CARLO IV E LE CRISI REALI IN UNGHERIA

di Davide Galluzzi

La fine della Prima Guerra Mondiale portò grandi sconvolgimenti nell’Europa centro-orientale. Il crollo dei grandi Imperi che, da lungo tempo, dominavano la regione, condusse alla nascita di nuovi Stati che desideravano affermarsi e rafforzarsi e a una serie di sommovimenti politici.
L’Ungheria, in particolare, vide il rapido avvicendarsi di diversi regimi politici, passando dalla storica monarchia alla repubblica democratica sfociata poi in quella socialista, per tornare, infine, a una monarchia restaurata, una “monarchia senza re” affidata al reggente Miklós Horthy. Questo riapriva il dibattito intorno alla figura del monarca, tanto più feroce in quanto un re incoronato, in linea teorica, esisteva già: Carlo IV d’Asburgo, la cui precedente rinuncia al trono era considerata da molti, egli in primis, come non valida.
Proprio dei due tentativi di Carlo IV, falliti a causa dell’opposizione dei cosiddetti Stati successori, delle Grandi Potenze e di parte della leadership ungherese, parleremo in questo articolo.

MAMMA MIA DAMMI CENTO LIRE CHE IN AMERICA VOGLIO ANDAR: STORIA DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA NEL XIX SECOLO

di Federica Fornasiero

Questo articolo si propone di riassumente parte delle dinamiche relative alla Grande Emigrazione, fenomeno migratorio che interessò l’Italia postunitaria fino agli albori del Novecento, che ha avuto diverse e concatenate cause e conseguenze e che ha influenzato la Penisola negli anni seguenti. L’accento è stato posto sulle direttrici transoceaniche, che alla fine del XIX secolo videro migliaia di connazionali salpare verso le Americhe in cerca di fortuna.

OLTRE PEAKY BLINDERS: OSWALD MOSLEY E IL FASCISMO INGLESE

di Federico Sesia

Grazie alla popolare serie Netflix Peaky Blinders il grande pubblico ha sentito parlare di sir Oswald Mosley e del suo partito, la British Union of Fascists (BUF), anche se calati nel contesto romanzato della narrazione televisiva. Un fenomeno marginale come i movimenti fascisti inglesi ha quindi ricevuto un’attenzione che va oltre la ristretta cerchia degli addetti ai lavori, cosa notevole se si considera la scarsa rilevanza del fenomeno nella storia contemporanea delle isole. Nel corso degli anni Venti e Trenta infatti la diffusione di gruppi e partiti più o meno ispirati dal fascismo ha avuto risonanza ridotta nell’anglosfera, principalmente per ragioni di ordine interno ai paesi in questione.

MUSSOLINI, IL FASCISMO, LA FABBRICA E LA COMPANY TOWN: IL CASO DALMINE

di Federica Fornasiero

Dalmine è una città solo apparentemente priva di storia; una città le cui sorti sono ormai intimamente intrecciate con quelle della Dalmine (dapprima Mannesmann, oggi TenarisDalmine), il tubificio che nel corso del Novecento cambiò definitivamente il volto del piccolo borgo della bassa bergamasca. Ma cosa c’entrano Mussolini e il fascismo con la città bergamasca? Cosa si intende per company town? Ebbene, questo breve contributo cercherà di dare risposta a queste domande, svelando un passato forse ancora sconosciuto ai più.

L’OCCUPAZIONE ALLEATA DELL’ISLANDA

di Davide Galluzzi

L’occupazione alleata dell’Islanda, iniziata con l’invasione inglese del 10 maggio 1940 e terminata con il ritiro dei Marines statunitensi dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, fu un evento spartiacque nella storia dell’isola perché rappresentò la rottura di un isolamento secolare e l’entrata, seppur indirettamente, in un conflitto europeo e mondiale. Inoltre, è stato durante questo periodo di occupazione straniera che giunse a compimento il processo di totale indipendenza dell’Islanda dalla Corona danese e la successiva integrazione nel blocco NATO, superando così quella neutralità su cui si era a lungo basata la politica estera di Reykjavík. Stranamente, questo evento così importante, non solo per il popolo islandese, è stato spesso sottovalutato dalla storiografia, non trovando forse il giusto spazio che meriterebbe.

