IL VIAGGIO NEL MEDIOEVO: IL MERCANTE E GLI SPOSTAMENTI TRA LEVANTE E OCCIDENTE

di Riccardo Marchetti

  1. Nuove rotte e nuovi mercati tra Tre e Quattrocento

Il Medioevo non fu sicuramente un millennio statico, al contrario molte innovazioni e cambiamenti si susseguirono per tutta la sua durata. I mille anni indicati col nome di “età di mezzo” risultarono, ad un’attenta indagine, tutto fuorché immutabili tanto negli avvenimenti, quanto nelle idee. Intere popolazioni si spostarono alla ricerca di possibilità migliori e sperimentarono soluzioni nuove dal punto di vista sociale, istituzionale ed economico. Il viaggio rimase una componente fondamentale nella vita degli uomini e delle donne medievali, per quanto non tutti avessero necessità di affrontarne uno. Solo dopo il Mille si nota una grande predisposizione per lo spostamento individuale, grazie soprattutto alle attività economiche e agli interessi di alcuni soggetti. I mercanti divennero i veri e propri protagonisti di questa nuova corsa verso l’avventura: il commercio, infatti, li spinse dalla penisola italiana, dalla Catalogna e dal Midi francese a frequentare, dopo secoli, le Baleari e la Sardegna (Balestracci, 2008).

La mole dei traffici sembrò avvicinare le due sponde del Mediterraneo e i mari del Nord Europa assunsero l’aspetto di un teatro nel quale andava in scena un nuovo walzer di vele e imbarcazioni. Nel corso del Trecento il viaggio si tramutò in una necessità e i commercianti occidentali iniziarono a diventare frequentatori abituali di piazze che precedentemente conoscevano solo attraverso i racconti.

Per tutta la durata dei secoli XIV e XV, i mercanti accompagnavano costantemente le proprie merci nei viaggi, prendevano contatti presso le varie piazze, sedi delle loro filiali, e incontravano direttamente fornitori e clienti. Il ceto mercantile aggiornava costantemente le tecniche commerciali insieme a quelle di viaggio, agevolando il proprio ingresso nei nuovi mercati e la commercializzazione di prodotti sempre più vari (Mazzi, 2016).

La caduta di Acri, non più roccaforte crociata dal 1291, poteva essere erroneamente interpretata come l’inizio di una contrazione dei traffici, ma nella realtà dei fatti si verificò esattamente l’opposto: il mondo era ormai cambiato e i porti del Mediterraneo orientale restavano un mercato troppo redditizio per i mercanti delle città della penisola italiana, nonostante l’embargo papale verso i potentati musulmani (Simon, 1999). Al tempo stesso, le capitali delle monarchie europee, come ad esempio Londra e Parigi, divennero poli economici irrinunciabili per le grandi compagnie bancarie toscane e per i mercanti provenienti da tutta la penisola italiana. Se le nuove capitali regie furono una destinazione importante dove si sperimentavano le innovative tecniche finanziarie, le città delle Fiandre restavano la scelta prediletta di molti commercianti-banchieri: qui Fiorentini, Senesi e Lucchesi facevano abitualmente tappa con lo scopo di scambiare le lane tipiche del Nord con i prodotti del bacino del Mediterraneo, oltre a intensificare la loro rete di prestiti.

