di Davide Galluzzi
Nel precedente articolo “Il vino in età moderna”, analizzando le vicissitudini della bevanda alcolica, abbiamo sottolineato come ad essa si affiancarono nuovi beni di consumo analcolici che, pur non eliminando la grande importanza del vino nella società europea d’Età Moderna, ne ridimensionarono comunque il consumo. Uno di questi nuovi prodotti fu sicuramente il caffè e, quindi, non sarà inutile ripercorrere rapidamente la storia della bevanda muovendoci su due livelli: l’arrivo del caffè in Europa e la nascita di locali dedicati alla preparazione ed al consumo della bevanda. Il primo aspetto ci permetterà di evidenziare le reazioni scatenate dal nuovo prodotto, sottolineando, analogamente a quanto avvenuto per il vino, il dibattito medico sorto intorno al caffè; il secondo aspetto, invece, ci permetterà di ragionare sulla grande importanza che i caffè, intesi come luoghi di rivendita della bevanda, hanno rivestito nella società europea e, attraverso l’analisi del caso inglese, ci consentirà di compiere qualche riflessione sull’evoluzione della sociabilità in Età Moderna.
- L’arrivo del caffè in Europa e il dibattito medico intorno alla nuova bevanda
Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo bevuto una tazza di caffè. Amaro o dolce, lungo o ristretto, espresso o “americano”, per alcuni di noi la bevanda diventa una vera e propria ossessione. Forse, e soprattutto, noi italiani tendiamo a dare un carattere nazionale alla preparazione e al consumo del caffè quasi come se tale prodotto fosse solo “nostro”. Il nome stesso, tuttavia, tradisce l’origine non europea di questo bene voluttuario che tanta importanza riveste nella nostra società. La parola “caffè”, infatti, deriva dal termine arabo “qahwa”, proprio a segnalare la provenienza araba (o, meglio, yemenita) della pianta del caffè. È bene sottolineare, tuttavia, come in realtà la pianta fosse originaria dell’Etiopia e come intorno alla scoperta delle sue proprietà ed al conseguente consumo delle sue bacche nacquero numerose leggende come quella del pastore etiope Kaldi o dell’offerta della nera bevanda a Maometto da parte dell’Arcangelo Gabriele inviato direttamente da Allah (Weinberg-Bealer, 2009).

Nei territori islamici il consumo di caffè si diffuse inizialmente tra i monasteri sufi dove l’effetto energizzante della bevanda sosteneva i monaci durante le meditazioni e preghiere (Weinberg-Bealer, 2009 e Stahl, 2011) per poi diffondersi anche tra i laici. Nacquero così i primi luoghi di consumo della nera bevanda che, proprio per il fatto di riunire numerose persone nel medesimo luogo e favorire la sociabilità e, di conseguenza, lo scambio di informazioni e idee, vennero ben presto stigmatizzati dai settori più reazionari del panorama religioso e politico islamici (Stahl, 2011). Dopo alterne vicende, tuttavia, il consumo di caffè e i locali di rivendita della bevanda si affermarono definitivamente all’interno dei territori arabi e ottomani, costituendo anche un’ottima alternativa al consumo di alcol interdetto dalla religione islamica. Torneremo in seguito sull’importanza degli usi ottomani nella diffusione del consumo di caffè in Europa.
Fu solo tra la fine del XVI secolo e, soprattutto, nel corso del XVII secolo, tuttavia, che il caffè iniziò a giungere regolarmente in Europa, dapprima in piccole dosi e poi con traffici sempre più regolari e massicci. Un ruolo fondamentale nel commercio dei semi di caffè in Europa giocarono Venezia e Marsiglia, favorite dalla propria posizione strategica nello scacchiere mediterraneo e dai rapporti con l’Impero Ottomano. Il primo carico cospicuo di caffè, infatti, giunse a Venezia nel 1624, mentre dal 1650 iniziarono importazioni regolari dal porto di Marsiglia che, non a caso, vide l’apertura della prima sala da caffè in terra di Francia nel 1671 (Weinberg-Bealer, 2009).