LA DIVISIONE ITALIA IN JUGOSLAVIA (1943-1945)

di Federico Sesia

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, alcune unità italiane di stanza in Jugoslavia aderirono alla Resistenza locale, spinte in ciò dalla necessità di sopravvivere all’aggressione tedesca, più che da condivisione ideologica.

L’IMMAGINARIO RELIGIOSO IN MITOLOGIA E RITUALISTICA DELLE MAFIE

di Daniela Tedone

Mafia, ‘ndrangheta e camorra si servono di un copioso apparato leggendario, ricco anche se confuso, sapientemente creato al fine di nobilitare le proprie origini e la propria ascendenza e di legittimare ideologicamente la proprie abitudini all’abuso, alla violenza e all’assassinio. I miti e le leggende che nel corso del tempo sono stati inventati sono innumerevoli, ma tutti convergono sul comune obiettivo di restituire una visione accattivante, quanto irrealistica, delle organizzazioni e dei loro fini.

I CANTI DELLA TRADOTTA

di Davide Longo

Cosa pensava un soldato che, all’epoca della Grande Guerra, veniva portato al fronte dalla tradotta? Quali emozioni provava? Per costruire una storia dei sogni e dei sentimenti della truppa è possibile utilizzare il repertorio di canzoni che i soldati cantavano in trincea. Se si volesse poi allargare lo sguardo a quelle opere – vere e proprie canzoni di regime, se vogliamo – prodotte o promosse dallo Stato durante la Grande Guerra, allora potremmo anche costruire una storia di come l’istituzione pensava che dovessero essere i fanti, cosa dovessero pensare e quali idee dovessero albergare nelle loro menti. Proprio questo proveremo a fare in questo contributo, concentrandoci in particolare sul caso italiano per ragioni di spazio, auspicando però la crescita di studi e analisi rivolte all’abito internazionale in chiave comparativa.

LA DIVISIONE PARTIGIANA GARIBALDI IN MONTENEGRO (1943-1945)

di Federico Sesia

Nell’aprile del 1941, le forze dell’Asse invasero il Regno di Jugoslavia, reo di aver abbandonato il Patto Tripartito, avendo ragione in breve tempo del poco efficiente esercito jugoslavo. Nella spartizione del paese che seguì tra i territori assegnati all’Italia (Lubiana, parte della Dalmazia e il Kosovo) si trova anche il Montenegro, e la nazionalità montenegrina della regina Elena di Savoia ha fatto sì che venisse instaurato uno Stato cliente nelle vesti di un regno formalmente indipendente. Le autorità italiane si illusero di poter essere accolte da liberatrici, sottovalutando il lealismo filo-serbo di parte della popolazione e la tradizione guerrigliera propria del Montenegro.

DAL MONOPARTITISMO ALLA DEMOCRAZIA. LA TRANSIZIONE IN MESSICO (1977-2000)

di Federico Sesia

Non si è abituati a sentir parlare del Messico quando si discorre di regimi novecenteschi. Eppure si tratta del paese che ha vissuto in un governo monopartitico per più tempo, essendo stato governato ininterrottamente dal 1929 al 2000 dal Partido Revolucionario Institucional (PRI), il partito di provenienza obbligata per i presidenti e le élite di governo. Nel corso della seconda metà del Novecento, e in particolare dagli anni Sessanta in poi, il regime monopartitico si è gradualmente corroso garantendo progressivamente elezioni sempre più trasparenti, fino ad arrivare alla sua scomparsa nel 2000.