  1. La rotta verso le ricchezze dell’Oriente

I collegamenti via mare tra la penisola italiana e il Levante videro, senza dubbio, i Veneziani tra i protagonisti più importanti. I mercanti lagunari furono probabilmente i più abituali frequentatori dei mercati asiatici, come dimostrava il caso di Marco Polo, abilissimo nello sfruttare le opportunità apertesi con la Pax mongolica. L’isola di Cipro, il porto di Beirut e i mercati di Damasco furono le principali piazze dove i commercianti della Serenissima si recavano per alimentare i loro traffici. Secondo uno statuto veneziano risalente al XV secolo, il trasporto delle spezie dal Levante era monopolio della flotta composta da galere grosse: navi rapide e manovrabili, capaci di velocizzare gli spostamenti (Lane, 1983). Le merci trasportate da queste imbarcazioni erano una risorsa dal valore inestimabile per gli affaristi lagunari, i quali avevano tutti gli interessi a far sì che la navigazione fosse rapida e sicura. Dalle rotte rivolte da Est a Venezia sbarcavano: cotone e allume dalla Siria, vino cretese destinato al mercato inglese, generi alimentari provenienti dal Mar Nero poi da commerciare con il grano, l’olio e il sale del Mediterraneo occidentale. La tratta degli schiavi restava anch’essa una pratica perseguita nei porti del Levante da parte dei mercanti occidentali. Il sistema commerciale veneziano consentiva ai suoi operatori di ricorrere all’utilizzo di agenti che agivano su commissione, anche per conto di più mercanti. Questi rappresentanti, una volta ricevute istruzioni, lettere di presentazione e finanziamenti, potevano imbarcarsi verso Est e lì svolgere affari per conto dei loro mandanti: ad esempio vendevano stoffe provenienti dal Nord Europa e acquistavano grandi quantità di cotone, bene molto richiesto sul mercato lagunare (Lane, 1982).

Sulla rotta che metteva in comunicazione la capitale della Repubblica con il Levante, le galere veneziane avevano l’obbligo di navigare esclusivamente in convoglio secondo precise indicazioni: rimanevano unite fino a Corone, sulla costa della Morea, e successivamente si separavano in vari gruppi in base alle destinazioni (Lane, 1983).

Se il Trecento rappresentava per i Veneziani un periodo di grande espansione, per i Genovesi coincideva con il momento di massima estensione dei traffici. Verso Est, il traffico ligure si basava principalmente su due porti cardini: le colonie di Pera e Caffa. La prima, situata all’imboccatura del Mar Nero per chi proveniva dai Dardanelli, e la seconda, adagiata sulle coste della Crimea, furono per tutto il Trecento i punti di irradiamento della capillare navigazione genovese, la quale collegava agevolmente il Mar Nero con il Mediterraneo orientale. Caffa, presso cui giunsero grandi quantità di merci, serviva proprio come punto di appoggio per i collegamenti tra il Ponto e Costantinopoli. Questo importante ruolo, dovuto alla sua posizione geografica, consentì alla colonia una rapidissima crescita di popolazione (Basso, 2008).

The reception of the ambassadors in Damascus, 1511, Museo del Louvre (fonte: Wikipedia)

Il Mar Nero, fondamentale nella navigazione genovese, non era sicuramente l’unica area intensamente frequentata da quella potenza marittima che la Superba rappresentava nel Trecento. Le coste dell’Egeo e i porti dei Balcani, oltre che ad essere luoghi di conflitto con la controparte veneziana, rappresentavano importantissimi scali per le comunicazioni navali tra il Mediterraneo e il Mar Nero. A ridosso del litorale greco, le galere della Superba furono molto attive, collegando tutti i porti della cosiddetta Romània, il cuore dell’impero bizantino. I Genovesi svilupparono due aree, entrambe sotto il loro controllo: la prima incentrata intorno all’insediamento di Pera e controllata direttamente dalla Repubblica, mentre la seconda era gestita dalla famiglia Zaccaria e contava sugli approdi situati a Focea e sull’isola di Chio (Basso, 2008). Pera fu talmente importante per il traffico commerciale trecentesco da essere descritta come una Genova in miniatura, simile a tal punto che aveva adottato degli statuti ricalcati su quelli della città ligure.

L’area egea era fondamentale per i Genovesi sia per il commercio legato al mondo bizantino, sia come punto di appoggio che metteva in comunicazione il Mar Nero con il Levante. Il Mediterraneo orientale era sicuramente uno dei mercati più redditizi per gli affari e a testimonianza di questo si può notare la folta presenza genovese ad Alessandria d’Egitto, dove essi si recavano alla ricerca di diverse merci pregiate: panni, stoffe, cera, carta, coralli (provenienti principalmente da Rodi), mastice, nocciole, grano, pepe, zenzero, lacca, indaco, incenso, lino e cotone (Petti Balbi, 2005). I mercanti della Superba furono molto presenti all’interno delle dinamiche economiche dell’Egitto medievale, intrattenendo rapporti con le istituzioni e con i commercianti arabi. Con i mercanti locali non vi fu uno scambio esclusivamente economico, spesso infatti i commercianti arabi potevano utilizzare le navi della Repubblica mentre si spostavano verso i vari empori dell’area levantina (Petti Balbi, 2005).

