di Davide Galluzzi
La produzione ed il consumo di vino sono, da millenni, due aspetti sempre presenti nell’attività umana. Quando, oggi, sorseggiamo un calice di buon vino difficilmente siamo consapevoli dell’importanza che tale bevanda aveva per i nostri antenati, né, tantomeno, pensiamo al forte valore simbolico che esso ha avuto nel corso dei millenni. Taluni aspetti, soprattutto quelli legati alla sociabilità o al carattere religioso-eucaristico del vino, possono vivere inconsciamente dentro di noi, come convenzione sociale o come ricordo, più o meno pallido, di una formazione catechistica avvenuta durante l’infanzia. Difficilmente, però, il vino rappresenta, per noi, ciò che per millenni ha rappresentato per i nostri antenati. Non sarà quindi inutile ripercorrere brevemente le vicende della bevanda alcolica e dei luoghi in cui avveniva la sua vendita, anche se la nostra analisi si limiterà alla sola Età moderna.
- Il vino in Età moderna

Per meglio comprendere la storia e l’importanza del vino in Età moderna è necessario compiere un salto all’indietro, evidenziando determinati aspetti di continuità con il Medioevo. Fu infatti nel Medioevo che la produzione ed il consumo del vino si diffusero in tutta Europa grazie anche all’importanza che la bevanda rivestiva e riveste nella religione cristiana.
La fine dell’Impero romano nell’Europa occidentale e le invasioni barbariche, infatti, portarono allo scontro tra le “due Europee” (ossia quella di tradizione latina e quella barbarico-germanica) ed alla loro progressiva integrazione. Quest’ultimo aspetto ebbe, proprio grazie alla diffusione del cristianesimo, una ricaduta anche sul piano alimentare: il vino, bevanda dell’Europa latina, si diffuse anche tra i nuovi dominatori di origine germanica, sovrapponendosi al consumo della birra (Montanari, 1997).
L’affermazione del cristianesimo, inoltre, portò ad altre due conseguenze che è importante tenere a mente, poiché esse ebbero grandissima importanza anche nel corso dell’Età moderna: la diffusione capillare dei vigneti e la centralità dei monasteri nella produzione vinicola (Pini, 1988). Il vino, infatti, era necessario per celebrare il sacro rito dell’Eucaristia, punto centrale della messa durante il quale, attraverso la transustanziazione, la bevanda ed il pane si trasformano in sangue e corpo di Cristo.
Non dobbiamo, tuttavia, commettere l’errore di pensare che la produzione vinicola fosse monopolio del clero o che la bevanda rivestisse per i monaci e per la popolazione in generale solo un aspetto meramente religioso. Il vino, infatti, veniva prodotto dai monaci anche perché proprio nei monasteri trovavano ospitalità pellegrini e viaggiatori.
Qui emerge l’altro aspetto fondamentale: l’importanza della bevanda sul piano alimentare. Durante il Basso medioevo, infatti, il consumo di vino si generalizzò e tornò ad avere, come in epoca romana, carattere di massa. Iniziò quindi a delinearsi una politica di approvvigionamento della bevanda portata avanti dai ceti dirigenti dell’epoca, intenzionati a regolamentare la produzione ed il commercio del vino affinché esso non mancasse mai sui mercati urbani. La bevanda, infatti, era parte integrante del consumo popolare come valida alternativa all’acqua, spesso contaminata e pericolosa, come importante fonte di calorie e come modo per evadere dalla quotidianità (Montanari, 1997). In alcuni casi il vino divenne anche parte integrante del salario (Balestracci, 1988).
Proprio l’importanza assunta dalla bevanda portò alla diffusione della “viticultura borghese” (Pini, 1988), ossia quella coltivazione di proprietà del ricco ceto mercantile che vedeva nel consumo del vino un tratto distintivo e nella sua commercializzazione una sicura fonte di ricchezza.
Fino ad ora abbiamo evidenziato aspetti fondamentali della storia del vino durante il Medioevo. È giunto il momento di analizzare le vicende della bevanda in Età moderna, mostrando, oltre alle continuità già evidenziate, le numerose differenze.
L’Età moderna, infatti, registrò una serie di cambiamenti nella produzione del vino, ma anche il suo lento declino e la sua perdita di centralità nel consumo a favore di nuove bevande, fossero esse alcoliche o meno.
La scoperta del Nuovo Mondo e le esplorazioni geografiche, unite al fervore religioso delle popolazioni iberiche, ebbero un ruolo fondamentale nell’ulteriore diffusione della coltivazione della vite a seguito della piantagione di nuovi vigneti nelle colonie al di là dell’Atlantico, al fine di produrre vino sia in funzione religiosa che laica.
Anche in Europa il XVI secolo vide una grande diffusione del consumo di vino, con la conseguente crescita della piaga dell’alcolismo. La bevanda alcolica, insomma, continuava ad essere preferita all’acqua dalle genti dell’epoca. Il motivo era lo stesso già evidenziato parlando del medioevo: l’acqua era molto più pericolosa del vino. Molto spesso, infatti, essa era contaminata e fonte di malattie a causa della promiscuità con i canali di scolo con conseguente pericolo di infezione. Non solo, il vino continuava ad avere un importantissimo ruolo nella sociabilità dell’epoca, accompagnando ogni aspetto della vita umana.
