in particolare, dell’Epiro, la cui natura non era esclusivamente femminile (Landucci, 2019). Inoltre, la stessa parabola di Alessandro ha finito col fondersi ad alcuni elementi del mito di Dioniso: basti considerare la fuga del dio (figlio di Zeus) dalla collera di Era e il suo trovare rifugio presso Teti, oppure al suo successivo viaggio che gli permise di sottomettere l’India. Molto probabilmente, la regina, della quale si raccontava (esagerando) la sfrenata devozione orgiastica, trasmise al figlio il suo misticismo dionisiaco (Lane Fox, 2004; Mossé, 2005), seppur forse in modo meno accentuato ma comunque evidente, come alcuni episodi avrebbero dimostrato.

Ritratto di Alessandro
Ritratto marmoreo di Alessandro Magno del II-I secolo a.C., forse proveniente da Alessandria d’Egitto. British Museum, Londra (fonte: autore, Carole Raddato; licenza, CC BY-SA 2.0)

Esistono però anche versioni meno nobili riguardanti la nascita di Alessandro, che solleverebbero dubbi sia sulla sua natura divina, sia sulla sua discendenza: in un caso, egli viene indicato come il figlio del faraone Nectanebo, il quale una volta fuggito dall’Egitto nel 342 a.C. dopo l’invasione persiana, trovò asilo in Macedonia. Qui avrebbe sedotto Olimpiade facendosi credere un dio e mettendola incinta, ma ciò non trova corrispondenza cronologica con la datazione della nascita di Alessandro (Landucci, 2019). Un’altra versione, di matrice persiana, sostiene invece che Olimpiade avrebbe avuto una relazione amorosa col re di Persia durante una visita diplomatica, per poi tornare in Macedonia in dolce attesa (Lane Fox, 2004). Ad ogni modo, si tratta di versioni dal carattere leggendario o, se consideriamo il caso persiano, il cui scopo era legittimarsi la figura di Alessandro: sono perciò racconti, al pari di quelli sul concepimento divino, indubbiamente postumi e contrastanti con la realtà storica. Esistono infatti pochi dubbi sulla paternità di Filippo, sebbene permanga sempre un certo legame con la religiosità: basti pensare al fatto che il re macedone avrebbe conosciuto Olimpiade presso il santuario dei Grandi Dei di Samotracia, dove entrambi erano stati iniziati al loro culto misterico (Plutarco, Alessandro, 2, 2) che, infatti, da quel momento ebbe una certa fortuna presso la corte di Macedonia. È comunque probabile che il matrimonio tra i due non sia stato celebrato subito, ma un anno prima della nascita di Alessandro (Lane Fox, 2004; Mossé, 2005).

2. Alessandro figlio di Zeus

Come abbiamo visto, circolavano diversi racconti sulle origini di Alessandro che contribuirono ad alimentare la convinzione sulla sua ascendenza divina. Ovviamente, ciò ebbe dei vantaggi dal punto di vista propagandistico, rafforzandone lo status: questo porterebbe a ipotizzarne l’uso strumentale da parte dello stesso Alessandro, senza attribuire così tutta la responsabilità alla madre. Infatti, secondo Plutarco, se per alcuni Olimpiade incoraggiava il figlio riguardo la veridicità della sua natura sovrannaturale, per altri lo ammoniva accusandolo di calunniarla al cospetto di Era, moglie di Zeus (Alessandro, 3, 3-4; Mossé, 2005). Tuttavia, se questi racconti devono essere considerati postumi, diventa necessario capire quando sia scattato questo passaggio narrativo.

A tempi precedenti la spedizione in Asia del 334 a.C., quando Alessandro aveva bisogno di consolidare il proprio potere in Grecia, veniva già fatto risalire un episodio legato all’oracolo di Delfi: recatosi in visita al santuario per compiere delle offerte, al re macedone venne però negata la consultazione della Pizia perché il giorno era ritenuto infausto. Alessandro allora prese la sacerdotessa con la forza e questa lo riconobbe come invincibile, legittimandone così la divinità soprattutto agli occhi dell’esercito. Il tema di Alessandro come theós aníketos, cioè dio invincibile, potrebbe aver avuto origine proprio da questo aneddoto (sebbene sia tutt’altro che certo) per poi affermarsi nel corso del tempo, passando prima dal riconoscimento di un culto eroico: solo Eracle, in precedenza, era stato definito invincibile, ed Alessandro infatti cercò di evidenziare il più possibile i suoi legami con l’eroe mitico (Plutarco, Alessandro, 14, 6-7). Il fatto che anche ad Atene, dopo la conquista della Persia, sarebbe stata proposta l’erezione di una statua di Alessandro nell’agorà proprio nelle vesti di dio invincibile, al di là delle implicazioni politiche inerenti all’episodio, porta a considerare quanto nel mondo greco fosse già stato superato da tempo il veto riguardante culti eroici dedicati a personaggi viventi, soprattutto se strateghi vittoriosi; basti pensare alla venerazione ricevuta da Lisandro o Conone (Mossé, 2005).