IL «GRANDE MALE» DEGLI ARMENI: ANTEFATTI DI UN GENOCIDIO QUASI DIMENTICATO

di Tecla Terazzi

Il «Grande Male» (Metz Yeghérn), come gli stessi armeni definiscono quanto loro avvenuto durante la Grande Guerra tra la Cilicia, il deserto del nord della Siria e le regioni orientali dell’Impero Ottomano, è un evento fin troppo trascurato nell’istruzione storica ordinaria e appare confinato perlopiù a una erudizione tecnica universitaria o successiva. I motivi di questa lacuna sono molteplici. Il presente articolo, pertanto, vorrebbe proporre una disamina della situazione generale in cui versava l’Impero ottomano tra la fine del 1800 e l’inizio della Grande Guerra e nella quale sono ravvisabili gli antefatti di quello che viene generalmente riconosciuto come genocidio degli armeni.

SEBBEN CHE SIAMO DONNE

di Davide Longo

In moltissime epoche le donne sono state all’avanguardia del movimento dei lavoratori. Per quanto riguarda l’Italia gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo sono un momento privilegiato per studiare il ruolo delle donne nella costruzione dell’immaginario collettivo del nascente proletariato urbano e contadino. Ma cosa significa, nel concreto? Come si costruisce l’immaginario collettivo? Con le pratiche di lotta, certo: le associazioni operaie a fine Ottocento mettono in pratica scioperi a oltranza per rivendicare migliori salari e condizioni di vita e, soprattutto, le otto ore di lavoro. Ma la lotta sociale non è muta. Perché funzioni deve cantare. Deve cioè articolare le proprie rivendicazioni in melodie e inni che possano essere ripetuti dagli operai e dalle operaie mentre si lavora e anche dopo, durante lo sciopero, alla fine delle riunioni e delle assemblee. Ed è di questo, oggi, che proviamo a parlarvi: di come le donne del proletariato italiano abbiano avuto, a inizio Novecento, un ruolo centrale nella costruzione dell’immaginario collettivo socialista, comunista e anarchico attraverso lo strumento della produzione di canti di lavoro e protesta sociale.

DALL’ESTREMO ORIENTE AI CAMPI DI FIANDRA

di Davide Longo

Cosa ci facevano dei cinesi a scavare trincee sulla Somme, accanto ai fanti inglesi e francesi che combattevano furiosamente per pochi metri di terreno? Proviamo a fare luce sul ruolo che ebbero gli abitanti del Regno di Mezzo nella Prima guerra mondiale sul teatro europeo, e di come questo conflitto influenzò la vita politica, economica e sociale di questo immenso paese asiatico.

1969-1974: STRATEGIA DELLA TENSIONE, STRAGI E DEPISTAGGI

di Matteo Bulzomì

Nel corso degli anni Settanta l’Italia divenne teatro di numerosi attentati terroristici. La peculiarità di questa stagione politicamente turbolenta fu la natura degli attori coinvolti nei sanguinosi avvenimenti di cui si parlerà. Essi infatti non erano solo esponenti di organizzazioni politiche del mondo della destra eversiva, ma anche membri delle istituzioni repubblicane e dei servizi segreti stranieri. Per questo motivo tale capitolo della storia italiana si è guadagnato il titolo di “strategia della tensione”.

UNA CASA DIVISA. IL MONTENEGRO TRA UNIONISMO E INDIPENDENTISMO

di Federico Sesia

Dal XIX secolo in avanti il Montenegro ha sviluppato una divisione tra i fautori dell’unione con la Serbia e i sostenitori dell’indipendenza, divisione che è andata approfondendosi nel corso del Novecento e che permane ancora oggi: il referendum del 2006, vinto dagli indipendentisti, non è stato seguito dall’eclissarsi delle due fazioni che continuano a dividere il paese balcanico.

