Il re dimenticato
di Beatrice Cattaneo
Nel novero dei personaggi dimenticati e rivalutati solo di recente, vi è anche Edoardo VI Tudor, l’erede tanto bramato da uno dei più celebri sovrani della storia: Enrico VIII. Il re bambino è stato spesso trascurato dalla storiografia, che ha invece favorito un’analisi molto più ampia di personaggi come Elisabetta I e Maria. Il breve regno di Edoardo VI (1547-1553), tuttavia, trattato spesso solo come un periodo di transizione, apportò in realtà modifiche capaci di gettare le basi per i regni futuri, in particolar modo per quello di Elisabetta I.
1. Edoardo VI e il suo tempo
Edoardo VI nacque nel giorno di Saint Edward, il 12 ottobre 1537. Londra esplose in grandi festeggiamenti: le campane di St. Paul suonarono incessantemente, per tutta la città ci furono processioni e celebrazioni. Lettere vennero inviate alle corti di tutta Europa per informare della lieta novella: finalmente Enrico VIII aveva un erede. Mentre la madre di Edoardo – Jane Seymour – moriva di febbre puerperale, la sopravvivenza del bambino, in un’era in cui la mortalità infantile era molto elevata, divenne una questione di importanza capitale. Il livello di vigilanza al riguardo era altissimo: nessuno sotto il grado di cavaliere poteva incontrare o toccare il principe e tutti i cibi consumati da Edoardo erano prima controllati, i suoi abiti costantemente lavati e spazzolati.

Inoltre, intorno al bambino, iniziò sin da subito a crearsi una retorica simbolica vastissima: Edoardo incarnava le speranze di una nazione e rappresentava un vero e proprio segnale di favore divino nei confronti della nuova Chiesa d’Inghilterra e di Enrico VIII stesso (Skidmore, 2007).
Il padre sviluppò da subito dei piani matrimoniali importanti per il figlio: nel 1542, alla morte del re Giacomo V di Scozia con conseguente ascesa al potere della giovane principessa Maria, si prospettò infatti la concreta possibilità di un matrimonio e di un’unione dei due regni. Dopo un trattato siglato a Greenwich il 1 luglio 1543, la Scozia decise tuttavia per un voltafaccia, rinsaldando la vecchia alleanza con la Francia e scatenando la furia del sovrano inglese.
Edoardo, crescendo, ricevette un’educazione mirabile, che rivestì una peculiare importanza nello sviluppo della sua sensibilità verso le questioni religiose: non venne esclusivamente preparato come futuro sovrano, ma per essere la persona più eminente all’interno della cristianità (Jordan, 1968). L’inventario del principe rivela alcuni testi della sua libreria: una grammatica latina, la Geografia di Tolomeo, Petrarca, Catone, Erodoto, la Crónica de España di Diego de Valera e la Bibbia. Il giovane studiava con passione la legge romana e conosceva molte lingue. Una delle materie preferite del principe era la geografia: il pezzo forte della sua collezione era una mappa del mondo disegnata da Giovanni Caboto; Edoardo prese inoltre parte attiva nell’incentivare viaggi e ricerche in ambito geografico divenendo il primo monarca inglese a finanziare una spedizione nell’Artico. L’educazione del principe toccava anche aspetti pratici: oltre alla matematica e all’arte della guerra, dal 1549 Edoardo venne iniziato alla conoscenza del sistema amministrativo del suo regno. Le questioni religiose sembravano inoltre appassionarlo: il giovane leggeva dieci capitoli della Bibbia ogni giorno e prestava moltissima attenzione ai sermoni, prendendo numerose annotazioni (Skidmore, 2007). Sarebbe certamente interessante sapere di più sul carattere e sui sentimenti del principe in questo periodo, tuttavia il diario di Edoardo – tenuto aggiornato dal sovrano più o meno dall’inizio del suo regno fino al 1552 – non rivela nulla della sua personalità, rimanendo di fatto un esercizio scolastico (Loades, 2012).
Con il passare degli anni la salute di Enrico VIII peggiorò – così come il suo già difficile carattere – e la situazione riguardo il futuro di Edoardo come sovrano si prospettava in balia di un caleidoscopio di alleanze. A corte, infatti, esistevano due fazioni principali: i conservatori, legati al cattolicesimo, e gli evangelici, “ uomini nuovi” giunti al potere durante la reggenza di Enrico VIII; tra i secondi vi erano Edward Seymour, John Dudley e William Paget. Per tutte queste personalità, divenne cruciale stabilire un controllo su Edoardo (Skidmore, 2007).