Un ruolo assai importante nella diffusione del caffè in Europa giocò anche la Compagnia Olandese delle Indie orientali che avviò ben presto importazioni regolari dei semi della pianta del caffè e sostituì il Portogallo come potenza dominatrice dei traffici marittimi. Fu sempre l’Olanda, inoltre, a favorire la diffusione delle coltivazioni di caffè nell’isola di Giava, anche se, come bene evidenziato da Weinberg e Bealer, “la società olandese, basata prevalentemente sul lavoro degli artigiani, non riuscì a sviluppare un’economia industriale moderna capace di competere nel lungo periodo con quella che si andava invece strutturando in Inghilterra” (Weinberg-Bealer, 2009).
L’arrivo e la diffusione della nera bevanda in Europa scatenò una serie di reazioni nei settori più diversi della società, soprattutto tra i medici dell’epoca.
Il vino, la birra e altre bevande alcoliche rivestivano, nella società del XVII secolo, un ruolo fondamentale già analizzato nel precedente articolo sopra citato. Non è un caso, quindi, che fin da subito il consumo di caffè e altre bevande caffeinate fu messo in contrasto con il consumo di alcolici. Medici e intellettuali dell’epoca evidenziarono subito l’effetto energizzante del caffè, il quale poteva portare sobrietà e contrastare gli effetti nefasti di birra e vino. La nera bevanda, inoltre, favoriva la laboriosità e l’ingegno, mentre gli alcolici, invece, portavano solo all’indolenza e all’ebbrezza (Weinberg-Bealer, 2009).
Ben presto la medicina dell’epoca che, come visto anche per il vino, si basava su una concezione galenica-umorale, prese posizione favorevole o contraria al consumo del caffè e delle altre bevande caffeinate, ossia il tè e la cioccolata. Bisogna evidenziare fin da subito come alle preoccupazioni mediche si unissero, sia nell’un campo come nell’altro, motivi economici.
Tra i detrattori del caffè e delle bevande caffeinate spiccano sicuramente il tedesco Simon Pauli, medico personale del re di Danimarca, e numerosi medici di Marsiglia. Secondo Pauli, infatti, il consumo di bevande contenenti caffeina era da evitarsi in quanto esse causavano effeminatezza e impotenza, oltre ad accorciare drasticamente la vita degli europei, soprattutto di coloro i quali avessero superato i quarant’anni (Weinberg-Bealer, 2009).
L’avversità dei medici marsigliesi, invece, era dettata anche da motivi economici: i mercanti di vini, visti lesi i propri profitti e preoccupati dal successo che le bevande analcoliche stavano avendo nella città francese, tendevano a finanziare copiosamente i detrattori del caffè, del tè e della cioccolata. Il caffè, bevanda straniera, veniva contrapposto al vino, prodotto genuinamente francese il cui consumo era molto più sicuro rispetto a quello della nera bevanda che aveva il difetto di prosciugare il sangue e causare impotenza (Weinberg-Bealer, 2009).
Anche i sostenitori della caffeina trovarono un paladino nel medico olandese Cornelius Buntekuh, il quale molto scrisse in favore del consumo di tè e caffè, meritevoli di ravvivare la circolazione sanguigna. Buntekuh, inoltre, aprì la prima sala da caffè di Amburgo e, in quanto medico di corte di Federico Guglielmo, fu personaggio di rilievo nella diffusione del caffè in Prussia (Weinberg-Bealer, 2009). Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un intreccio di trattatistica medica e interesse economico: Buntekuh, infatti, riceveva un onorario dalla Compagnia Olandese delle Indie orientali ed è quindi lecito sospettare che il suo fervente sostegno al consumo di bevande caffeinate non fosse riconducibile solo a preoccupazioni mediche.
- Le sale da caffè: influenza ottomana e rapporti con il potere
Abbiamo già accennato ai rapporti tra territori islamici e caffè, oltre all’importanza degli usi ottomani nella diffusione del consumo della bevanda in Europa. Non sarà quindi inutile spendere qualche ulteriore parola al riguardo.

