LA CONGIURA DI AMBOISE

di Davide Galluzzi

Tra gli eventi che più hanno segnato il Cinquecento europeo in generale e quello francese in particolare vi sono sicuramente le Guerre di Religione che hanno insanguinato la Francia tra il 1562 e il 1598.

Uno degli avvenimenti antecedenti lo scoppio di questi conflitti e che, secondo diversi storici, rappresentò un punto di svolta nella divisione del Regno tra cattolici e riformati fu la Congiura di Amboise, ossia il tentativo di parte della piccola nobiltà e degli ugonotti di impadronirsi della persone del re e di estromettere il duca di Guisa e il cardinale di Lorena dall’esercizio del potere. 

Per meglio comprendere come si giunse alla Congiura di Amboise è necessario ripercorrere la storia di Francia tra la fine del regno di Enrico II e l’ascesa al trono del giovane Francesco II, comprendendo nella nostra analisi non solo la ricostruzione degli eventi, ma anche il dibattito interno alle Chiese riformate di Francia e la polemistica successiva al fallimento del tentato colpo.

  1. La Congiura di Amboise

Come precedentemente accennato, il contesto in cui avvenne la Congiura di Amboise fu quello della morte di Enrico II, monarca assai impegnato nella repressione della Riforma in Francia, e l’ascesa del di lui figlio minorenne Francesco II, la cui ascensione al trono vide anche il rafforzarsi dell’influenza del duca di Guisa e di suo fratello, il cardinale di Lorena.

Ritratto di Enrico II di Francia
Ritratto di Enrico II di Francia (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

All’elemento religioso si univa quindi, come avremo modo di vedere in maniera assai più approfondita nei prossimi paragrafi, un forte malcontento politico che affondava le sue radici proprio nell’influenza esercitata dai Guisa, visti come elemento straniero a causa della loro provenienza lorenese, terra all’epoca considerata come non appartenente al Regno di Francia, e al ridimensionamento del ruolo dei principi del sangue (Vivanti, 1996).

Non a caso i congiurati basavano parte delle proprie rivendicazioni di carattere politico su una risoluzione degli Stati Generali convocati a Tours nel 1484 secondo la quale, qualora la corona fosse passata a un re minorenne, un Consiglio avrebbe dovuto affiancare il monarca per governare e amministrare il regno, affidando un ruolo di guida ai principi del sangue ed escludendo da tale organismo elementi di provenienza straniera come, per l’appunto, erano i Guisa (Jouanna, 1996).

Non fu solo la minore età di Francesco II a fornire un movente politico ai congiurati, ma fu la più generale situazione politico-economico-sociale dell’epoca a fomentare l’odio contro i Guisa e a spingere parte dell’aristocrazia ad agire. Nella corrispondenza di Thomas Perennot de Granvelle, conte di Cantecroix e signore di Chantonnay, ambasciatore di Spagna in Francia dal 1559 al 1564, ricchi sono i riferimenti a capitani licenziati dopo la pace di Câteau-Cambrésis senza aver ricevuto il soldo dovuto (Paillard, 1880). Non solo: non dobbiamo infatti dimenticare come l’ascesa dei Guisa corrispose al declino politico del potente conestabile Anne de Montmorency, unendo questo riequilibrio di potere al vertice del Regno a un’ulteriore crisi politica causata da un decreto del 1559 che revocava la cessione di numerose terre e rendite garantite durante i regni di Francesco I e di Enrico II. L’obiettivo era quello di arricchire il tesoro reale, ma revocando solo le terre e le rendite concesse come beneficio (e non quelle acquistate), il decreto colpiva i favoriti dei precedenti monarchi generando così un forte malumore in diverse parti dell’aristocrazia francese (Paillard, 1880).