Ciò si ricollega inoltre alla volontà di Alessandro, fin da giovanissimo, nel cercare di assimilare sé stesso all’eroe omerico Achille, dal quale poteva vantare una discendenza. Achille infatti era originario della Tessaglia, su cui Alessandro regnava, e le sue caratteristiche divennero un modello per il giovane sovrano che ambiva al raggiungimento della gloria eterna quanto l’eroe di Omero: non c’è dubbio che in questo Alessandro fu incoraggiato dai suoi precettori, Lisimaco e Aristotele ad esempio, e anche da un contesto culturale nel quale l’etica dei poemi omerici era considerata fondamentale (Plutarco, Alessandro, 8, 2; Lane Fox, 2004). Non è un caso inoltre che la spedizione in Asia sia cominciata con lo sbarco in Troade, dove si riteneva giacessero le rovine di Troia. In questo senso, le fonti forniscono già dei dettagli indicativi sulle intenzioni di Alessandro: secondo Diodoro Siculo e Plutarco, una volta arrivato nei pressi della costa asiatica, egli avrebbe scagliato la sua lancia conficcandola nel terreno, in segno di possesso di quelle terre per volere degli dei. Successivamente, visitò le tombe ritenute di Achille e Aiace rendendo loro omaggio, poi correndo nudo attorno alla stele del primo, del quale lodò la fortuna. Dopodiché si recò al santuario di Atena, dove compì sacrifici e scambiò la propria panoplia con quella conservata nel tempio (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XVII, 17, 2; 18, 1; Plutarco, Alessandro, 15, 7-9). A questo, Arriano aggiunge come Alessandro sia sbarcato completamente armato ed abbia innalzato altari ad Atena, Zeus ed Eracle, a sottolineare ancora una volta la sua discendenza (Anabasi di Alessandro, I, 11, 7-8; 12, 1-2; Landucci, 2019).

Moneta di Lisimaco
Moneta in argento di Lisimaco di Tracia, con al diritto il ritratto di Alessandro con le corna di Ammone (fonte: © The Trustees of the British Museum. Shared under a CC BY-NC-SA 4.0 licence)

Tuttavia, il momento decisivo per l’affermazione della natura divina di Alessandro è indubbiamente la visita all’oasi di Siwa, nel deserto tra l’Egitto e la Libia, avvenuta nel 332-331 a.C.: le fonti che narrano l’episodio sono numerose, sebbene non chiariscano esattamente le reali motivazioni del viaggio compiuto appositamente da Alessandro. Presso l’oasi era presente un santuario di Ammone particolarmente noto, da lungo tempo oggetto di grande venerazione da parte dei Greci che lo consideravano una delle principali sedi oracolari, oltre ad essere un luogo di contatto tra tradizioni culturali diverse come quella libica ed egizia, poi unitesi a quella greca. Dopo un viaggio di otto giorni attraverso il deserto, al quale in seguito sono stati aggiunti diversi dettagli leggendari tra cui la guida da parte di alcuni animali, Alessandro giunse con il suo piccolo seguito presso il santuario: qui venne invitato ad entrare dal sacerdote, che lo salutò come figlio di Zeus (Lane Fox, 2004). La descrizione di questo episodio è contenuta in diverse fonti, con numerosi particolari. Sebbene Strabone (Geografia, XVII, 43), il quale riporta a sua volta il racconto di Callistene, sostenga che l’oracolo di Ammone comunicasse soprattutto attraverso cenni e gesti, allo stesso tempo sottolinea l’affermazione a voce del sacerdote, mentre Diodoro riporta il dialogo avvenuto tra i due, confermando l’appellativo “figlio” rivolto ad Alessandro (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XVII, 50-51). Plutarco, invece, racconta che secondo alcuni il sacerdote avrebbe definito il sovrano figlio di Zeus per un errore di pronuncia, dando così luogo ad un equivoco: Alessandro potrebbe anche aver interpretato questo errore come un presagio favorevole, proprio perché avvenuto in un momento particolare (Plutarco, Alessandro, 27, 9; Lane Fox, 2004).