Anzitutto, è bene evidenziare fin da subito come anche le sale da caffè e altri luoghi di rivendita di tale bevanda abbiano origine arabo-ottomana. Come accennato, infatti, il consumo della nera bevanda era limitato, originariamente, alle comunità sufi, ma successivamente esso si diffuse anche tra gli strati laici della popolazione, perdendo quindi il proprio carattere, per così dire, religioso e assumendo una connotazione collegata più al piacere e alla sociabilità (Stahl, 2011 e Caykent-Tarbuk, 2017). Proprio questo nuovo aspetto legato al consumo di caffè portò a una reazione da parte dei settori più tradizionalisti del mondo religioso e politico, soprattutto durante il regno del sultano Murad III (Caykent-Tarbuk, 2017 e Weinberg-Bealer, 2009).
Le forze contrarie al caffè, in ogni caso, persero la propria battaglia e le sale da caffè si diffusero nelle principali città islamiche, compresa Istanbul dove, tra il 1554 e il 1555, due mercanti siriani aprirono il primo luogo di rivendita della nera bevanda, favorendo così la diffusione del suo consumo in tutti i territori sottoposti al sultano (Stahl, 2011 e Caykent-Tarbuk, 2017).
La nascita delle prime sale da caffè in Europa avvenne in ritardo rispetto all’Impero ottomano, ma la Porta ebbe comunque un ruolo fondamentale nella diffusione di questi luoghi che tanto avrebbero segnato la società europea in Età Moderna e non solo.
Abbiamo già fatto cenno all’importazione e diffusione del caffè a Venezia e a Marsiglia, ma anche nelle altre principali città europee dell’epoca l’influenza ottomana fu determinante. Restando in terra di Francia, infatti, è importante ricordare come l’iniziale diffusione del consumo di caffè a Parigi fosse legata alla presenza dell’ambasciatore ottomano Solimano Aga nella capitale francese. L’emissario del sultano, infatti, era solito servire un fortissimo caffè, preparato secondo le usanze arabe, alle dame dell’alta società francese che visitavano la sua abitazione. Di più, il buon Solimano Aga utilizzava poi le confidenze di queste grandi signore per volgere a favore del sultano il gioco diplomatico che aveva i propri vertici a Parigi, Vienna e Istanbul (Stahl, 2011 e Weinberg-Bealer, 2009).
Il caso francese risulta particolarmente utile per illustrare un altro aspetto del rapporto tra caffè e potere, oltre agli aspetti repressivi già accennati con i riferimenti a quanto avvenuto nei territori ottomani. Ci riferiamo, in questo caso, ai rapporti tra potere e alta società e la diffusione del consumo della bevanda. Finché, infatti, il consumo di caffè non godette di favore presso la corte di Francia e il sovrano, la nera bevanda ebbe limitata diffusione tra la buona società parigina. Solo con la svolta avvenuta durante il regno di Luigi XV si diffuse una vera e propria mania del caffè a corte e, da lì, progressivamente negli altri ceti della società francese dell’epoca (Weinberg-Bealer, 2009).
Anche nei territori valacchi e moldavi il caffè, giunto sempre attraverso la fondamentale influenza ottomana, ebbe inizialmente un consumo limitato alla corte e all’aristocrazia che, proprio da esso, traeva un tratto distintivo. Fu solo con il forte ribasso dei prezzi avvenuto tra XVIII e XIX secolo che la bevanda si diffuse anche nella borghesia e nei più diversi strati della popolazione (Stahl, 2011).
L’ambasceria ottomana del pascià Kara Mehmet presso la corte dell’imperatore Leopoldo I nel 1665 ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del caffè a Vienna, anche se la prima sala da caffè venne aperta nella capitale asburgica solo dopo l’assedio ottomano del 1683. Di nuovo l’influenza ottomana, in questo caso negativa, fu determinante: Jerzy Kulczycki ottenne, come ricompensa per meriti militari, i sacchi di caffè abbandonati dalle truppe del sultano in ritirata. Utilizzando i chicchi ottomani Kulczycki aprì la prima sala da caffè viennese (Stahl, 2011).