L’organizzazione del complotto fu assai lunga e tutt’altro che lineare. Secondo i piani dei congiurati, riunitisi per la prima volta a Nantes a inizio febbraio 1560, il colpo sarebbe dovuto avvenire nei primi giorni del mese seguente, mentre il monarca soggiornava a Blois, ma la decisione di Francesco II di spostare la Corte nell’assai meglio fortificata Amboise spinse gli organizzatori del complotto a posticiparne l’azione al 17 marzo. Secondo i piani, infatti, una vasta mobilitazione ugonotti avrebbe dovuto circondare Blois, divenuta Amboise dopo lo spostamento della Corte, e chiedere libertà di coscienza e di culto, mentre un nutrito gruppo di soldati armati, guidati da membri dell’aristocrazia, avrebbe “preso in custodia” il giovane re, sottraendolo così all’influenza dei Guisa. Contestualmente si sarebbero dovuti convocare gli Stati Generali i quali avrebbero ratificato le libertà concesse dal sovrano e avrebbero processato, condannato ed esiliato i Guisa che, secondo i piani più radicali, avrebbero dovuto essere assassinati durante l’attuazione della congiura qualora avessero spinto Francesco II a opporre resistenza alle richieste dei congiurati (Vivanti, 1996 e Paillard, 1880).

Ritratto di Francesco II di Francia
Ritratto del giovane Francesco II (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Il piano, tuttavia, fallì a causa di alcune informazioni pervenute ai Guisa che svelarono l’esistenza di una congiura volta a colpire loro e la persona del re. Inizialmente le prime avvisaglie giunsero da alcune lettere di principi protestanti tedeschi che misero in allarme i Guisa, ma furono le testimonianze dell’avvocato riformato Pierre des Avenelles, il quale aveva ospitato gli organizzatori del colpo nella propria abitazione presso Saint-Germain-des-Prés, e di alcuni mercanti savoiardi e fiamminghi a rendere assai più concreta l’ipotesi dell’esistenza di un complotto.

Curiosamente, la confessione di des Avenelles venne presa con le pinze e anzi l’avvocato venne praticamente arrestato una volta giunto a Blois per incontrare il cardinale di Lorena, perché i Guisa volevano tutelarsi nei confronti del principe di Condé, segnalato come organizzatore della congiura, qualora le informazioni ottenute dall’avvocato parigino si fossero rivelate false (Vivanti, 1996 e Paillard, 1880). I mercanti, invece, vennero presi assai più seriamente quando affermarono che 800 uomini armati erano attesi a Blois e che a loro si sarebbero poi uniti 4.000 cavalieri e altri 30.000 soldati pronti a marciare su Amboise per catturare il re, sua madre e i Guisa. Questi ultimi, allarmati, inviarono una spedizione presso la foresta di Touraine dove vennero catturati diversi congiurati il cui interrogatorio non portò a ulteriori delucidazioni (Tesedor, 2020).

Tradito il segreto che avrebbe dovuto circondarla, quindi, la Congiura di Amboise fallì e decine di congiurati vennero scoperti e trucidati o giustiziati durante la repressione seguita al tentato colpo di stato. L’elemento religioso pare essere dominante, ma, come abbiamo visto, a esso si univa un malcontento politico-sociale che fu altrettanto determinante a spingere diversi attori all’azione. Tutt’altro che omogenea fu anche l’appartenenza sociale dei congiurati: sebbene la base politica delle rivendicazioni fosse legata, come abbiamo visto, allo scontro tra i principi del sangue e i Guisa, furono membri della piccola e media nobiltà, guidati da Jean du Barry, signore di La Renaudie, a tentare il colpo, mentre a loro si sarebbero uniti ugonotti di umile origine e soldati regolarmente pagati con denaro ottenuto dai principi tedeschi, da diversi ricchi mercanti e, secondo alcuni, dall’Inghilterra di Elisabetta I (Vivanti, 1996, Brown, 1996 e Sutherland, 1966).

  1. Gli ugonotti francesi di fronte alla congiura: il lungo dibattito sul diritto alla resistenza

Potrebbe forse stupire il fatto che, fino ad ora, non abbiamo fatto cenno alle Chiese riformate di Francia come una delle istituzioni organizzatrici della Congiura di Amboise. Il mancato appoggio diretto al colpo fu dovuto soprattutto al rispetto, da parte dei pastori francesi, del principio di obbedienza verso il sovrano più volte espresso da Calvino, ma la dinamica interna ai riformati di Francia fu tutt’altro che lineare e vale forse la pena ricostruire brevemente il dibattito riguardante il tema della resistenza e come i diversi attori finora menzionati si interfacciassero con esso.