Pisa era stata fino al 1284, anno della sconfitta della Meloria per mano dei Genovesi, una vera e propria potenza marittima, tanto militare, quanto commerciale. Durante il Trecento però l’espansione pisana aveva perso vigore davanti alla spietata concorrenza delle altre flotte. Nonostante questa parabola discendente, la repubblica toscana manteneva una strenua presenza presso i porti extraeuropei e in particolar modo in quelli del Nord Africa. Sulle rotte che conducevano verso i potentati musulmani la presenza pisana restava fondamentale: la quantità e la varietà di merci che le imbarcazioni trasportavano non era per nulla indifferente.

A testimonianza della presenza pisana presso il porto tunisino di Béjaia si poneva la toponomastica, capace di riportare il nome di un imponente scoglio che si ergeva al di fuori dello scalo, detto appunto “Isola dei Pisani” (Aissani, Valerian, 2003). I mercanti della città toscana erano abituali frequentatori delle coste africane del Mediterraneo, nonché interlocutori privilegiati per l’esportazione verso l’Europa. Alla compravendita si accompagnava anche un intenso scambio culturale, come testimoniato dalla presenza del matematico Leonardo da Pisa, divenuto poi noto col nome di Fibonacci. Figlio di un mercante, Leonardo era solito seguire il padre nei suoi lunghi viaggi commerciali, facendosi testimone dei traffici a lui contemporanei: descrisse, ad esempio, il grande traffico di imbarcazioni e di affaristi suoi concittadini a Béjaia (Aissani, Valerian, 2003). Nella città tunisina affermava di essere stato introdotto alla numerazione araba, da lui chiamata indiana, e di aver avuto contatti con un innovativo metodo d’insegnamento della scienza. Béjaia era un punto di incontro per le moltissime realtà che si affacciavano sul Mediterraneo. I mercanti, pisani o arabi che fossero, si dimostrarono un particolare veicolo di diffusione per le conoscenze e, mentre peregrinavano per affari, facilitavano la circolazione delle innovazioni tecniche. Profondamente radicata nel Maghreb ma costantemente frequentata da europei, la città tunisina divenne un mercato incredibilmente dinamico per il periodo compreso tra il XII e il XIV secolo (Aissani, Valerian, 2003).

Nel Levante, la presenza pisana fu probabilmente la più capillare rispetto alle diverse realtà di provenienza toscana, le quali però diedero vita ad interessanti esperimenti e seppero sfruttare la debolezza sempre maggiore della rivale.

I commercianti di Siena, araldi di un’economia in forte espansione, erano in comunicazione con il Mediterraneo orientale solo per via indiretta; mantenevano infatti un fondaco alla foce dell’Arno, presso Pisa (Tangheroni, 1987). I Senesi erano interessati principalmente all’industria tessile e alla circolazione monetaria argentea tipica del Ponente e del Nord Europa. L’economia legata alla coniazione aurea dei mercati del Levante rimaneva lontana dai loro obiettivi (Tangheroni, 1987).

Tutto il ceto mercantile toscano fu costretto ad eleggere, come principale base di appoggio per i commerci con l’Oriente, il porto di Pisa. Il passaggio dalla foce dell’Arno rimase ancora più importante per Firenze, acerrima nemica di Pisa, eppure indissolubilmente legata ai suoi traffici fluviali e marittimi. La città gigliata non era in grado di predisporre una propria flotta, i suoi mercanti viaggiavano dunque su navigli battenti bandiera pisana. Le rotte della repubblica marinara vennero però sfruttate dai mercanti fiorentini per farsi spazio in un mercato altrimenti difficilmente raggiungibile. La prima vera e propria spedizione navale verso il Levante battente bandiera gigliata si ebbe solo nel 1422 (Simon, 1999). Pisa era, a quella altezza cronologica, già entrata nella sfera d’influenza fiorentina e la gestione del porto, così come della flotta mercantile, aveva già subito un passaggio di mano. Per tutto il Trecento, la città di Firenze operò senza una flotta mercantile di bandiera, ma al tempo stesso emergeva come la città toscana più attiva nel Levante nella seconda parte del secolo (Simon, 1999). Sicuramente, la monetazione aurea aiutò l’azione dei mercanti della Repubblica del Marzocco nel ricchissimo mercato orientale, ma la vera attività che premiò la loro presenza ad Est di Cipro fu quella finanziaria. Il commercio del denaro garantì ai Fiorentini il profitto necessario per imbastire commerci a così lungo raggio e, una volta messe in sicurezza le loro posizioni, poterono successivamente mercanteggiare altre merci, come i tessuti e le lane. La conquista di Pisa, l’allestimento di una flotta e la coniazione del fiorino d’oro, oltre ad un’oculata attività diplomatica legata all’invio di ambascerie presso Alessandria e Damasco, furono tutti fattori non casuali, che consentirono ai banchieri gigliati di assumere una posizione non trascurabile nei traffici col Mediterraneo orientale.