Anche l’apertura delle prime sale da caffè inglesi, sulle quali ci concentreremo per altri aspetti nel prossimo paragrafo, fu determinata dalla presenza in Inghilterra di persone provenienti da territori sottoposti alla sovranità del sultano. Fu infatti nel 1650 che un ebreo libanese, tra l’altro a servizio di un turco, aprì la prima sala da caffè a Oxford (Stahl, 2011 e Weinberg-Bealer, 2009). La prima sala londinese, invece, venne aperta nel 1652 da Pasqua Rosée, un ragusano residente a Smirne giunto in Inghilterra insieme al mercante Daniel Edwards (Weinberg-Bealer, 2009).

Da quel momento in poi le sale da caffè proliferarono in Inghilterra, intrecciando la propria storia, come vedremo a breve, con quella della sociabilità e dei club. Un aspetto importante da sottolineare fin da subito è di nuovo l’intreccio tra diffusione delle sale da caffè e preoccupazione politica. L’incontro di numerose persone in luoghi pubblici e il conseguente scambio di idee che ne derivava, destò infatti la preoccupazione degli elementi più reazionari dell’aristocrazia inglese come, per esempio, il marchese di Newcastle e del re Carlo II che, nel 1675, proibì attraverso apposito proclama l’esercizio dei caffè a Londra. Il monarca tornò sui suoi passi nel giro di breve tempo in seguito alle forti proteste avanzate dai gestori e dai clienti dei caffè (Weinberg-Bealer, 2009 e Caykent-Tarbuk, 2017), ma l’editto mostra una volta di più il difficile rapporto tra potere e luoghi di sociabilità.
- Le sale da caffè come luoghi di sociabilità: il caso inglese
Più volte abbiamo fatto cenno alle sale da caffè come luogo di sociabilità. È necessario ora approfondire brevemente questo aspetto assai interessante che, negli ultimi anni, ha visto un fervente dibattito intorno a determinati punti chiave.
Per anni gli storici, seguendo le analisi di Jürgen Habermas, hanno molto insistito sul carattere “politico” delle sale da caffè europee in Età Moderna e sul loro apporto allo sviluppo della sfera pubblica. Aspetti, questi, sicuramente fondamentali, ma che recentemente hanno subito una revisione da parte di numerosi storici volta ad approfondire tematiche legate alla sociabilità e al carattere peculiare delle sale da caffè.

Indubbiamente, i luoghi di vendita e consumo del caffè svolsero un ruolo fondamentale nella sfera politica. Come più volte abbiamo accennato nel corso di questo articolo, infatti, le sale da caffè attiravano una vasta clientela, proveniente dai più diversi ceti sociali e dalle più diverse professioni. Questo aspetto si univa al fatto che presso i caffè si trovavano giornali disponibili per chiunque sapesse leggere e potesse permettersi di pagare una tazza della nera bevanda; tutto questo, dicevamo, favoriva indubbiamente il dibattito, lo scambio di idee e un certo “fermento” politico e culturale (Caykent-Tarbuk, 2017). Come già evidenziato più volte, questa caratteristica delle sale da caffè portò a una reazione da parte del potere e degli elementi più conservatori della società.
Fu, tuttavia, solo il fenomeno politico l’aspetto preponderante nelle sale da caffè in Età Moderna? La risposta, naturalmente, è no. I caffè, infatti, svolsero un ruolo fondamentale anche sotto altri punti di vista.