La Chiesa Riformata di Parigi, una delle più antiche del regno, venne fondata nel 1555 da Jean le Maçon, signore di Launay. L’appartenenza a questa istituzione, considerata eretica, portava con sé la condanna a morte, obbligando quindi gli appartenenti alla Riforma, i cui numeri erano in costante crescita, a riunirsi segretamente. Proprio il forte proselitismo e la conversione al calvinismo di numerosi appartenenti all’alta aristocrazia di Francia come, per esempio, Antonio di Borbone, re di Navarra, o François d’Andelot, fratello di Gaspard de Coligny, spinsero sempre più Enrico II verso la repressione degli ugonotti (Sutherland, 1962).

L’energica azione del sovrano obbligò quindi i calvinisti francesi a confrontarsi con il delicato tema della resistenza, portando a un primo intervento diretto di Giovanni Calvino il quale, tramite una lettera alla Chiesa parigina, ricordò ai fedeli di essere pazienti e non imbarcarsi in alcuna azione contraria alla Parola di Dio. Il pastore ginevrino, tuttavia, non restò passivo di fronte alla repressione portata avanti dalla Corona di Francia e cercò di portare i timori degli ugonotti all’attenzione di Enrico II, puntando inizialmente sull’azione diplomatica di altri sovrani, primi fra tutti i principi tedeschi, presso il monarca. Ben presto questa tattica mostrò i suoi limiti e fece prendere coscienza del fatto che la riconciliazione tra Riforma e potere politico non si sarebbe potuta imporre dall’esterno, ma sarebbe potuta avvenire solo grazie all’azione diretta dei francesi. Proprio per questo Calvino spostò la propria attenzione verso Antonio di Borbone, re di Navarra e primo principe del sangue, sperando che una sua intercessione presso Enrico II portasse quest’ultimo a rivedere la sua politica di repressione e sterminio degli ugonotti. L’azione del pastore ginevrino e delle Chiese riformate francesi non si limitò a questo, ma si rivolse anche al potente Luigi I di Borbone, principe di Condé, ricercando la sua protezione (Poujol, 1973 e Sutherland, 1962).

Giovanni Calvino
Giovanni Calvino (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Diversi settori delle Chiese riformate, tuttavia, iniziarono a guardare con sempre maggiore insofferenza alla dipendenza dalla Chiesa di Ginevra e iniziarono a ritagliarsi spazi di azione autonoma. Per esempio, sul finire del 1558, una riunione di pastori avvenuta nel Poitiers si espresse in favore dell’unità delle Chiese francesi, gettando le basi per il sinodo di Parigi che si sarebbe tenuto nel 1559 e della cui organizzazione tanto Giovanni Calvino quanto la Chiesa di Ginevra vennero messi a conoscenza assai tardivamente. Risultato di questo sinodo fu la Confessione di Fede ugonotta che, pur non rappresentando una rottura completa con Ginevra, fu comunque una manifestazione di indipendenza delle Chiese francesi e spinse sempre più appartenenti alla Riforma a propendere per una non meglio definita resistenza, che si sarebbe espressa anche attraverso una manifestazione collettiva di fede, qualora il monarca non avesse posto fine alla repressione (Poujol, 1973).

Questa volontà di indipendenza e questo rifiuto della passività imposta da Calvino non deve stupire. Come già accennato, infatti, diversi ugonotti appartenevano all’aristocrazia e la paziente attesa del martirio non rientrava certamente nella loro mentalità, come dimostra la resistenza opposta agli agenti del re durante i fatti della rue Saint-Jacques, cosiccome risultava intollerabile, per questi gentiluomini, la sottomissione a Ginevra. Questo cambiamento di tendenza, notato anche dai dignitari stranieri presenti in Francia come, per esempio, gli inviati del duca di Ferrara o della Repubblica di Venezia, si espresse in diversi modi e coinvolse direttamente le Chiese francesi e Calvino. Da un lato, infatti, i gentiluomini riformati di Francia cercarono di allacciare contatti diretti con i principi protestanti tedeschi, come dimostra la missione in Germania di Gaspard de Heu, cognato di La Renaudie, avvenuta nel 1558, mentre, dall’altro, i vertici della Riforma francese iniziarono un dibattito diretto con Calvino (Poujol, 1973).