Nell’ottobre del 1545 gli evangelici presero il controllo della Privy Chamber e della corte. Gli eretici – che erano stati precedentemente condannati – furono graziati e, per la prima volta dal 1542, vennero stampate numerose bibbie. Il re, ben consapevole della difficile situazione politica e delle lacerazioni interne e preoccupato per l’incolumità di Edoardo, decise di redigere le sue ultime volontà aggiungendovi nuove disposizioni. L’Atto di Successione del 1536 venne aggiornato: questo prevedeva che nel caso in cui il successore fosse stato un minore, si sarebbe dovuto creare un consiglio come suo esecutore; dopo i cambiamenti operati dal re, la cerchia di persone che avrebbe tenuto fra le mani il potere sotto il regno di Edoardo corrispondeva esattamente agli evangelici. Il 28 gennaio 1547 Henry VIII morì e il nome di Seymour venne preferito ad altri per esercitare il ruolo di Lord Protector.
Il 20 febbraio Edoardo venne incoronato re e il rituale seguì le regole del Liber Regalis, che ne dettava il funzionamento dal 1375. Edoardo VI fu l’unico sovrano ad essere incoronato con il titolo di Supreme Head of The Church: il primo, fra tutti, a ricevere durante i rituali il titolo di difensore della fede (Skidmore, 2007).

2. Somerset e Northumberland: gli altri protagonisti del regno
Mentre si inaspriva un nuovo conflitto che vedeva schierate Inghilterra contro Francia e Scozia (Jordan, 1970), la situazione religiosa si complicò: con la distruzione delle immagini all’interno della Cattedrale di St. Paul – il 5 settembre – iniziarono i primi veri moti di iconoclastia. Il governo decise quindi di proclamare due atti: l’Act against Revilers of the Sacrament and for the communion in both kinds e il Chantries Act, che completò il lavoro di Enrico VIII in merito all’abolizione delle cappelle votive. Venne inoltre reintrodotto il Treason Act, voluto dal precedente sovrano, che considerava tradimento persino parlare in termini negativi del sovrano. L’arcivescovo Cranmer era convinto che la Riforma andasse assolutamente accelerata: l’intera struttura della fede e dei suoi rituali – di origine medievale – venne modificata, cancellando metafore e credenze (come la consacrazione dell’ostia) che erano entrate nell’abitudine degli inglesi; per molti la situazione si rivelò emotivamente catastrofica e causò innumerevoli proteste (Elton, 1960).
A corte, intanto, Somerset, come Lord Protector, aveva un ruolo dai limiti mal definiti: gli furono concessi pieni poteri in materia di privato e di pubblico, in questioni interne ed estere; poteva inoltre aggiungere o rimuovere consiglieri senza ulteriore approvazione. In questo periodo difficile si verificò un episodio gravissimo: un tentativo di rapimento ai danni del principe, operato da Thomas Seymour – fratello di Somerset – che il 19 marzo venne condannato a morte per alto tradimento. Mentre le misure di sicurezza intorno alla figura di Edoardo aumentarono notevolmente, l’immagine di Somerset venne estremamente danneggiata dai comportamenti del fratello: la sua autorità di Lord Protector venne messa in discussione, perché Somerset si era dimostrato incapace di garantire al sovrano la dovuta protezione (Skidmore, 2007).
Un altro problema che causò molte tensioni, fu quello economico, a causa di crisi, carestie e inflazione sommate a un aumento della popolazione.
Nel frattempo la spinta al riformismo religioso continuava ad incalzare e culminò nel 1548, con l’introduzione del Book of Common Prayer, che trasformava la celebrazione della messa latina in inglese. Il libro rimaneva di stampo piuttosto conservativo, l’omissione di alcune formule fu tuttavia molto rilevante: vennero eliminati l’elevazione dell’ostia, la transustanziazione e alcune preghiere; questo portava a una rottura sostanziale con il mondo religioso medievale, tradizionalmente cattolico. Le proteste non tardarono ad arrivare: iniziarono a Frome e proseguirono in Cornovaglia, dove la rivolta esplose con maggiore intensità; qui, il Book of Common Prayer incontrò notevoli resistenze. Nessuna misura militare, all’inizio, venne presa per far fronte a questa situazione e si cercò prevalentemente di contenere le ribellioni. Il 18 luglio, tuttavia, entrò in vigore la legge marziale, associata a condanne sempre più severe (Skidmore, 2007).