Anzitutto è importante sottolineare il ruolo che essi giocarono nella sfera, per così dire, intellettuale. Presso le sale da caffè, infatti, non erano disponibili solo i giornali, ma vere e proprie biblioteche delle più varie dimensioni. Inoltre, in un’epoca in cui la dimensione orale era ancora preponderante, la riunione di intellettuali e scienziati nel medesimo luogo e il dibattito che ne seguiva e che sfociava, spesso, in vere e proprie lezioni, favorì la diffusione della cultura e la formazione di una sfera intellettuale al di fuori dell’ambito prettamente istituzionale (Weinberg-Bealer, 2009 e Caykent-Tarbuk, 2017).
In secondo luogo, le sale da caffè giocarono un ruolo fondamentale anche nella sfera economica. Non ci riferiamo solamente al valore della bevanda e di quanto necessario a prepararla, con i conseguenti investimenti e le conseguenti politiche di importazione e produzione. È fondamentale sottolineare, a tal riguardo, come i caffè venissero utilizzati dai mercanti quasi come una seconda casa. Non era insolito, infatti, per un commerciante ricevere posta e comunicazioni presso una sala da caffè che, spesso, fungeva da indirizzo del professionista. Non era strano, inoltre, per un mercante incontrare potenziali clienti o partners economici presso una sala da caffè la quale, anzi, forniva un’alternativa assai più sobria e “professionale” alle taverne e alle osterie che, fino ai decenni precedenti, avevano svolto il medesimo ruolo di luogo di incontro (Mackie, 2013).
Da quanto detto sino ad ora emerge come nelle sale da caffè non fosse presente una sola sfera pubblica, bensì una serie, una rete di diverse sfere pubbliche le quali proprio nel luogo di consumo della bevanda si incontravano, talvolta scontrandosi, talvolta collaborando (Mackie, 2013). Un avventore, quindi, poteva, muovendosi di tavolo in tavolo, partecipare a discussioni politiche, letterarie, scientifiche, economiche e via discorrendo, senza dimenticare le altre funzioni fondamentali delle sale da caffè, ossia il riposo, le chiacchiere frivole, la diffusione di informazioni e pettegolezzi (Mackie, 2013 e Caykent-Tarbuk, 2017).
Tutti questi aspetti vengono esemplificati magistralmente dal caso inglese, sul quale di conseguenza vale la pena soffermarsi in conclusione di questo breve articolo.
Come abbiamo visto, la prima sala da caffè londinese aprì i battenti nel 1652. In quel momento iniziò un periodo ascendente, una vera e propria epoca d’oro dei caffè inglesi destinata, secondo alcuni, a spegnersi nella seconda metà del secolo successivo.

Inizialmente le sale da caffè londinesi, grazie ai loro prezzi assai economici, riunirono nei loro locali un vasto numero di individui provenienti, come già visto, dai più diversi ceti. Era questa una fase durante la quale le sfere pubbliche sopracitate si riunivano e si incontravano nel medesimo luogo, portando a un vero e proprio fermento politico, culturale e intellettuale che alimentava da sé il sempre continuo afflusso di persone nei caffè. Bisogna, tuttavia, sottolineare come questi elementi di sociabilità si limitassero ad un pubblico essenzialmente maschile. Naturalmente vi erano sale da caffè gestite da donne o vi erano donne che in quei luoghi trovavano lavoro, ma generalmente sui caffè frequentati da donne cadeva il sospetto che fossero coperture per bordelli. Le signore dabbene potevano frequentare le sale da caffè, non vi erano regole rigide che le escludessero, ma in questo caso sarebbero state escluse da ogni forma di sociabilità (Mackie, 2013). Le sfere pubbliche cui abbiamo fatto cenno erano, quindi, eminentemente maschili.
A questa fase di fermento, esemplificata nel ruolo fondamentale che i caffè hanno svolto nella fondazione della Royal Society o di esperienze quali quella del Rota Club o ancora nella fondazione della Lloyd’s (Mackie, 2013 e Weinberg-Bealer, 2009) seguì una fase di apparente declino. Le fonti della metà del XVIII secolo, infatti, riportano quella che sembrava essere una sorta di nostalgia per le sale da caffè del secolo precedente, quasi come se le loro omologhe settecentesche fossero solo lo spettro di un glorioso passato (Mackie, 2013). La verità era, naturalmente, un’altra: da un lato, infatti, i locali vennero socialmente accettate anche da quei settori della società che nel secolo precedente le attaccavano (basti pensare alle riunioni parrocchiali che nel corso del XVIII secolo si svolgevano anche presso i caffè); dall’altro lato vi fu una divisione tra sale da caffè specializzate e sale da caffè “generiche”, con queste ultime frequentate da una clientela di livello più infimo (Mackie, 2013).