I pastori parigini, messi di fronte alla concreta possibilità di sterminio degli ugonotti, iniziarono a pensare a una soluzione più incisiva della sola preghiera e, una volta salito al trono il giovane Francesco II, furono assai probabilmente coinvolti nel dibattito riguardante il cambio di regime e il Consiglio di reggenza cui abbiamo precedentemente fatto cenno. Lungi tuttavia dall’organizzare una ribellione aperta, i vertici della Chiesa di Parigi coinvolsero nondimeno Giovanni Calvino in questa discussione, come testimoniato da una lettera che quest’ultimo invio a Gaspard de Coligny il 16 aprile 1561 (Sutherland, 1962). Nel corso di questa missiva il pastore ginevrino affermava di essere a conoscenza di diversi piani di resistenza che avrebbero coinvolto gli ugonotti, opponendo un netto e categorico rifiuto a tali progetti che avrebbero portato a un vero e proprio bagno di sangue. Questa posizione si scontrava con quella di Antoine de la Roche-Chandieu, uno dei principali teologi riformati parigini, il quale sosteneva che le azioni che si andavano organizzando non sarebbero state rivolte contro il re, ma si sarebbero limitate a richiedere un governo conforme alla legge di Francia, ponendo un freno al massacro che avrebbe portato all’estinzione della Riforma in terra di Francia (Sutherland, 1962).

La posizione di Calvino, a ogni modo, era tutt’altro che monolitica. Sempre nella sua lettera a Coligny, infatti, affermò che, interpellato da la Roche-Chandieu e dagli altri pastori parigini, rispose alla Chiesa parigina ricordando che se i principi del sangue, insieme al Parlamento, avessero chiesto supporto per i propri diritti e le proprie prerogative, allora sarebbe stato legittimo, per gli ugonotti, correre in loro aiuto. Il pastore ginevrino fu ben attento a porre l’accento sulla necessità di un’azione intrapresa dalla totalità dei principi del sangue, ribadendo che ogni atto individuale, e qui il riferimento andava sicuramente al principe di Condé, era da evitarsi e la Chiesa non avrebbe quindi dovuto appoggiarlo (Sutherland, 1962).

Luigi I di Borbone, Principe di Condé
Ritratto di Luigi I di Borbone, Principe di Condé (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Il mancato appoggio di Calvino e, di conseguenza, della Chiesa parigina non impedirono a uomini come Condé e La Renaudie, la cui mentalità, come abbiamo visto, non includeva la passività e l’attesa del martirio, di portare avanti i propri piani e di proseguire con l’organizzazione della congiura. La Renaudie, in particolare, ebbe l’ardire di recarsi a Ginevra e affermare apertamente di essere stato incaricato dell’organizzazione del colpo di stato, scatenando la forte reazione di Calvino, la cui opposizione si fece ancora più dura quando il nobile francese iniziò a reclutare uomini e raccogliere fondi per l’azione affermando falsamente di godere dell’appoggio del pastore ginevrino (Sutherland, 1962).

Come sappiamo, la Congiura di Amboise fallì e si concluse con il bagno di sangue profetizzato da Calvino. Lo stesso Jean du Barry venne ucciso e, sebbene sconfessato dal pastore ginevrino, diventò, proprio a causa della sua morte durante il fallito colpo di mano contro i Guisa, un riferimento per gli ugonotti, venendo identificato come il primo martire riformato delle Guerre di Religione (Brown, 1996).

  1. La polemistica successiva alla Congiura di Amboise

Fallita la congiura e iniziata la repressione, la Francia si trovò immersa in un dibattito sulla natura degli avvenimenti durante il quale entrambi gli schieramenti si lanciarono reciproche accuse, tentando gli uni di legittimare il colpo e gli altri di giustificare la repressione.