National Portrait Gallery (fonte: Wikipedia)
Un’altra questione di fondamentale importanza riguarda la posizione conservatrice della Principessa Maria, irriducibile cattolica, che iniziò lentamente a diventare la voce dei conservatori. Convinta che il fratello minore venisse influenzato eccessivamente dai personaggi potenti della corte, Maria era dell’idea che Edoardo avrebbe dovuto prendere decisioni in ambito religioso in modo autonomo solo una volta raggiunta la maggiore età. A corte, Somerset e John Dudley – entrambi evangelici, ma concorrenti nell’ascesa al potere – arrivarono a scontrarsi in modo diretto. In questo frangente Somerset fu accusato di malgoverno e venne deposto dalla carica di Lord Protector. Dudley sembrò il suo naturale successore, assumendo la carica di Lord Admiral e guadagnando sempre più influenza a corte; il Parlamento nel frattempo era in una condizione di paralisi tale da venire soprannominato still Parliament (Skidmore, 2007).
Al fine di risolvere i problemi di natura religiosa, si diede un’ulteriore spinta alla riforma, mettendo ancora più in evidenza la disobbedienza di Maria, alla quale Edoardo fece sapere che non avrebbe tollerato ulteriori abusi e disobbedienze in materia religiosa, nonostante il loro legame di sangue. Maria decise di affrontare il fratello recandosi in visita a Londra; il loro incontro portò a un nulla di fatto. Il principale errore commesso dalla principessa fu sottovalutare il fratello, considerandolo un semplice burattino. Edoardo era, in realtà, molto informato e appassionato di questioni religiose, anche in virtù dell’educazione ricevuta (Skidmore, 2007).
Mentre si concludevano le trattative per una pace con la Francia, il 16 aprile venne scoperta un’ulteriore cospirazione ai danni di Edoardo e di Dudley, apparentemente organizzata dall’ex Lord Protector Somerset. Dopo aver ottenuto la carica di duca di Northumberland, Dudley trascinò il rivale e i suoi alleati alla Torre di Londra e ottenne il pieno controllo di Edoardo.
Nell’aprile del 1552 vennero formulati un secondo Book of Common Prayer e un Act of Uniformity – al quale Maria tentò di opporsi incessantemente – venne imposto su tutte le chiese: le cerimonie condannate dai Protestanti vennero rimosse, i sacramenti rivisitati. Questo fu l’esito maggiore del regno di Edoardo VI, che costituì la base per l’Elizabethan Book (Skidmore, 2007).
Fu in questo periodo che la salute del giovane re venne posta sotto l’osservazione del medico Gerolamo Cardano: debole, miope e parzialmente sordo, il sovrano venne portato a Greenwich. I dottori erano convinti che il giovane avesse un tumore polmonare, che gli causava una febbre alta costante, aggravata da numerose ulcere e piaghe da decubito. Compresa la gravità della situazione, Edoardo decise di cambiare con un colpo di penna l’ordine di successione al trono, diseredando le sorelle; la sua presa di posizione fu unica e rivoluzionaria, giustificata dalla volontà di creare una nuova dinastia per i posteri, che avesse come base il mantenimento della nuova fede. Alla revisione del testamento, il re aggiunse infatti anche la richiesta di mantenere inalterato il sistema religioso da lui realizzato, perpetrando la Riforma.
Il 6 luglio 1553 Edoardo morì circondato da medici e da alcuni uomini fidati (Skidmore, 2007).
3. La storiografia su Edoardo VI: le prime opinioni
Le prime testimonianze riguardanti il regno di Edoardo VI provengono dai suoi contemporanei: uomini politici, teologi e personaggi eminenti legati alla corte dei Tudor. Da subito si delineò una spaccatura tra coloro che ritenevano la figura del re intoccabile e sacra, e coloro che invece dubitavano delle capacità del sovrano e del suo effettivo potere, temendo i cortigiani potessero influenzarlo e trasformarlo in una vera e propria marionetta.