Se da un lato, infatti, i caffè continuavano a essere punto di riferimento per i mercanti o per la lettura dei giornali e la diffusione delle informazioni, dall’altro lato molte di esse si “specializzarono”, attirando una ben determinata clientela appartenente a un certo gruppo professionale e sociale. Il seme di questa “specializzazione” era già contenuto nel carattere originario delle sale da caffè: le varie sfere sociali che vi si ritrovavano nel XVII secolo portavano sì a un fermento intellettuale e politico, ma portavano anche, come abbiamo visto, allo scontro tra le diverse appartenenze. Più le sale da caffè si diffondevano, più venivano socialmente accettate e più, di conseguenza, membri di una determinata sfera sociale o professionale tendevano a riunirsi nel medesimo luogo in modo da poter sfruttare la propria rete di conoscenze e lo scambio di informazioni appartenenti al medesimo settore, beneficiando mutualmente da questo contatto (Mackie, 2013).
Questa maggiore esclusività dei caffè poteva venire sancita dall’azione diretta della clientela specializzata che si riuniva presso i locali. Tale clientela, infatti, poteva costituire un forte gruppo di pressione in grado di escludere altri avventori o in grado di imporre l’uso di sale esclusive per gli appartenenti al medesimo raggruppamento professionale o sociale. La sala da caffè che, nel XVII secolo, vedeva sovrapporsi diverse sfere sociali diventava ora in molti casi, nel corso del XVIII secolo, dominata da una sfera sociale determinata (Mackie, 2013) portando quindi ad una minore effervescenza dei locali e a un apparente declino delle sale da caffè.
- Conclusioni
Nel corso di questo articolo abbiamo analizzato l’importanza del caffè nell’Europa d’Età moderna, analizzando le vicende legate al suo arrivo nel Vecchio Continente, l’influenza determinante delle usanze arabe e ottomane nella diffusione della nera bevanda e il dibattito medico, spesso non scevro da implicazioni economiche, sorto intorno ad essa nel corso del XVII secolo.
La nascita e la diffusione delle sale da caffè, con un focus particolare sul caso inglese, invece, hanno mostrato come i luoghi di preparazione e vendita della bevanda non siano stati determinanti solo per lo sviluppo della sfera pubblica politica, ma fossero in realtà luogo di incontro e talvolta scontro delle più diverse sfere sociali e professionali.
La storia del caffè e del suo consumo, quindi, ci mostrano una volta di più l’importanza di analizzare diversi aspetti, di non concentrare la nostra analisi solo su un particolare, ma di allargare la nostra azione, utilizzando un approccio multidisciplinare in grado di comparare diversi aspetti fondamentali per la ricostruzione delle vicende di un bene di consumo che ha segnato la vita e la storia dei nostri antenati e che riveste tuttora un ruolo fondamentale nella nostra società.

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico
Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.
Bibliografia
Çaykent Ö – Tarbuck D.G., Coffehouse Sociability: Themes, Problems and Directions, in The Journal of Ottoman Studies, XLIX (2017); Mackie B., One Last Cup of Coffee? The Decline of the London Coffehouse, The University of Chicago, 2013; Stahl I., Le café au croisement des deux mondes. Exemple d’une acculturation volontaire dans la ville de Bucarest au XIXe siècle, in Ethnologia Balkanica, Journal for Southeast European Anthropology, Vol.15, 2011; Weinberg A.B. – Bealer K.B., Tè, caffè e cioccolata. I mondi della caffeina tra storie e culture, Donzelli, Roma, 2009.
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