Immagine di nave con bussola tratta da Le livre des merveilles di Jehan de Mandeville, 1403 (fonte: Wikipedia)
  1. Il viaggio verso i mercati d’Occidente

Nel caso dei mercanti toscani, la mole di affari che mantenevano in Oriente veniva superata dalle attività economiche che conducevano in Occidente. Furono inizialmente i cicli delle fiere della Champagne e delle Fiandre che richiamavano i banchieri provenienti dalle città della penisola italiana. I commercianti che giungevano dall’area mediterranea scambiavano le loro merci di lusso con le lane e i prodotti dell’Europa nordoccidentale. Il Duecento rappresentò il periodo di massimo splendore per questi poli fieristici, i quali entrarono in crisi durante i secoli successivi (Grohmann, 2011). Nelle Fiandre del Trecento, i centri urbani divennero i nuovi motori economici e le destinazioni dei mercanti, volti a trovarvi acquirenti e soci.

I Fiorentini furono probabilmente i più attivi sulla tratta che collegava la Toscana con Bruges e tutto il Nord-Ovest europeo. I commerci legati alla lana e al settore finanziario fecero sì che le città delle Fiandre e Londra fossero molto vicine dal punto di vista economico. La lana inglese era molto richiesta dalla nascente manifattura fiamminga, così i Fiorentini riuscirono ad intavolare un sistema di circolazione di merci e capitali che consentì loro di prendere sempre più piede nelle economie locali, fino ad arrivare alla corte del re d’Inghilterra in qualità di tesorieri.

Per un mercante toscano il viaggio verso l’Europa settentrionale era composto da numerose tappe, suddivise in base alla capillare presenza delle filiali legate alla compagnia per la quale agiva. Bruges, Parigi e Londra erano piazze indissolubilmente legate e i commercianti dovevano imparare a conoscerne le peculiarità, le dinamiche e le società. Secondo le stime legate al Quattrocento, sulla piazza londinese dovevano essere attive all’incirca fra le sette e le nove compagnie fondate a Firenze, numero molto simile a quelle operanti nelle vicine Fiandre, quantificabili fra le otto e le nove (Guidi Brusconi, 2012).

Per tutto il XV secolo, i Fiorentini mantennero un’incredibile costanza nella presenza su entrambe le sponde del Mare del Nord.

Una fiera franca a Gand nel Medioevo, Felix de Vigne, 1862 (fonte: Wikipedia)

Nonostante gli investimenti diretti verso l’allestimento di una flotta di bandiera, molta lana inglese continuava a giungere a Firenze sulle imbarcazioni veneziane, catalane e guascone, che mettevano in comunicazione il porto di Southampton con il Tirreno (Galoppini, 2009). La conquista di Pisa portò la Repubblica del Marzocco a compiere un notevole sforzo, il quale garantiva i collegamenti via mare con i porti del Nord Europa, esattamente come avvenne con i traffici levantini. Il Quattrocento vide un cospicuo aumento delle vele fiorentine in navigazione sia verso i porti d’Occidente, sia in direzione degli empori d’Oriente.

Non dobbiamo sottostimare comunque la presenza di tutti gli altri mercanti sulla rotta verso Nord-Ovest: i Lucchesi furono quasi altrettanto numerosi a Bruges e mantenevano un elevato volume di affari (Galoppini, 2012). Essi riuscirono ad inserirsi nel sistema di circolazione della lana inglese nelle Fiandre e scalzarono i mercanti locali da cospicui giri d’affari. L’azienda dei Guinigi, ad esempio, manteneva empori a Londra, Bruges e Roma e mediava tra i produttori inglesi, gli acquirenti fiamminghi e gli importatori italiani (Galoppini, 2009).