Ad ogni modo, sulle ragioni che lo indussero a raggiungere Siwa si è discusso fin dall’antichità, in quello che potremmo definire una sorta di pellegrinaggio. Al sovrano, che avrebbe ottenuto ulteriore conferma dal sacerdote di Ammone sul suo appellativo di anìketos, venne attribuita la volontà di conoscere maggiormente sé stesso in quanto già consapevole di essere figlio del dio, o di emulare Eracle e Perseo, recatisi anch’essi presso il santuario, ed entrambi ugualmente progenie di Zeus (Arriano, Anabasi di Alessandro, III, 3, 2; Strabone, XVII, 43; Lane Fox, 2004; Landucci, 2019). Più concretamente, è possibile ipotizzare che Alessandro in realtà volesse visitare personalmente una sede oracolare di così grande fama, o vi sia giunto solo perché già nelle vicinanze, dopo un viaggio diplomatico a Cirene. Tuttavia, il raggiungimento dell’oasi rappresentò una tappa importante nella costruzione della sua immagine regale, come nuovo faraone d’Egitto e non solo, sebbene non si conoscano le interrogazioni poste all’oracolo: Alessandro affermò comunque di essere rimasto soddisfatto dalle risposte ricevute (Arriano, Anabasi di Alessandro, III, 4-5), ed è possibile si sia sincerato su quali fossero gli dei da venerare nel corso della conquista dell’Oriente, piuttosto che ottenere la conferma del dominio prossimo sul mondo conosciuto. Il riconoscimento pubblico come figlio di Zeus Ammone confermò così le credenze sulla nascita divina di Alessandro e la discendenza dal dio (al quale, infatti, riservò sempre grande venerazione) ma, soprattutto, consolidò maggiormente la fiducia dell’esercito nei suoi confronti: più che di manipolazione preventiva dell’oracolo, come alcuni sostennero già nell’antichità, sembra quindi più corretto parlare di abile sfruttamento della situazione da parte del giovane sovrano (Giustino, Epitome, XI, 11; Lane Fox, 2004; Anson, 2022).

Questo avvenimento permise inoltre di favorire un certo genere di rappresentazioni iconografiche, tra l’altro introducendo nella ritrattistica il tema dell’ispirazione divina con sguardo rivolto al cielo, che avrebbe avuto a lungo fortuna (Plutarco, La fortuna di Alessandro, II, 2). Sulle proprie monete, il macedone aveva adottato fin dall’inizio sia l’immagine di Eracle, sia di Zeus (in genere seduto in trono), a sottolineare la discendenza personale e dinastica da entrambi. Dopo la conquista dell’Egitto, anche qui ebbero inizio le coniazioni in nome di Alessandro e, in un paio di emissioni, accanto alle divinità al rovescio venne inserito anche il simbolo della testa d’ariete con la corona faraonica a due piume: inizialmente interpretata come un chiaro riferimento a Zeus Ammone, in realtà si trattava probabilmente di un segno identificativo della zecca di origine; ma, successivamente, Tolomeo I lo avrebbe adottato nell’ambito della propria politica simbolica di legittimazione (Mansuelli, Bertelli, 1958; Moreno, 2012; Sheedy, Ockinga, 2015). Infatti, furono soprattutto i diadochi a evidenziare la natura divina di Alessandro e ad utilizzarne l’immagine per rafforzare la propria posizione. Tolomeo fece apporre sul diritto delle sue monete il ritratto di Alessandro stesso, in cui la pelle di elefante (riferimento alla vittoria sul re Poro) era sormontata dal corno di Ammone e al quale, in seguito, vennero aggiunti attributi come la mitra di Dioniso e l’egida a scaglie di Zeus: in questo modo, egli era associato alle suddette divinità, favorendo la propria protezione al nuovo sovrano d’Egitto; in un altro caso, sempre sotto Tolomeo, venne fatto raffigurare nelle sembianze di Zeus alla guida di una quadriga di elefanti. Ma risulta ancora più esplicita l’immagine di Alessandro presente sul diritto di un tetradrammo d’argento del re di Tracia, Lisimaco, circolato fino al II secolo a.C.: qui, egli appare infatti esplicitamente con sembianze divinizzate, vista la presenza delle corna di Ammone e del diadema reale sulla testa. Riguardo i ritratti scultorei, invece, risulta interessante una statua in marmo della seconda metà del II secolo a.C. realizzata da Menas di Pergamo, forse su commissione degli Attalidi, in cui Alessandro essendo raffigurato con le gambe drappeggiate viene assimilato a Zeus, riprendendo uno schema iconografico più afferente alla dinastia pergamena che non al suo (Palagia, 2018).