Non dobbiamo tuttavia pensare ad un consumo indifferenziato del vino. Al contrario, vi era quella che potremmo definire una distinzione di classe nei consumi. Se la grande diffusione dell’alcolismo e del consumo popolare permettevano ai produttori di immettere sul mercato vino di dubbia qualità a basso prezzo, infatti, il consumo elitario si rivolgeva a vini più pregiati e, grazie alle facilitazioni commerciali, spesso importato da zone lontane. Il consumo popolare, quindi, veniva soddisfatto da vini di produzione locale e di scarso pregio, mentre il consumo elitario veniva soddisfatto dall’importazione di vini di ben più alta qualità.
Un’importante conseguenza di questo allargamento del consumo di vino fu, all’inizio del XVII secolo, il consistente aumento dei piccoli produttori indipendenti, presenti sullo scenario economico europeo in misura molto maggiore rispetto ai secoli precedenti (Antonaros, 2006).
Proprio il Seicento fu secolo di novità per il vino. Da un lato, infatti, vi fu un aumento della qualità e quantità della bevanda (pur perdurando la sostanziale differenza tra vino leggero, ossia vino dal consumo più immediato e dalla scarsa possibilità di conservazione, e vino forte, ossia vino più robusto e pregiato), mentre, dall’altro, vi fu la nascita e la maggior diffusione di nuove bevande, alcoliche o meno, quali cioccolata, rum, whisky e via discorrendo, che avrebbero messo a repentaglio la centralità del vino nei consumi europei.
Nonostante la grave crisi che colpì l’Europa nel corso del XVII secolo, ossia la Guerra dei Trent’anni, aumentarono quindi l’offerta ed il consumo di bevande nuove. Davanti a questa situazione e alla diffusione di nuovi distillati i mercanti ed i produttori di vino capirono che era necessario reagire e questo spinse alla creazione di vigneti in nuove zone quali, per esempio, le isole di Madera e delle Canarie, ma anche il Sudafrica (Antonaros, 2006). Non solo, il XVII secolo vide anche la nascita di nuovi tipi di vino e specialmente dello champagne francese e del porto lusitano.
Le innovazioni seicentesche, tuttavia, non si limitarono solo alla produzione del vino, ma rivoluzionarono anche la sua conservazione. Il grande problema del commercio del vino fino al Seicento, infatti, era proprio quello della conservazione della bevanda. Questa situazione sarebbe cambiata proprio nel corso del XVII secolo grazie ad una scoperta che avrebbe rivoluzionato la conservazione ed il commercio del vino, ossia l’utilizzo della bottiglia di vetro chiusa con un tappo di sughero. La bevanda sarebbe stata trasportata ancora tramite delle botti, per ovviare alla fragilità delle bottiglie, ma in seguito sarebbe stata travasata e venduta nel nuovo contenitore. Un’importante conseguenza di questo nuovo tipo di commercializzazione del vino fu il fatto che la maggior conservazione del vino e quindi la possibilità di una vendita su più lungo termine, implicava che grossi capitali sarebbero restati immobilizzati più a lungo. Il commercio di vino invecchiato e imbottigliato, quindi, richiedeva grandi investimenti, possibili solo ai mercanti ed ai produttori più ricchi (Antonaros, 2006).
L’Italia, nonostante la crisi che colpì la penisola tra XVII e XVIII secolo, presentava una situazione simile. Il consumo del vino non era più elevato come un tempo, ma era prassi comune a tutte i ceti sociali, facendo salve le differenze di qualità già evidenziate precedentemente. Tra Seicento e Settecento, inoltre, vi fu una vera e propria fioritura di trattati sulla coltivazione della vite la cui pubblicazione, nonostante il carattere mediocre di molti di essi, prova il forte interesse socio-economico verso la bevanda e, dal XVIII secolo in poi, ossia dalla fine della dominazione spagnola in Italia, la volontà di migliorare le condizioni economiche e sociali delle campagne (Antonaros, 2006).
Il XVIII secolo fu un’ulteriore epoca di svolta per la storia del vino. Anzitutto si evidenzia, a partire dalla metà del secolo (e specialmente dalla fondazione dell’Accademia dei Georgofili) un approccio più scientifico non solo alla coltivazione della vite, ma anche alla vinificazione. Inoltre, sempre dalla seconda metà del secolo, l’introduzione in Italia del tappo di sughero permise al vino prodotto e imbottigliato in diverse zone di trovare sbocchi più ampi, diffondendosi in tutta la penisola. Questo fatto, tuttavia, non implicò la fine della produzione locale volta all’autoconsumo. Anzi, la frammentata natura politica dell’Italia dell’epoca e la crescita demografica (che ebbe come conseguenza un aumento della produzione di scarsa qualità per un consumo di massa e popolare) irrobustirono la produzione vinicola locale (Antonaros, 2006). Anche il vino pregiato ebbe, nel corso del Settecento, un’esistenza contraddittoria. Da un lato, infatti, vi fu un aumento della produzione di lusso, mentre dall’altro numerosi nobili preferivano i vini di importazione, specialmente dalla Francia, contribuendo così alla frattura tra vini di lusso importati e vini popolari prodotti in Italia.