THE HISTORY OF THE STANDARD OIL COMPANY

di Giacomo Cozzaglio

All’inizio del XX secolo, la stampa americana e soprattutto i giornalisti che la animavano erano noti con una parola dal sapore dispregiativo: muckrackers, ovvero rastrellatori di letame. Il termine fu coniato nel 1902 dal presidente Theodore Roosevelt per riferirsi a quella parte del mondo del giornalismo che si occupava prevalentemente della denuncia dei mali della società americana contemporanea.
Si trattava di un filone che comprendeva periodici come i settimanali e i mensili i cui dipendenti si occupavano di raccontare i disagi sociali nelle metropoli statunitensi in espansione e il dilagare del malaffare e delle frodi nel mondo della finanza. Questi giornalisti si distinsero nella connotazione assai professionale del loro lavoro che pose le basi del moderno giornalismo d’inchiesta: la raccolta di informazioni, dati e testimonianze verificabili divennero le armi con le quali sfidare l’enorme influenza dei grandi capitali. Questo articolo si occupa di una di queste giornaliste, Ida Tarbell, che mise i bastoni fra le ruote a una delle più grandi aziende statunitensi, la Standard Oil Company.

LE LETTERE DI ROBERT GOULD SHAW

di Federica Fornasiero

Questo articolo non vuole essere un necrologio o un’epopea di eroiche gesta, ma una breve riflessione circa il primo reggimento di fanteria di uomini di colore organizzato dall’Unione con a capo un colonnello lungi dall’essere l’eroe perfetto che tutti vorremmo. Robert Gould Shaw fu un uomo del suo tempo, un colto borghese che intraprese la carriera militare a New York nel 1861. Nel 1863, all’indomani della Proclamazione di Emancipazione da parte dell’allora presidente unionista, abolizionista e repubblicano Abraham Lincoln, gli venne proposta dal governatore Andrews l’opportunità di guidare sul campo di battaglia il primo reggimento di persone di colore. Non accettò immediatamente di buon grado: ottenne la nomina perché figlio di una rispettabile famiglia borghese unionista e abolizionista, che lo spinse a prendersi l’onore e l’onere del neonato battaglione. Il senso del dovere e l’ambizione vinsero probabilmente sugli ideali. Perché allora parlare delle lettere del colonnello? Perché sono fonti dirette che ci permettono di considerare il contesto in cui maturò la decisione di ufficializzare il primo reggimento di fanteria di soldati neri; perché ci offre un importante spaccato sulla dura vita delle truppe durante la Guerra di Secessione Americana; perché è possibile entrare per un solo attimo nel cuore e nella testa di un uomo come tanti, scosso, scisso, riflessivo, nostalgico, pregiudiziale, che in pochi mesi si vide alla testa di uomini con i quali condivise un’avventura che li portò in breve tempo alla morte.

TRINCEE IN AFRICA AUSTRALE

di Davide Longo

Molto spesso ancora oggi la Prima guerra mondiale, non solo sulla stampa mainstream ma anche in certi contesti specialistici, viene trattata come un fatto del tutto nuovo nel panorama globale che precede il 1914. Troviamo spesso affermazioni di un certo tenore, che descrivono la Grande Guerra come fattore dirompente che sorprese le élites militari europee e che presentò per la prima volta delle caratteristiche militari del tutto inedite per l’epoca. Lungi dal voler minimizzare il ruolo di cambiamento epocale che la Grande Guerra ebbe in ogni ambito della vita civile e militare dell’Europa dell’epoca – un discorso parzialmente diverso può essere fatto, invece, per certi altri scenari della guerra, soprattutto quello africano – il presente articolo si propone di evidenziare che vi furono, nei decenni che precedettero la guerra, casi specifici in cui certe operazioni militari limitate non solo si strutturarono in maniera molto simile a quelle della Grande Guerra, ma vennero anche percepite – almeno in certi ambienti specifici – come “nuove” e “inedite” ben prima della deflagrazione del conflitto mondiale. Nello specifico, molte operazioni militari svolte durante la prima e la seconda guerra anglo-boera presentarono delle caratteristiche nuove, che più avvicinano ai nostri occhi quelle esperienze belliche a quanto avvenne perlomeno sul fronte occidentale e meridionale europei della Prima guerra mondiale.