Medaglione di Aboukir di Alessandro
Medaglione aureo di Abukir raffigurante Alessandro come Achille, forse risalente al III secolo d.C. Bode-Museum, Berlino (fonte: autore, Sailko; licenza, CC BY 3.0)

Tuttavia, ancora prima della morte di Alessandro, esisteva una controversia legata alle raffigurazioni recanti caratteri divini, anche negli ambienti che gli erano più vicini: il mutato atteggiamento del macedone in merito alla concezione della sovranità, soprattutto dopo essersi dichiarato erede dei re persiani, finì per causare degli attriti identitari anche dal punto di vista culturale con e all’interno della componente ellenica. Ciò portò alla nascita di due correnti iconografiche parallele, una riferita all’eroizzazione e l’altra alla divinizzazione, accompagnata inoltre da divergenze culminate nel rimprovero di Lisippo ad Apelle per aver raffigurato Alessandro con il fulmine di Zeus, come racconta Plutarco (Su Iside e Osiride, 24). In entrambi i casi, si possono annoverare diversi esempi figurativi, tra i quali l’Alessandro-Achille del controverso medaglione di Abukir, con corazza decorata da gigantomachia, lancia e scudo ispirato alla descrizione omerica nell’Iliade (Omero, Iliade, XVIII, 478-608); o l’Alessandro-Zeus sui decadrammi di Babilonia (324-323 a.C.), raffigurato con lancia e folgore, oltre all’abbinamento delle armi elleniche con l’elmo frigio, a simboleggiare le vittorie in Oriente. Comunque, la morte prematura del sovrano ed il culto dedicatogli avrebbero decretato una predominanza della seconda corrente artistica (Mansuelli, Bertelli, 1958; Moreno, 2012; Savio, Cavagna, 2011).

Nonostante la sua presunta ascendenza divina, Alessandro temeva però gli dei, o che essi non gli garantissero il proprio appoggio, ed in questo senso esistono alcuni episodi significativi. Secondo Plutarco, prima della decisiva battaglia di Gaugamela del 331 a.C., il sovrano macedone avrebbe officiato insieme all’indovino Aristandro riti misterici e sacrifici a Fobos, il dio della paura, potendo così ostentare, in seguito, grande sicurezza per l’esito dello scontro (Alessandro, 31, 8-9; 32, 1-3). Infine, sempre Plutarco ricorda come egli fosse preoccupato per la vendetta di Dioniso, soprattutto dopo la distruzione di Tebe del 335 a.C., attribuendo successivamente al dio sia l’uccisione del suo luogotenente Clito in uno scatto d’ira dovuto all’ubriachezza, sia l’interruzione della spedizione in India per volontà dell’esercito: il viaggio di ritorno attraverso il deserto di Gedrosia si sarebbe rivelato un disastro, provocando la morte di un gran numero di uomini, dissimulato però da Alessandro con la celebrazione di gare, spettacoli e banchetti dionisiaci, una volta giunti in Carmania (Plutarco, Alessandro, 13, 3-5; Landucci, 2019; Mossé, 2005). Altri, invece, per spiegarne la morte prematura, avrebbero adottato proprio l’ipotesi della collera divina manifestatasi con le conseguenze di un ultimo banchetto (Lane Fox, 2004).