Per coloro che vedevano Edoardo VI in maniera assolutamente positiva, l’idea di sovranità divina rappresentava un punto imprescindibile a sostegno delle loro tesi: il re era un vero e proprio rappresentante di Dio sulla terra. Chi vedeva con favore il nuovo regno, inoltre, sottolineava come Edoardo VI stesse seguendo le orme del padre ponendosi in assoluta continuità con il suo operato e definendolo godly son of a godly father (Alford, 2002). Un altro punto a favore del re bambino, espresso dai primi storiografi, consisteva nell’elogio delle grandi capacità intellettuali del sovrano, favorite dalla sua formazione in un ambiente culturalmente ricco, circondato da eminenti professori e umanisti.
Le linee scelte per la critica al regno, invece, si concentrarono sulla giovinezza del re, associate ai relativi dubbi riguardanti il suo effettivo esercizio del potere. Uno dei principali critici del regno edoardiano fu Stephen Gardiner. Il vescovo cattolico – zoccolo duro dell’ala conservatrice e omesso dal testamento di Enrico VIII – perse definitivamente la propria influenza a corte sotto il regno di Edoardo VI. Gardiner rimase totalmente freddo verso il regno edoardiano e la propaganda a favore dello stesso; la sua opposizione era particolarmente pericolosa: Gardiner, che aveva accettato il regno di Enrico VIII, rifiutava nettamente le proposte create dal figlio e tra queste, quella considerata più deplorevole, era sicuramente l’iconoclastia. Le proteste dell’arcivescovo risultarono tanto forti da portare al suo imprigionamento nella Torre di Londra.
Il dibattito riguardante il regno di Edoardo VI, già iniziato dai suoi contemporanei, continuò a svilupparsi in modo intenso anche dopo la sua morte. John Foxe – teologo e storico britannico – nel suo testo più famoso, Acts and Monuments (1563), traccia un’immagine positiva del giovane re, legandosi a una tradizione narrativa particolarmente volta alla ricerca della presenza divina all’interno della storia.
4. Edoardo VI, Elisabetta I e Maria

Court Palace, Londra (fonte: arthive.com)
Molti dei sopravvissuti al dominio di Edoardo VI dovettero affrontare due regni nuovi, con a capo due regine: la cattolica Maria ed Elisabetta I. È possibile che gli inglesi non ritenessero naturale avere come sovrana una donna: la simbologia della monarchia Tudor risiedeva infatti nella presenza di una personalità forte e maschile. Le due sovrane, per questa ragione, vennero inizialmente recepite dalla storiografia come figure depotenziate rispetto ai loro predecessori. Christopher Goodman e John Knox, esuli a causa delle repressioni mariane, condannarono fortemente la monarchia femminile, posta in emblematico antagonismo con quella sacrale e divina di Edoardo VI e dei suoi predecessori.
Alla fine del XVI secolo la storiografia, ispirata dalla riscoperta di Tacito, sviluppò una critica più analitica, che mal si legava all’idea appassionata di provvidenza divina del periodo precedente. Fu in questo periodo che il regno di Edoardo VI e la sua stessa persona subirono diverse critiche. Una delle voci legate a questa nuova tendenza fu quella di William Camden; lo storico, nei suoi Annales, dopo aver elencato i cambiamenti operati in positivo da Edoardo VI in campo religioso, criticò fortemente la distruzione degli altari e delle proprietà ecclesiastiche, trattando in termini negativi l’intero regno, definito come giddy time, cioè frivolo, superficiale (Macculloch, 2002).
5. Tra il XVII secolo e la contemporaneità
Anche John Strype si accoda alla critica di Camden e nella sua opera Historical Memorials (1721), descrive la corte edoardiana come un organismo avido e rapace (Alford, 2002). I termini spoil, rapine, divennero tipici nelle descrizioni di un periodo in cui i cortigiani facevano politica e tentavano di arricchirsi ogni giorno. Da Heylyn a David Hume questo tema divenne un topos letterario nella descrizione del regno di Edoardo VI. A questo si accompagnava un altro concetto cardine per la storiografia di questo periodo: vale a dire l’idea che la minore età del sovrano venisse sfruttata da coloro che lo circondavano, per soddisfare interessi personali.
Un punto di vista particolarmente ostile alla Chiesa edoardiana fu quello dei teologi, che condannarono l’estetica semplicistica della Riforma e l’opposizione tra il sovrano e il papa, visto come Anticristo durante il regno di Edoardo.