Fin da subito la ricostruzione ufficiale degli eventi portata avanti dalla Corona insistette sulla natura politica della Congiura di Amboise, minimizzando, se non ignorando completamente, l’elemento religioso che pure, come abbiamo visto, era fortemente presente. I ribelli, infatti, non vennero mai definiti eretici e la monarchia fu ben attenta a screditare politicamente la congiura per giustificare la repressione. Durante l’Antico Regime, non dobbiamo dimenticarlo, l’atto tentato equivaleva all’atto compiuto, per cui la pena da imporre era la stessa: incolpati di volersi appropriare della persona del re, oltraggiando così il corpo del monarca e di conseguenza la Corona, per imporre, attraverso la convocazione degli Stati Generali, un Consiglio di reggenza che escludesse i Guisa dall’esercizio del potere per giungere infine alla nascita di una repubblica su modello ginevrino, i congiurati videro cadere su di loro le accuse di ribellione, attentato contro il re, sedizione e lesa maestà (Tesedor, 2020). Fin dal marzo 1560, quindi, la condanna ufficiale si basava sulla volontà dei congiurati di rapire il re con il solo scopo di sovvertire lo Stato, anche se non mancarono polemisti cattolici che tracciarono un parallelo tra gli ugonotti e gli albigesi, proponendo quindi la stessa soluzione, ossia la crociata e lo sterminio degli eretici, al problema della divisione religiosa in Francia (Wang, 2017).

La reazione dei sostenitori del colpo e degli ugonotti non si fece attendere. In realtà, il primo libello giustificativo venne trovato tra gli effetti del segretario di Jean du Barry il giorno stesso in cui fallì la congiura. L’opera, intitolata “Les États de France opprimez par la tyrannie de ceux de Guise”, negava l’accusa di attentato alla persona del re, affermando che i protestanti si erano uniti ai congiurati su un terreno politico che voleva porre fine al governo dei Guisa, ristabilendo, attraverso la convocazione degli Stati Generali, la tradizione francese: rovesciando l’accusa di sedizione e rapimento del re sui Guisa, quindi, il libello segnalava i presunti ribelli e gli ugonotti come leali sudditi del monarca (Tesedor, 2020 e Sutherland, 1962).

Basando le proprie argomentazioni sulla minore età di Francesco II e sulla necessità di dare vita a un Consiglio di reggenza affidato ai principi del sangue, il libello giustificativo rovesciava l’accusa di rapimento del re sui Guisa, facendo risalire questo atto criminale al luglio 1559, quando, scortati proprio dai Guisa, Francesco II, i suoi fratelli e loro madre lasciarono il palazzo di Tournelles per dirigersi al Louvre: secondo i congiurati, quindi, erano il duca di Guisa e il cardinale di Lorena a mantenere il monarca in prigionia. In realtà il volume enfatizzava, trasformandolo in presunto crimine, un aspetto chiave del ruolo dei favoriti, ossia il controllo dell’accesso alla persona del re. Questa accusa venne ripresa da numerose altre opere volte a legittimare il tentato colpo fallito ad Amboise (Tesedor, 2020).

La polemistica a sostegno della congiura, oltre a rovesciare sui Guisa l’accusa di rapimento del re, insisteva anche su altri aspetti, in particolar modo sull’estraneità di questi ultimi alla società francese e su un presunto complotto antinobiliare. Come accennato più volte precedentemente, infatti, il duca e il cardinale provenivano dalla Lorena, terra all’epoca non sottoposta alla Corona di Francia e, quindi, venivano visti come attori alieni che, usurpato illegittimamente il potere approfittando della minore età di Francesco II, portavano avanti un complotto antinobiliare volto a indebolire, se non addirittura distruggere, l’aristocrazia francese (Jouanna, 1996 e Gaganakis, 2000).

Oltre all’accusa di rapimento, quindi, la polemistica anti-Guisa rovesciava sul duca e sul cardinale anche l’accusa di complottare contro la Corona, approfittando del fallito colpo di Amboise per perseguitare ulteriormente l’aristocrazia, colpevole solo di aver ubbidito alla propria vocazione prendendo le armi in difesa del Regno, delle prerogative dei principi del sangue, della tradizione e del re, tenuto in cattività da una famiglia straniera che, letteralmente, decapitava o impiccava la nobiltà, testa del corpo politico e depositaria del bene pubblico, impedendo al giovane sovrano di esercitare le proprie prerogative e la virtù della clemenza durante le repressione successiva alla Congiura di Amboise. Queste accuse vennero ribadite e approfondite in seguito all’arresto del principe di Condé, interpretato da questa fazione nobiliare come ulteriore passo verso lo sterminio dei Borbone e della buona aristocrazia francese indipendentemente dal credo religioso (Jouanna, 1996).