3. Alessandro, la leggenda e la divinità oltre la morte

La morte in giovane età avvenuta a Babilonia nel 323 a.C., in circostanze poco chiare, fece entrare Alessandro nella leggenda e, come si è visto, l’idea della sua ascendenza divina continuò ad essere rimarcata, a scopo legittimante, da chi ne raccolse l’eredità. Secondo Curzio Rufo, prima di morire Alessandro si sarebbe raccomandato con Perdicca, uno dei suoi generali, di essere sepolto presso il santuario di Ammone a Siwa (Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno, X, 5): per l’occasione, venne perciò allestito un ricchissimo carro decorato, il quale, tuttavia, non raggiunse la destinazione stabilita. Infatti, Tolomeo Lago, a cui era affidato il governo dell’Egitto, si appropriò della salma mentre transitava nel suo territorio (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XVIII, 26-28); traslato inizialmente a Menfi e poi deposto definitivamente ad Alessandria, il corpo di Alessandro divenne così una reliquia divina, sotto la cui diretta protezione Tolomeo aveva arbitrariamente posto sé stesso e la propria dinastia: i Lagidi, successivamente, si fecero seppellire accanto al “figlio di Ammone” e nel III secolo a.C. ne favorirono inoltre l’identificazione con Dioniso a partire dall’istituzione dei Tolemaia, durante i quali erano previsti cortei dionisiaci (Mossé, 2005).

Augusto visita la tomba di Alessandro
Augusto alla tomba di Alessandro, F. Schommer, 1878. Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts, Parigi (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

Se la dinastia Tolemaica poteva quindi vantare il prestigio della custodia delle spoglie di Alessandro, questo ovviamente non ne impedì la venerazione e l’emulazione da parte di personaggi dell’antichità di altra provenienza. Indubbiamente, egli esercitò grande fascino su alcuni tra i più celebri protagonisti della storia di Roma, ad esempio Pompeo e Cesare, ma è particolarmente significativo l’atteggiamento di Ottaviano dopo la vittoria su Antonio e Cleopatra e la presa di Alessandria nel 30 a.C.: divenuto ormai l’unico padrone dell’impero, il futuro Augusto visitò la tomba di Alessandro e gli rese gli onori di un dio, purtuttavia danneggiandone forse i resti (secondo Cassio Dione, avrebbe causato la caduta di un pezzo di naso), ignorando invece i sepolcri dei Tolomei, perché voleva «vedere un re, e non dei morti» (Svetonio, Augusto, XVIII; Cassio Dione, Storia Romana, LI, 16, 5; Mossé, 2005; Bowman, 1989). In seguito, diversi imperatori si ispirarono ad Alessandro nelle intenzioni o nelle imprese realmente compiute come, rispettivamente, Caracalla e Traiano: entrambi svolsero campagne militari contro i Parti, considerati i successori dei Persiani Achemenidi, che a loro volta ritenevano i Romani discendenti di Alessandro. Soprattutto, gli imperatori si identificavano nell’Alessandro-Dioniso, giunto fino ai confini dell’ecumene e portatore di civiltà: egli era il domitor Orientis (conquistatore dell’Oriente), al quale intendevano assimilarsi militarmente e ideologicamente. Ciò conferma l’esistenza, in Occidente, di un modello positivo frutto dell’idealizzazione del sovrano macedone in quanto grande conquistatore dai caratteri divini, sebbene esistessero già delle visioni in controtendenza sulla sua figura (Mossé, 2005; Landucci, 2019; Frugoni, 2022). Ma questa percezione ha finito per riguardare anche contesti orientali, di cui un esempio può essere quello giudaico: in questo senso, Flavio Giuseppe riporta una tradizione diffusasi tra gli Ebrei ellenizzati, secondo cui Alessandro una volta recatosi a Gerusalemme, colpito dai rituali dei sacerdoti avrebbe venerato Yahweh permettendone la continuazione del culto (Antichità Giudaiche, XI, 8, 4-6). Allo stesso tempo, la figura del sovrano è ricordata anche nel mondo arabo, dove viene identificato come “amico di Dio” e Dhulqarnaym, cioè bicorne, con un chiaro riferimento agli attributi tipici del figlio di Ammone, inviato alle estremità del mondo per fortificarle a protezione dai popoli impuri (Mossé, 2005; Landucci, 2019).