IL PALAZZO CADUTO NELL’OBLIO. LA MEMORIA DEL SOCIALISMO E L’UNGHERIA DI OGGI

di Davide Galluzzi

Il collasso del socialismo in Europa orientale portò, tra le altre conseguenze, a un vivace dibattito storiografico sulla natura dei passati regimi e sulla memoria del periodo socialista.
In questo articolo parleremo della memoria del socialismo in Ungheria attraverso l’analisi di tre luoghi simbolo (il Pantheon dei lavoratori, il Memento Park e la Terror Háza) che costruiscono, in modo radicalmente diverso tra loro, la memoria di questo passato recente.

IL FILM COME FONTE STORICA

di Rebecca Goldaniga

Quante volte al cinema o in tv vediamo film di argomento storico che ci appassionano e ci coinvolgono? Ma quanta verità si trova all’interno di essi? Naturalmente il film è un prodotto di fantasia, legato principalmente a fini di intrattenimento. Tuttavia, può rivelarsi un’ottima fonte per lo storico quando viene relazionato al periodo in cui è stato girato.

DA BATYUSHKA A TSAR GOLOD: IL POTERE E L’IMMAGINE DELLO ZAR NICOLA II

di Matteo Bulzomì

Al momento della sua ascesa al trono nel 1894, lo zar Nicola II ereditò un Paese turbolento e una ricetta di governo obsoleta. Tale ricetta di governo, fondata sul rapporto integrità-autocrazia, fece sì che nonostante le riforme concesse la visione del mondo dello zar fosse incompatibile con i mutamenti ai quali la Russia stava andando incontro. In questo articolo Matteo Bulzomì analizza sia l’aspetto concettuale del potere zarista che la sua traduzione in immagini.

I DUE MUSSOLINI

di Davide Longo

Il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip, un giovane nazionalista serbo-bosniaco, uccide Francesco Ferdinando, Arciduca d’Austria ed erede al trono imperiale. Esattamente un mese più tardi, il 28 luglio, l’Austria Ungheria dichiara guerra alla Serbia, considerata la grande regista dell’assassinio. Da quel momento una grande reazione a catena trascina nel conflitto cinque delle sei grandi potenze che a vari livelli si contendono l’egemonia sull’Europa. 
In Italia uno dei grandi registi dell’entrata in guerra del Belpaese è Benito Mussolini, esponente di spicco del socialismo italiano che per il suo voltafaccia dal neutralismo all’interventismo venne espulso dal partito. Come, quando e perché avvenne questo cambiamento di rotta politica da parte del giovane Mussolini? Ripercorriamone le tappe grazie all’aiuto della stampa dell’epoca.

IL MASSACRO DI TULSA (OKLAHOMA, 1921)

di Federica Fornasiero

30 maggio 1921: Dick Rowland, lustrascarpe nero di Tulsa, lavorava in centro città. A causa della segregazione razziale, l’unica toilette in cui erano autorizzati gli afroamericani si trovava nel Dexler Building e per raggiungerla si doveva utilizzare l’ascensore. Non si sa esattamente come andarono le cose, probabilmente Dick inciampò cadendo su Sarah Paige e venne accusato di aggressione e tentato stupro. La polizia allora prelevò il diciannovenne e i giornali iniziarono a diffondere la notizia dell’aggressione, nonostante gli agenti non avessero ancora accusato Rowland. Il Tulsa Daily World pubblicò un articolo intitolato «Nab negro for attacking girl in an elevator», fornendo un pretesto per il linciaggio. Così un drappello di bianchi si raggruppò chiedendo che il ragazzo fosse consegnato loro, in modo che potessero fare giustizia; contemporaneamente un gruppo di neri si armò per andare a difendere il presunto colpevole. Inizia così la storia del Massacro di Tulsa.

L’EREDITÀ STORICA DI GIOVANNI FALCONE

di Michele Gatto

A quasi trent’anni dalla strage di Capaci, questo articolo non vuole essere semplicemente commemorativo, ma intende attuare un’analisi di quello che il giudice Giovanni Falcone ha effettivamente rappresentato per il nostro paese e quale sia l’eredità che ci ha lasciato, senza cadere in facili retoriche.