- Il vino nella medicina tra medioevo ed Età moderna

Durante il Medioevo e per buona parte dell’Età moderna il consumo di vino era consigliato anche dalla medicina. Per meglio capire questo aspetto è necessario ricordare come la dottrina medica dell’epoca fosse quella galenica o umorale. Secondo tale teoria, basata sugli elementi (acqua, terra, fuoco ed aria) e sulle qualità ad esse connesse (caldo, freddo, secco ed umido), un eccesso o una mancanza degli umori (ossia i fluidi corporei) ha influenza diretta sul temperamento e sulla salute dell’organismo.
Questa concezione medica portò, nel corso del Medioevo, del Rinascimento e dell’Età moderna, ad una vera e propria classificazione dei vini su base umorale e, quindi, a rigide prescrizioni da parte di medici e dietologi dell’epoca.
Sebbene questa dottrina attribuisse ai prodotti vegetali una natura umorale unica, per quanto riguarda il vino emergevano delle differenze e delle difficoltà. Nel Medioevo, per esempio, il vino dolce e forte veniva considerato pericoloso perché si pensava che producesse un forte surriscaldamento del corpo, per cui il suo consumo doveva essere regolato. I vini aspri e più leggeri, invece, erano considerati sani (Antonaros, 2006).
I sapori del vino, quindi, servivano a capire la natura più o meno calda o fredda della bevanda. Da tutto ciò emergeva una vera e propria teoria del consumo del vino basata sul fattore umorale. Per esempio ai giovani, considerati caldi, era sconsigliato il bere vino, mentre ai vecchi, freddi, si consigliava il consumo della bevanda con scopi terapeutici.
Non solo, la scelta del vino corretto doveva essere collegata anche al consumo alimentare al fine di mantenere un equilibrio temperato senza eccessi né di elementi caldi, né di elementi freddi. Altri elementi importanti nella scelta del vino erano le caratteristiche geografiche del luogo di consumo e anche la stagione.
La dottrina medica dell’epoca, è bene sottolinearlo, non aveva diretto influsso solo sul consumo della bevanda alcolica, ma anche sulla sua produzione tramite l’uso frequente di sostanze aggiunte al vino al fine di modificarne la natura.
- Conclusioni
Nel corso di questo breve articolo si è cercato di ripercorrere a grandi tratti la storia del vino durante l’Età moderna, con alcune brevi incursioni nel periodo medievale. Nel corso di queste epoche, infatti, si è assistito all’apogeo e al successivo parziale ridimensionamento dell’egemonia del vino, causato dal consumo di nuove bevande, fossero esse alcoliche (come, per esempio, il brandy, il rum, l’acquavite o altre ancora) o analcoliche (come tè, caffè e cioccolata). Ripercorrendo brevemente gli aspetti legati alla storia materiale del vino si comprende meglio perché le autorità, nel corso del Medioevo e dell’Età moderna, dedicarono ampi sforzi a garantire il costante approvvigionamento di tale bevanda alle città. Questo atteggiamento, infatti “[…] non era certo dettato da ragioni filantropiche, ma dalla consapevolezza che la mancanza di vino in città o un eccessivo rialzo dei suoi prezzi avrebbero inevitabilmente irritato l’animo delle classi meno abbienti, creando quel malcontento generalizzato che si temeva potesse esplodere in pericolose rivolte e sedizioni […]” (Levati, 2020).
Si è inoltre cercato di delineare un insieme di valori simbolici legati al vino ed al suo consumo che hanno gettato luce su un mondo ormai finito, ma che continua a vivere nel presente tramite determinati aspetti legati alla bevanda alcolica quali, per esempio, gli elementi legati alla sociabilità e alla presenza del vino in diversi momenti della vita comune.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico
Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.
Bibliografia
Antonaros A., La grande storia del vino. Tra mito e realtà, l’evoluzione della bevanda più antica del mondo, Bologna, Pendragon, 2006; Balestracci D., Il consumo del vino nella Toscana bassomedievale, in Il vino nell’economia e nella società italiana Medioevale e Moderna, Accademia economico-agraria dei Georgofili, Firenze, 1988; Levati S., Vino, osti e osterie nell’Italia centro-settentrionale tra XVIII e XIX secolo, in Le vie del cibo. Italia settentrionale (secc. XVI-XX), Roma, Carocci, 2020; Montanari M., La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza, Roma-Bari, 1997; Pini A.I., Il vino nella civiltà italiana, in Il vino nell’economia e nella società italiana Medioevale e Moderna, Accademia economico-agraria dei Georgofili, Firenze, 1988.
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