I Senesi, «banchieri per eccellenza» (Galoppini, 2009), lasciarono notizie frammentate per quel che riguarda le loro presenze nelle Fiandre. Infatti, i loro affari venivano interpretati semplicemente come tentativo di raggiungimento dei luoghi di produzione delle merci. Molto più cospicua fu la loro rappresentanza a Parigi, ma una volta venute meno venute meno le fiere della Champagne sembrava che le filiali parigine svolgessero quasi esclusivamente il ruolo di punto d’appoggio attraverso il quale raggiungevano l’Inghilterra, meta ambita dalle più importanti compagnie senesi (Tangheroni, 1987).

Il commercio della lana e delle materie tessili sottolineava come il viaggio verso Nord-Ovest dei commercianti toscani fosse in realtà il risultato di una fitta rete di spostamenti: prima ci si fermava nei porti inglesi ad acquistare la materia prima e successivamente ci si spostava presso le varie filiali che si affacciavano sul Mare del Nord, dalle quali si potevano controllare i movimenti delle persone, delle merci e dei capitali.

Nonostante i ripetuti sforzi dei Fiorentini per alimentare i loro viaggi verso ponente, la stragrande maggioranza delle galere da mercato batteva bandiera diversa. L’Inghilterra e le Fiandre rimasero realtà legate indissolubilmente fra loro anche per tutta una serie di altri viaggiatori, come ad esempio la colonia veneziana, la quale contava più di una quarantina di componenti stabili nel XV secolo (Lane, 1982).

Gli operatori della Serenissima erano interessati alle lane e ai pellami inglesi in cambio dell’importazione sulle isole britanniche di vari beni: vino proveniente dalle isole greche, spezie e oro levantini. I commerci e le rotte veneziane spesso portavano alla collaborazione con tutta una serie di altre realtà mercantili, non ultime quelle fiorentine specializzate nel commercio del denaro. I mercanti toscani facevano molto spesso affidamento sulle rapide imbarcazioni della Serenissima per trasportare merci preziose e deperibili. I Veneziani elaborarono, nel Mare del Nord, un sistema di viaggi strutturato e sistematico che garantiva velocità di spostamento sia per i prodotti, sia per le persone. Nei mesi tra gennaio e febbraio i convogli delle galere veleggiavano verso la Siria con lo scopo di rifornirsi di mercanzie pregiate, ad aprile invece iniziavano i collegamenti con i settentrionali porti delle Fiandre e dell’Inghilterra meridionale, fino a settembre quando le flotte facevano di nuovo vela per il Levante e Alessandria d’Egitto (Lane, 1982).

Una così accurata pianificazione rendeva estremamente precisi gli spostamenti e permetteva di calcolare tempistiche e rischi. Un convoglio veneziano poteva partire per Bruges in primavera ed essere di rientro in laguna entro la fine dell’anno. Per un mercante della Repubblica investire nel commercio via mare tra Alessandria d’Egitto e Londra poteva voler dire impiegare denaro e merci per circa due anni. In questo lasso di tempo la macchina mercantile veneziana era in grado di mettere economicamente in contatto il Mare del Nord con il Mediterraneo orientale (Lane, 1982).

All’interno delle dinamiche commerciali legate ai viaggi d’affari non vi erano esclusivamente agenti provenienti dalla penisola italiana: molte delle realtà che si affacciavano sul Mare del Nord o sul Mediterraneo avevano sviluppato un traffico mercantile a sostegno della propria economia in espansione. I navigli catalani, legati alla corona d’Aragona, erano tra i principali concorrenti dei Genovesi e dei Veneziani: spesso molti mercanti fiorentini o lombardi facevano affidamento alle navi barcellonesi per spostarsi. Questi navigli veleggiavano percorrendo un’importante rotta: la via delle isole, capace di mettere in comunicazione l’Occidente aragonese con l’Oriente musulmano. Le conquiste catalane volute dal conte-re di Barcellona, rivolte all’occupazione delle isole del Mediterraneo e dell’Italia meridionale, potrebbero aver ricevuto un forte appoggio dal ceto mercantile, il quale desiderava la protezione di nuovi approdi e piazzeforti che collegassero la Catalogna, la Romània e il Levante (Del Treppo, 1972).