Francesco di Lorena, Duca di Guisa
Francesco di Lorena, Duca di Guisa (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

Queste accuse e controaccuse, quindi, permettevano ai libellisti di presentare i congiurati come difensori della Corona, definendo l’azione intrapresa come “contro-rapimento” volto a liberare il re nel segno dell’esercizio di un “diritto alla ribellione” contro la tirannia dei Guisa. Non solo: questo reciproco scambio di accuse molto ci dice sullo stato della Francia nel 1560. Con la morte di Enrico II, infatti, era emersa prepotentemente la fragilità del potere monarchico: ben presto iniziarono a circolare voci sulla fragile salute di Francesco II, indebolendo ulteriormente la figura del monarca visto, anche a causa della pesante presenza dei Guisa, come incapace di elevarsi all’altezza della sua carica (Tesedor, 2020). Le opere volte a giustificare la congiura, inoltre, segnalavano un altro importante aspetto, ossia la presa di coscienza, da parte di alcuni settori dell’aristocrazia, del cambiamento in atto nella società francese, i cui esiti erano all’epoca tutt’altro che scontati: emergeva, in poche parole, la tensione tra la spinta assolutista, che avrebbe poi trionfato, e il principio della monarchia mista (Jouanna, 1996).

  1. Conclusioni

La Congiura di Amboise, come abbiamo visto nel corso di questo articolo, getta luce sulla Francia del 1560 e sulle dinamiche interne al regno nella seconda metà del XVI secolo. Per meglio comprendere l’avvenimento, infatti, dobbiamo tenere conto del contesto in cui esso si svolse e fallì, ossia la situazione politica in seguito alla morte di Enrico II, il dibattito interno ai calvinisti francesi, timorosi di un eventuale sterminio e in parte in disaccordo con la passività imposta da Calvino, e la politica internazionale della Francia, volta a sostenere Maria di Scozia, moglie di Francesco II e nipote del duca di Guisa e del cardinale di Lorena (Poujol 1973 e Sutherland, 1966).

La morte di Enrico II rappresentò un punto di svolta anche per il fronte ugonotto: alcuni tra coloro i quali si erano precedentemente compromessi con l’opposizione all’azione repressiva del monarca come, per esempio, Gaspard de Coligny, si riavvicinarono al giovane Francesco II, timorosi delle conseguenze di un estremo indebolimento dell’autorità regia; altri, come la piccola nobiltà, si orientarono invece verso una forma più attiva di resistenza. Quello che emerge, quindi, è un conflitto tra il partito ultra cattolico capeggiato di Guisa e i principi del sangue, con i Borbone protettori dei riformati, sui quali ricadevano le speranze di Calvino e degli ugonotti, ben presto identificati come fazione all’interno della crisi politica sorta in seguito all’ascesa al trono di Francesco II (Sutherland, 1962 e Poujol, 1973).

Cardinale di Lorena
Il Cardinale di Lorena (fonte: Wikipedia, licenza CC0)

La Congiura di Amboise, quindi, ci permette di fissare l’inizio delle lunghe, sanguinose Guerre di Religione francesi, rappresentando un punto di svolta nella storia di Francia nel XVI secolo e svelando una vasta rete di opposizione al governo che univa elementi politici alla crisi religiosa iniziata con la morte di Enrico II. Oltre alla sanguinosa repressione, resa ancor più evidente dalla condanna a morte del principe di Condè, condanna poi revocata in seguito alla morte di Francesco II, gli eventi di Amboise ci mostrano anche un altro aspetto della Francia di quegli anni, ossia la presa di coscienza dei pericoli che la continua repressione dei riformati avrebbe potuto comportare, spingendo quindi la Corona, una volta cessatala repressione, alla concessione di una fragile libertà di culto e coscienza (Vivanti, 1996).

Davide Galluzzi – Scacchiere Storico

Davide Galluzzi è laureato in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano. Specializzato in Storia Moderna, i suoi interessi di ricerca includono la Rivoluzione francese, l’età napoleonica, la Storia culturale e l’uso pubblico della Storia.

Bibliografia

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