Uno degli autori del XVIII secolo che maggiormente si interessò a questo regno fu David Hume; nel suo testo The History of England under the House of Tudor (1759), questi si dimostra assolutamente critico nei confronti di un periodo animato dalla superstizione, dalla violenza politica e dall’utilizzo arbitrario del potere (Alford, 2002).
L’evoluzione storiografica nei confronti del regno di Edoardo VI dimostra come la figura del sovrano – inizialmente intoccabile e sacro – col passare degli anni iniziò a essere considerata di secondo piano, se non apertamente criticata. Il re, il suo potere effettivo e la sua immagine vennero depotenziate, a favore invece di altri personaggi appartenuti al suo regno, o a quelli successivi.
Dal XIX secolo in poi, la storia amministrativa iniziò a muovere i primi passi: con questi termini si intende un campo della storiografia che indaga l’evolversi dell’amministrazione e della burocrazia all’interno degli stati. Gli anni di Edoardo VI iniziarono quindi ad essere analizzati attraverso uno sguardo di questo tipo: grande spazio venne concesso allo studio della macchina statale e degli organi che andavano a comporla; Sharon Turner, ad esempio, in The History of the reigns of Edward the Sixth, Mary, and Elizabeth (Londra, 1829) studiò il Privy Council. Nel testo The government policy of protector Somerset (1975) di Michael Bush, la presenza di Edoardo VI appare addirittura a stento. Secondo lo storico, infatti, il Privy Council andava a sopperire alle debolezze del sovrano, causate della sua età (Alford, 2002).
Wilbur Kitchener Jordan ha esaminato il regno di Edoardo VI in svariati testi, tra questi: Edward VI: the young King (1968) ed Edward VI, the Threshold of power (1970). Nei propri scritti, l’autore tratta il sovrano con estrema lucidità, delineando come – nonostante l’età – Edoardo VI partecipasse a dibattiti in materia religiosa e fosse assolutamente devoto alla causa protestante. Il re, secondo Jordan, iniziò a far sentire la propria opinione ancora prima di terminare la propria istruzione ed era sicuramente pronto a regnare prima di morire. Secondo Jordan, inoltre, dagli studi fatti sul diario di Edoardo, emerge tra le righe un carattere molto diverso da quello del padre; il giovane sembrava infatti avere un animo freddo che lo rendeva simile più al nonno, Enrico VIII, che al padre, famoso al contrario per le grande passioni e la facile irascibilità (Jordan, 1970).
Lo storico Geoffrey Rudolph Elton si contrappose a queste idee, disegnando un’immagine del sovrano totalmente nuova: «Edward was naturally haughty and arrogant, like all the Tudors». Il giovane re, afferma lo storico, era un sovrano a tutti gli effetti e attraverso il suo diario, dal tono altamente formale. L’immagine di Edoardo che ci appare in questo testo è quindi quella di un sovrano bambino, ma conscio delle proprie potenzialità: capriccioso, arrogante, ma allo stesso tempo facilmente influenzabile (Elton, 1962).
George Macaulay Trevelyan, nel suo History of England (1960), presenta un punto di vista che alterna una forte critica al regno di Edoardo VI – presentando gli anni successivi alla morte di Enrico VIII come un inglorioso vuoto di potere – alla volontà di stabilire i passi avanti compiuti in questo stesso periodo; seguendo la corrente di parziale rivalutazione di questo regno, lo storico segnala infatti anche come questo periodo abbia permesso la stabilizzazione delle questioni religiose. Il Book of Common Prayer per esempio, ideato da Edoardo VI, fu la matrice per il contestuale testo elisabettiano (Trevelyan, 1962).
L’intento di Stephen Alford, in Kingship and politics, è invece quello di delineare nuove direzioni per lo studio di questo periodo. Alford si concentrò prevalentemente sulla continuità e sulla stabilità del regno di Edoardo VI, privilegiando queste tematiche a quelle che riguardavano fazioni e divisioni (Alford, 2002).
Anche lo storico David Loades si espresse – in The Tudors, History of a Dinasty (2012) – sulla figura di Edoardo VI. Nell’opera vengono realizzati degli spaccati piuttosto brevi sulla vita dei monarchi Tudor, studiando le loro personalità e il loro operato. Lo storico afferma, a proposito di Edoardo VI, come il giovane re fosse totalmente cosciente e preparato all’esercizio del proprio potere e dei propri diritti in quanto sovrano, riportando come esempio l’episodio in cui intervenne personalmente contro la sorellastra Maria (Loades, 2012).