La comunità di intenti tra la corona e i commercianti permise ai Catalani di ampliare il loro giro di affari in un periodo estremamente rapido, consentendo loro di divenire una realtà commerciale davvero importante all’interno dei traffici mediterranei e non solo. Fu impossibile però vincere la concorrenza degli agenti delle città italiane (Genova, Venezia e Firenze in primis), nonostante i rapporti non sempre conflittuali. La concorrenza con i mercanti di altra provenienza fu invece spesso a favore dei Catalani, soprattutto nel confronto con i trafficanti marsigliesi e provenzali (Del Treppo, 1972).

I Fiorentini, molto attivi per i secoli XIV e XV, mantennero molteplici interessi sia nel raggiungere l’importante porto di Barcellona, sia nel commercio del denaro presso le due corti provenzali: quella angioina e quella papale di Avignone. Se fu vero che il guelfismo professato dalla Repubblica fiorentina rendeva loro alleati naturali gli Angiò, altrettanto importante rimase il ruolo dei commercianti di Firenze presso i mercati iberici, soprattutto per l’acquisto della lana.

Proprio per motivi tanto politici quanto economici, la Provenza rappresentò un palcoscenico importante per i mercanti provenienti dalle città della penisola italiana. Nel 1241, Luigi IX di Francia aveva annesso tutto il territorio della foce del Rodano ai domini reali con l’intenzione di sviluppare un nuovo porto, fondamentale punto di riferimento per il traffico di merci e persone: Aigues Mortes (Spufford, 2005).

Il trasferimento della corte papale ad Avignone nel XIV secolo, rese quest’ultima una vera e propria capitale, capace di attirare mercanti e banchieri che soddisfavano le esigenze finanziarie della curia pontificia. La Provenza, ricca di città politicamente rilevanti e porti economicamente attivi, venne a trovarsi al centro della rete di comunicazioni che collegavano le Fiandre con la penisola italiana. Le merci e i commercianti viaggiavano via terra fino alla sede papale e da lì poi proseguivano sulla strada che piegava verso Nizza e Genova, oppure si imbarcavano ad Aigues Mortes da cui poi veleggiavano verso Porto Pisano (Spufford, 2005). Queste condizioni politico-geografiche, unite alla rete di alleanze filoguelfe vicine alla figura del pontefice, resero Avignone uno scalo importantissimo per i banchieri-mercanti fiorentini, i quali divennero assidui frequentatori delle piazze provenzali dimostrando ottime capacità di adattamento. L’importanza che assunse questa zona nella fitta rete di traffici dei mercanti della Repubblica del Marzocco veniva rimarcata dalle molte compagnie fiorentine che scelsero addirittura Avignone come sede. Durante il fallimento della compagnia dei Frescobaldi, gli emissari del re d’Inghilterra raggiunsero la Provenza con lo scopo di sequestrare i beni dei mercanti fraudolenti (Sapori, 1947). Essi erano perfettamente consapevoli che i Fiorentini avrebbero cercato protezione ad Avignone, città fondamentale della finanza gigliata e della politica filoguelfa, luogo perfetto dove potevano nascondere i propri libri contabili e le merci. Con l’assestarsi del papato presso la sede avignonese, le grandi compagnie fiorentine riuscirono a ritagliarsi sempre maggiore spazio all’interno delle istituzioni, assumendo definitivamente il ruolo di tesorieri (Tanzini, 2018).

Questa capillarità di traffici poteva essere messa in evidenza dalle parole probabilmente pronunciate da Bonifacio VIII, il quale definì, non sappiamo se con ammirazione o disprezzo, i Fiorentini come “la quinta essenza del mondo” (Tanzini, 2018).

Riccardo Marchetti – Scacchiere Storico

Riccardo Marchetti è studioso del Medioevo, in particolare del XIV secolo. La sua analisi si concentra principalmente in ambito sociale ed economico, ma si concede volentieri qualche scorribanda nell’intricato mondo delle istituzioni italiane ed europee.

Bibliografia

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Pubblicato da Scacchiere Storico

Rivista di ricerca e divulgazione storica

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