I due riferimenti precedenti finiscono poi per collegarsi alla rielaborazione dell’immagine di Alessandro nel Medioevo. Da questo punto di vista, un ruolo importante è stato giocato sicuramente dal Romanzo di Alessandro: tale raccolta di tradizioni (attribuita allo Pseudo-Callistene), probabilmente assemblata a partire dai decenni appena successivi la morte del sovrano macedone, subì varie trasformazioni in ambiente alessandrino e avrebbe visto il suo primo adattamento latino alla fine del III secolo d.C., ad opera di Giulio Valerio. Il testo contiene numerosi riferimenti all’origine divina di Alessandro e non solo, oltre ad essere ricco di episodi fantastici, il che suscitò grande interesse nei suoi confronti in epoca medievale: alla prima versione latina, dal IX secolo in avanti si aggiunsero compendi e nuove traduzioni, mentre allo stesso tempo il Romanzo sarebbe diventato fonte di ispirazione per la scrittura di testi di carattere cavalleresco che prevedevano, chiaramente, un adattamento del protagonista alle esigenze culturali e letterarie dell’epoca (Mossé, 2005; Frugoni, 2022). Piuttosto, sulla natura divina di Alessandro, risulta interessante la visione più tarda espressa dal teologo benedettino Ruperto di Deutz all’interno del De victoria verbi Dei nel 1408, dove l’identificazione con Zeus Ammone è stata interpretata come un atto di superbia del macedone, la cui nascita era invece semplicemente frutto dell’infedeltà della madre Olimpiade (Frugoni, 2022). In Oriente, la tradizione legata al Romanzo fu ereditata dal mondo bizantino, divenendo la fonte principale su Alessandro. Egli, praticamente trasformato in un imperatore di Bisanzio, non era più pagano, bensì godeva della protezione di Dio nelle proprie gesta; questo implicò una ulteriore rielaborazione dell’opera, con l’aggiunta o l’invenzione di episodi volti ad identificarlo come eroe cristiano e predecessore dei sovrani di Costantinopoli (Landucci, 2019; Frugoni, 2022).

Miniatura da una versione medievale del Romanzo di Alessandro
Miniatura raffigurante Alessandro che disarciona il re Poro, tratta da La Vraye Histoire du Bon Roy Alixandre, versione in prosa francese degli inizi del XV secolo del Romanzo di Alessandro. British Library, Londra (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

Possiamo quindi affermare che, grazie alle imprese compiute e all’opera propagandistica messa in atto prima e dopo la sua morte, Alessandro è riuscito a trasmettere anche nelle epoche successive la propria immagine di condottiero e di sovrano legato ad una dimensione mitica e assimilabile al divino.

Michele Gatto – Scacchiere Storico

Michele Gatto è uno studioso dell’antichità greca e romana, in particolare della Grecia in età classica e di Roma in età imperiale. È specializzato in Numismatica Antica. I suoi interessi arrivano a comprendere inoltre la storia bizantina.

Bibliografia

Anson E.M. 2022, Religion and Alexander the Great, in “Karanos” 5, pp. 51-74; Bowman A.K. 1989, L’Egitto dopo i faraoni, Firenze; Frugoni C. 2022, La fortuna di Alessandro Magno dall’antichità al Medioevo, Roma; Landucci F. 2019, Alessandro Magno, Roma; Lane Fox R. 2004, Alessandro Magno, Torino; Mansuelli G.A., Bertelli C. 1958, s.v. Alessandro III di Macedonia, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma, pp. 236-246; Moreno P. 2012, Immagini di Alessandro Magno: monete e storia, in R. Pera (a cura di), Il significato delle immagini. Numismatica, Arte, Filologia, Storia. Atti del secondo incontro internazionale di studio del Lexicon Iconographicum Numismaticae (Genova, 10-12 novembre 2005), Roma, pp. 153-170; Mossé C. 2005, Alessandro Magno. La realtà e il mito, Bari; Palagia O. 2018, The reception of Alexander in Hellenistic Art, in K.R. Moore (ed. by), Brill’s Companion to the Receptions of Alexander the Great, Leiden, pp. 140-161; Savio A., Cavagna A. 2011 (a cura di), Veri o falsi? I medaglioni di Aboukir, Milano; Sheedy K., Ockinga B. 2015, The Crowned Ram’s Head on coins of Alexander the Great and the rule of Ptolemy as satrap of Egypt, in P. Wheatley, E. Baynham (ed. by), East and West in the World Empire of Alexander, Oxford, pp. 197-239.

Immagine di copertina: Entrata di Alessandro a Babilonia o Il Trionfo di Alessandro, C. Le Brun, 1665. Museo del Louvre, Parigi (fonte: Wikimedia, licenza CC0)

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Pubblicato da Scacchiere Storico

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