Diarmaid MacCulloch, in The boy king: Edward VI and the Protestant Reformation, risulta essere più persuasivo, presentando Edoardo VI come un monarca evangelico impegnato, supportato da uomini di Chiesa e di Stato, con i quali condivideva i medesimi scopi.
Un testo molto interessante è A religion of the Word – the defence of the reformation in the reign of Edward VI (2002), di Catherine Davies. In questo scritto, uno dei più recenti sul tema, l’autrice traccia un’analisi interessante del periodo, dal quale la storica rimuove ogni preconcetto e pregiudizio. La prosecuzione della riforma, voluta da Edoardo VI e vista da molti in modo negativo, viene analizzata da Davies come un passo necessario per l’evoluzione della Chiesa. L’autrice, a tal proposito, afferma, utilizzando una splendida metafora: «The process could be seen as analogous to moving from a long-inhabitated house: stripped of all the familiar clutter, beloved furnitures looks naked and diminished, the fading and wear on the pictureless walls is newly visible, the windows are empty holes» (Davies, 2002). Secondo Catherine Davies, la rottura totale con il passato, finalizzata a dare sostegno alle novità della Riforma, era quindi assolutamente necessaria. Se il regno di Edoardo VI venne spesso considerato un periodo di buio, costellato da crisi economica, guerra ed epidemie, nonché conflitti interni tra figure potenti, secondo Davis questi elementi non rappresentavano nulla di nuovo: le fazioni erano sempre esistite, semplicemente il danno apportato è più grave nella misura in cui il contesto nel quale si manifesta risulta essere fragile (Davies, 2002). Catherine Davies appare quindi come una delle portavoci della tendenza dell’ultimo ventennio – insieme a Chris Skidmore, Stephen Alford, David Loades, Dale Hoak e Diarmaid MacCulloch – che mira analizzare il regno di Edoardo VI sotto una luce sicuramente più positiva.
Lo stesso sovrano viene allontanato dalla distorsione subita attraverso i secoli. L’immagine tradizionale che lo raffigurava era sentimentale, se non spaventosa, cioè quella di un re eccezionalmente intelligente per la sua età, ma malaticcio e debole, influenzato da una corte rapace. Il carattere di Edoardo VI e il divertimento che traeva dalle pratiche sportive, dalla musica e dagli interessi che anche il suo diario ci rivela, vennero spesso lasciati da parte, così come l’interesse religioso che realmente animava il re, fautore di una vera e propria crociata protestante. Questa passione non era superficiale, ma derivava da studi e da una vera e propria curiosità.
Come afferma Chris Skidmore, nell’introduzione a Edward VI, The lost King of England: «The human side of the story should not be forgotten» (Skidmore, 2007). Il sovrano portava infatti sulle proprie spalle un fardello gigantesco per un bambino; la sua vita era piena, come rivelano moltissimi documenti ed i suoi stessi diari. Edoardo VI era sicuramente un bambino precoce, con degli interessi personali ben delineati e che con tutta probabilità sarebbe stato un sovrano brillante. In quanto minorenne, il giovane re era necessariamente affiancato da istituzioni e uomini di potere, che lo coadiuvarono o in un qualche modo ebbero un peso nella creazione delle sue idee.
Indipendentemente dal fatto che Edoardo venga visto come manifestazione del divino – seguendo la tradizione storiografica iniziata da John Foxe – o come un bambino debole a capo di un Regno altrettanto debole – come accadeva fino alla metà del XX secolo – gli storici contemporanei concordano sul fatto che sia innegabile il ruolo giocato dal sovrano negli ultimi anni del proprio regno. Con le sue passioni, i suoi interessi, Edoardo VI diede una spinta tale alla riforma da modificare radicalmente la Chiesa d’Inghilterra, plasmandola in modo permanente. Fu inoltre in grado di preparare, grazie alla fiducia che riponeva nel supporto degli organi e delle istituzioni, il terreno a Elisabetta I, alla quale giovò moltissimo la possibilità di un dialogo con gli stessi.
A questo sovrano, insomma, va riconosciuto un ruolo centrale nella storia dei Tudor, ma soprattutto della Riforma.

Beatrice Cattaneo – Scacchiere Storico
Beatrice Cattaneo, laureata in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Storia Moderna incentrata sul periodo napoleonico, si interessa di Rivoluzione Francese, Americana, di Atlantic History e di storia culturale.
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